Nota Bene:Monte Arci - è un massiccio isolato che si erge nella piana di Uras nella pianura del Campidano in Sardegna. L'altitudine massima è di metri 812. Le sue vette sono tre torrioni basaltici di origine vulcanica "Sa Trebina Longa" (m.812) , "Sa Trebina Lada" (m.703) e "Su Corongiu de Sizoa" (m.463). Queste tre vette rocciose formano una specie di treppiede da cui deriva il nome di "Sa trebina". Il Monte Arci è stato importantissimo nella storia della Sardegna e specificamente nella sua storia mineraria preistorica per via dell'ossidiana, molto abbondante nelle sue falde.
Sono praticamente sulla porta di casa, ho molta fretta, ma ho visto una tale quantità di belle parole e di spunti stimolanti che non posso non ringraziarvi tutti, anche se - per ora - soltanto sbrigativamente.
Marialuisa ha già fatto gli onori di casa ai nuovi arrivati e questo la dice lunga su quanto ci tenga a Suite, che cresce grazie ai suoi frequenti contributi, sempre eccellenti e per me molto istruttivi. Oggi l'immenso Eduardo. Benvenuto anche al Teatro, quindi. Ci tornerò.
Aldo, a proposito di Guccini: ho avuto l'onore di cenare qualche volta da Vito insieme a lui (e non solo lui) in occasione delle mie ripetute incursioni bolognesi di alcuni anni fa. Conversatore squisito e colto, abbiamo sempre fatto le 4 del mattino. Se sono di fretta (e adesso scappo davvero) è perchè oggi e domani devo accompagnare un amico mio - e di Guccini - in giro per la Sardegna. Stasera a Lanusei, domani a Cagliari. Sarà un fine settimana intenso, senza orari, ma sicuramente gradevole e imprevedibile.
Ciao a tutti, buona musica e buona pace.
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Mi assumo l'onere e l'onore di definirmi "musicista" o più grossolanamente "artista", dopo tutto non si può definire arte solo quella "famosa" o "commercializzata", chi crea arte in musica (come nel mio caso) ha tutto il diritto di definirsi artista. Per quanto riguarda il connubio musica e droghe, il legame aimè è molto labile, ma non penso sia dovuto alla musica in se, quanto a tutto quello che ci gira in torno, tour estenuanti, stare sempre al centro dell'attenzione e sopratutto cercare sempre di non deludere le persone che provano ammirazione per il gruppo di cui fai parte. Molti artisti sono semplicemente più sensibili di altri, questo gli permette di esprimere i più alti sentimenti dell'uomo ma li rende anche molto vulnerabili al mondo esterno e rifugiarsi in qualcosa di palliativo alla felicità è purtroppo sempre più facile.
oggi durante le prove del mio gruppo abbiamo scelto per la prima volta di fare un tributo a De Andrè, eseguiremo Amico Fragile l'11 a Nuoro in occasione di un nostro live e questa canzone la dedico a questo topic molto molto bello.
www.youtube.com/watch?gl=IT&hl=it&v=CmEduSLmjnc
Giovanni
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Mi assumo l'onere e l'onore di definirmi "musicista"... oggi durante le prove del mio gruppo abbiamo scelto per la prima volta di fare un tributo a De Andrè, eseguiremo Amico Fragile l'11 a Nuoro in occasione di un nostro live e questa canzone la dedico a questo topic molto molto bello. Giovanni
Ciao Giovanni , benvenuto in Suite . Grazie per le belle parole e la dedica , molto gradita . Auspici per il percorso musicale col tuo gruppo . Ps : mi sono permessa di riproporre il video che non era visibile . Eccolo .
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Marialuisa ha scritto: ... Suite , viaggio magico non predeterminato nella musica e attraverso la musica. Ma non solo . ...
Le tue parole mi onorano. Se ho il privilegio di essere talvolta solo spettatore di Suite lo devo soprattutto a te. Un invito al viaggio è molto più piacevole se la compagnia è buona.
Eduardo è stato uno dei più grandi autori e attori teatrali italiani di tutti i tempi. La poesia che hai postato è meravigliosa, ha alcuni passaggi toccanti ma uno in particolare è asciutto e terso come una giornata di maestrale: io vulesse truva' pace, ma 'na pace senza morte. Fantastico. Eduardo, prima ancora che grande attore, è stato uomo di teatro. I due profili alla fine combaciano, ma non sono la stessa cosa. Eduardo ha fatto la gavetta (parola ormai demodè), ha respirato l’odore delle tavole del palcoscenico e dei pesanti velluti dei sipari, ha ascoltato in silenzio i cigolii del legno, ha patito il freddo di teatri semivuoti. Ha studiato, tanto. Ha evitato le facilitazioni e i passaggi segreti della commedia cinematografica (tanto cara al fratello Peppino, con cui ebbe un rapporto tormentato) ed è diventato il più grande.
Contributo meraviglioso, grazie Marialuisa. Buona giornata.
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Mansardo ha scritto: Se ho il privilegio di essere talvolta solo spettatore di Suite lo devo soprattutto a te. Un invito al viaggio è molto più piacevole se la compagnia è buona.
Dobbiamo reciprocamente qualcosa a quelle intese mute che sanno dialogare fuori dal tempo e dallo spazio . Noi , dal canto nostro , diamo respiro e coraggio a segmenti di percorso , a volte senza vela e senza timone . Buon viaggio , Mansardo ( e quanti vorranno ).
<< Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, o la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela.
La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.>>
( Henri Laborit Elogio della Fuga )
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Modificato da - Marialuisa in data 23/03/2009 16:20:01
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marialuisa ha scritto: Dobbiamo reciprocamente qualcosa a quelle intese mute che sanno dialogare fuori dal tempo e dallo spazio . Noi , dal canto nostro , diamo respiro e coraggio a segmenti di percorso , a volte senza vela e senza timone . Buon viaggio , Mansardo ( e quanti vorranno ).
<< Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, o la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela.
La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.>>
Beh, che dire? Sottoscrivo tutto ciò che hai detto, di cui non sposterei una virgola. Se poi citi uno dei miei libri preferiti e una delle canzoni di Fossati che mi piacciono di più...che altro dire? Buona giornata
guisogio ha scritto:
Mi assumo l'onere e l'onore di definirmi "musicista" o più grossolanamente "artista", dopo tutto non si può definire arte solo quella "famosa" o "commercializzata", chi crea arte in musica (come nel mio caso) ha tutto il diritto di definirsi artista. Per quanto riguarda il connubio musica e droghe, il legame aimè è molto labile, ma non penso sia dovuto alla musica in se, quanto a tutto quello che ci gira in torno, tour estenuanti, stare sempre al centro dell'attenzione e sopratutto cercare sempre di non deludere le persone che provano ammirazione per il gruppo di cui fai parte. Molti artisti sono semplicemente più sensibili di altri, questo gli permette di esprimere i più alti sentimenti dell'uomo ma li rende anche molto vulnerabili al mondo esterno e rifugiarsi in qualcosa di palliativo alla felicità è purtroppo sempre più facile.
Bello l'incipit. Se mi posso permettere, però, non definirei più "grossolano" il termine artista rispetto a musicista. Soltanto più generico, ma della stessa identica dignità. E fai benissimo a rimarcare che chiunque fa arte è artista, non solo chi fa soldi.
Quanto all'uso di droghe, penso che non debba esistere alcuna ricerca di consenso (o di altro) che possa in qualche modo spalancare le porte all'autodistruzione. Come vedi, non circoscrivo il discorso ai musicisti. E' un concetto generale. Dobbiamo imparare ad ascoltare i nostri ritmi, fermarci quando siamo stanchi, dormire quando abbiamo sonno, bere quando abbiamo sete. Certo, l'eccezione ci può stare, tutti abbiamo fatto una notte in bianco per amore o per studiare un esame. Ma qui non stiamo parlando di eccezioni. Qui parliamo della sistematica saturazione del tempo, della sistematica bramosìa di ubiquità fisica e mentale. Fretta e avidità sono due scorciatoie per la rovina dell'uomo. Dobbiamo riscoprire la lentezza, i tempi giusti, rinunciare a qualcosa e goderci di più il resto. Bada che non è un pistolotto, non mi permetterei mai e non ho alcuna autorità per farlo. E' soltanto il mio pensiero allo stato brado. La musica è la mia droga. E penso che tu mi capisca. Poi le persone fragili e più vulnerabili sono sempre esistite e sempre esisteranno, tra gli artisti come tra gli impiegati delle poste.
oggi durante le prove del mio gruppo abbiamo scelto per la prima volta di fare un tributo a De Andrè, eseguiremo Amico Fragile l'11 a Nuoro in occasione di un nostro live e questa canzone la dedico a questo topic molto molto bello. Giovanni
Grazie per la graditissima dedica, Giovanni. Suite è una specie di piccolo Beaubourg dove i pensieri s'incontrano, ascoltano qualche musica meravigliosa, ammirano un quadro o un video, leggono qualche riflessione, riavvolgono i ricordi. Già adesso c'è una bella scelta. Credo che sia un ambiente naturale anche per artisti. Pertanto, benvenuto.
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Mansardo ha scritto: Suite è una specie di piccolo Beaubourg dove i pensieri s'incontrano, ascoltano qualche musica meravigliosa, ammirano un quadro o un video, leggono qualche riflessione, riavvolgono i ricordi.
<< Con la crisi sono diminuiti tutti i consumi, meno quelli culturali che sono aumentati. Perché? Per capirlo partiamo da un fatto apparentemente lontano. Negli ultimi anni le donne compravano e cambiavano con facilità vestiti e scarpe senza saperne valutare il reale valore. Oggi li fanno riparare, allargare, restringere, accorciare con l'aiuto delle sarte che di colpo sono ricomparse. Un segno che tornano a capire cos'è un vestito, come si fa a conoscere i tessuti, a distinguerne la qualità.>>
F. Alberoni in Corsera 23/03/2009
Anche io parto da lontano per arrivare a Suite , a un’ immagine che spero le faccia piacere indossare . E’ che talvolta mi capita di pensare a Suite in termini sartoriali , mi ricorda quei grandi rotoli di tessuto accatastati negli empori che spesso visitavo negli anni della giovinezza . La mia mamma era una entusiasta frequentatrice di sarte e sartine , adorava comprare tessuti , mussole , lini e organze che sapientemente faceva trasformare in mises per tutte le occasioni , anche per quelle che la sua mente desiderava e che non avrebbe mai avuto modo indossare per alcuna occasione . Passava delle mezze ore interminabili ad accarezzare stoffe che ammirava alla luce e in controluce e credo – se avesse potuto – avrebbe annusato per carpirne oltre la consistenza anche l’intima essenza . Si recava svariate volte all’emporio prima della scelta definitiva , controllava e ricontrollava , magari dal mattino alla sera la luce che colpiva diversamente le stoffe faceva sì che decidesse per una stoffa o per un’altra . E poi , le discussioni con la sarta : personcina da prender con le pinze , a momenti quasi da blandire , e infine da conquistare definitivamente . Ma torniamo a Suite . Entriamo nell’emporio “Suite “ , piano piano srotoliamo la nuova stoffa , appena arrivata , colorata , leggera , una nuvola impalpabile . Oppure spessa , calda e anche ruvida come certe lane sarde . Ma non ci accontentiamo della prima impressione e allora ci diciamo << Appena posso , ritorno >>. E infatti torniamo : con calma osserviamo e srotoliamo ancora , infine tagliamo qualche pezzo , quello che ci sembra possa adattarsi più a noi . Sempre con estrema calma . Confezioniamo degli abiti e li mettiamo in esposizione , sempre su Suite naturalmente , perché altri prendano spunto e a loro volta lascino i loro abiti per noi . Un emporio – sartoria con creazioni dettate dal buon senso , da piccole considerazioni, anche fuori moda , sul savoir vivre ( magari per riuscire a farlo nostro ), socchiudendo piccole porte e spalancando grandi finestre affinchè entrino quelle stoffe o quegli abiti che ci aiutino a star bene . Benvenuti all’Emporio –Sartoria “Suite “ .
Ps : Avrei voluto postare un brano della nostra Irma Toudjian ma non ho trovato :((
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Mansardo ha scritto: Dobbiamo imparare ad ascoltare i nostri ritmi, fermarci quando siamo stanchi, dormire quando abbiamo sonno, bere quando abbiamo sete. Certo, l'eccezione ci può stare, tutti abbiamo fatto una notte in bianco per amore o per studiare un esame. Ma qui non stiamo parlando di eccezioni. Qui parliamo della sistematica saturazione del tempo, della sistematica bramosìa di ubiquità fisica e mentale. Fretta e avidità sono due scorciatoie per la rovina dell'uomo. Dobbiamo riscoprire la lentezza, i tempi giusti, rinunciare a qualcosa e goderci di più il resto.
Mansardo, ciò che hai scritto è quanto mi sono prefisso di fare della mia vita; ancora non so come sarà ma so bene come voglio vivere e quale ritmo vorrei per la mia esistenza. Quindi le tue parole mi stanno a pennello, come un abito su misura. Quanto a ciò che ha scritto Maria Luisa ho sempre pensato che, siccome non si trovano due anime identiche o due personalità perfettamente uguali, allora non c'è ragione di vestirsi in fotocopia. Mi piacerebbe un pò più di spazio per la libera inventiva, ben oltre il vestire naturalmente.
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Mi assumo l'onere e l'onore di definirmi "musicista"... oggi durante le prove del mio gruppo abbiamo scelto per la prima volta di fare un tributo a De Andrè, eseguiremo Amico Fragile l'11 a Nuoro in occasione di un nostro live e questa canzone la dedico a questo topic molto molto bello. Giovanni
Ciao Giovanni , benvenuto in Suite . Grazie per le belle parole e la dedica , molto gradita . Auspici per il percorso musicale col tuo gruppo . Ps : mi sono permessa di riproporre il video che non era visibile . Eccolo .
A un concerto di Fabrizio De Andrè mi lega un episodio molto particolare, unico nella mia vita, che mi ha fatto riflettere sull'esistenza dell'angelo custode.
1991, Fiera campionaria di Cagliari. Alle 20 aprono i cancelli. Entra soltanto chi ha il biglietto ben in vista. All'interno della Fiera, 200 metri dopo quel primo cancello, c'è l'ingresso dell'arena dove alle 21 è previsto il concerto e dove strappano i biglietti. In mezzo alla calca entro, mostro il biglietto e mi precipito verso l'area recintata con i posti a sedere (non erano numerati). Arrivato all'ingresso dell'arena mi accorgo di aver perso il biglietto. Mi era scappato di mano nella corsa tra l'ingresso della Fiera e l'arena. La folla mi impedisce di tornare subito indietro e a maggior ragione di cercare il mio biglietto. Avviso i miei amici di tenermi un posto e aspetto che la folla si diradi poi torno indietro, ispezionando palmo a palmo i 200 metri percorsi poco prima in direzione opposta. Niente.
Arrivo all'ingresso della Fiera completamente sfiduciato. Non so più che fare quando noto un pezzo di carta celeste accartocciato vicino al muro di cinta. Mi avvicino senza troppe illusioni e lo raccolgo. Lo svolgo. Un tuffo al cuore: il biglietto. Sporco, pieno di impronte di suole di scarpe, ma intatto. Torno all'ingresso dell'arena, entro e raggiungo finalmente i miei amici.
La storia sarebbe già inusuale così. Ma non è finita. I biglietti per me e per i miei amici li avevo comprati tempo prima al box office. Appartenevano tutti allo stesso blocchetto. Controllo il numero di serie del biglietto che stringo tra le mani: non è quello che avevo perso. Ha un numero di serie bassissimo, completamente diverso dagli altri del gruppo.
A distanza di quasi vent'anni, ancora non ho parole. Era un altro biglietto, non quello da me smarrito venti minuti prima.
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Marialuisa ha scritto: ... E’ che talvolta mi capita di pensare a Suite in termini sartoriali , mi ricorda quei grandi rotoli di tessuto accatastati negli empori che spesso visitavo negli anni della giovinezza . La mia mamma era una entusiasta frequentatrice di sarte e sartine , adorava comprare tessuti , mussole , lini e organze che sapientemente faceva trasformare in mises per tutte le occasioni , anche per quelle che la sua mente desiderava e che non avrebbe mai avuto modo indossare per alcuna occasione . Passava delle mezze ore interminabili ad accarezzare stoffe che ammirava alla luce e in controluce e credo – se avesse potuto – avrebbe annusato per carpirne oltre la consistenza anche l’intima essenza . Si recava svariate volte all’emporio prima della scelta definitiva , controllava e ricontrollava , magari dal mattino alla sera la luce che colpiva diversamente le stoffe faceva sì che decidesse per una stoffa o per un’altra . E poi , le discussioni con la sarta : personcina da prender con le pinze , a momenti quasi da blandire , e infine da conquistare definitivamente . Ma torniamo a Suite . Entriamo nell’emporio “Suite “ , piano piano srotoliamo la nuova stoffa , appena arrivata , colorata , leggera , una nuvola impalpabile . Oppure spessa , calda e anche ruvida come certe lane sarde . Ma non ci accontentiamo della prima impressione e allora ci diciamo << Appena posso , ritorno >>. E infatti torniamo : con calma osserviamo e srotoliamo ancora , infine tagliamo qualche pezzo , quello che ci sembra possa adattarsi più a noi . Sempre con estrema calma . Confezioniamo degli abiti e li mettiamo in esposizione , sempre su Suite naturalmente , perché altri prendano spunto e a loro volta lascino i loro abiti per noi . Un emporio – sartoria con creazioni dettate dal buon senso , da piccole considerazioni, anche fuori moda , sul savoir vivre ( magari per riuscire a farlo nostro ), socchiudendo piccole porte e spalancando grandi finestre affinchè entrino quelle stoffe o quegli abiti che ci aiutino a star bene . Benvenuti all’Emporio –Sartoria “Suite “ .
Splendida metafora. Anche perchè Suite, come le vecchie botteghe di stoffe, come le mercerie, è anche un'esposizione dove si osserva, si scruta, si tasta la grana delle varie "stoffe" e spesso si va via senza lasciare un segno. Ma, come hai notato molto opportunamente, si ritorna. Perchè è come se si percepisse che - tra le tante proposte - ci sia quella adatta ad accompagnare un momento della giornata. Perchè si vuole riascoltare una bella musica o rileggere Montale. E magari una "stoffa" un po' nascosta nello scaffale più alto, sempre snobbata, viene notata per caso e apprezzata.
Quando ero bambino, un paio di volte mia madre mi portò con sé da una sartina che abitava in periferia in una casa bassa, piccolina, molto vecchia e con un forte odore di cavolo soffocato. Per entrare non c’era bisogno di bussare. La porta era sempre aperta, come si usa ancora nei paesi e nei vicoletti di città dove tutti si conoscono. Si scendevano due scalini e ci si trovava subito nella sala da pranzo, che fungeva da sala d’aspetto, arredata con una certa trascuratezza e con gusto datato ma non contraddittorio. Ogni cosa, dai muri alle sedie, sapeva di cavolo. I mobili erano scuri, laccati e spolverati raramente. Sul marmo della credenza, desolata e con uno specchio ampio pieno di foto di famiglia infilate nei bordi, campeggiava una fruttiera in silver. Vuota. Sopra il tavolo quadrato, troppo grande per la sala, una cornice con il primo piano in bianco e nero di un signore con i baffetti e i capelli impomatati. Accanto all’ingresso, un portariviste pieno di giornali di moda già molto sfogliati. Dopo pochi istanti dal nostro ingresso compariva la sarta, signorina più per necessità che per virtù, dall’aspetto abbastanza trasandato e un paio di occhiali con le lenti molto spesse da ipermetrope. Non capivo perché veniva chiamata sartina se era non più giovane e piuttosto corpulenta. Annunciata dal fruscìo delle pantofole, si scusava con un sorriso dolce e invitava ad accomodarsi mentre si affrettava a tornare in camera da letto (il “camerino”) per finire di provare un vestito a un’altra cliente. Quando era il turno di mia madre, io l’aspettavo con impazienza e ogni tanto uscivo da quella specie di sottano perché avevo paura che i miei vestiti si impregnassero di odore di cavolo. In quegli anni portavo sempre con me una macchinetta. Soprattutto quando sospettavo di andare in posti dove mi sarei annoiato. E così, anche in casa della sartina, giocavo seduto sugli scalini dell’uscio oppure sul tavolo della sala da pranzo. Ricordo che spesso mi restavano attaccati ai gomiti brandelli di filo per cucire. Terminate le prove, la sartina ci accompagnava alla porta e si congedava da noi con cordialità. Fu così anche l’ultima volta, quando forse intuì che non saremmo più tornati. Troppi orli storti, cuciture creative e bottoni disallineati.
Buona giornata.
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santobevitore ha scritto: Quanto a ciò che ha scritto Maria Luisa ho sempre pensato che, siccome non si trovano due anime identiche o due personalità perfettamente uguali, allora non c'è ragione di vestirsi in fotocopia. Mi piacerebbe un pò più di spazio per la libera inventiva, ben oltre il vestire naturalmente.
Ciao santobevitore , è un piacere leggerti anche qui . Concordo perfettamente col tuo pensiero e , posto che ho imbastito il mio col e sul filo della metafora , ti prego di credere che nessuno fra più blasonati couturiers ha mai presentato creazioni più esclusive di quelle delle sartine . Ma davvero , erano abiti unici e irripetibili .
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Mansardo ha scritto: A un concerto di Fabrizio De Andrè mi lega un episodio molto particolare, unico nella mia vita, che mi ha fatto riflettere sull'esistenza dell'angelo custode.
E' così , Mansardo . Quelle cose inspiegabili , belle , misteriose che ci portiamo dietro tutta la vita .
Mio padre era ancora giovane , solo 66 anni : un accertamento , una diagnosi , neanche il tempo di rendercene conto , tutto nel breve trascorrere di un mese .
Ci dissero << E’ in precoma , ne avrà per alcuni giorni > Me lo portai a casa , preparai un letto nello studio e restammo con lui due interminabili giorni .
Se ne andò senza riprendere conoscenza , solo ci sembrava facesse leggère pressioni con la mano che alternativamente uno di noi gli stringeva . Lo lasciammo andar via con serenità . Stupidamente pensai che i libri tutt’intorno e la nostra vicinanza gli rendessero facile l’abbandonarci.
I primi periodi non lo sognai , ma come per incanto quando mi sedevo a lavorare nello studio , mi coglieva all’improvviso quel suo inconfondibile profumo di tabacco che mi teneva compagnia per alcuni momenti . Per molto tempo non ne ho parlato con nessuno , ho custodito gelosamente questa sensazione dentro me .
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Marialuisa ha scritto: Ciao santobevitore , è un piacere leggerti anche qui . Concordo perfettamente col tuo pensiero e , posto che ho imbastito il mio col e sul filo della metafora , ti prego di credere che nessuno fra più blasonati couturiers ha mai presentato creazioni più esclusive di quelle delle sartine . Ma davvero , erano abiti unici e irripetibili .
Grazie Maria Luisa, era una bella metafora e mi ha fatto pensare a questo dipinto:
D. Induno, Scuola di sartine[/center[center]]
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Mansardo ha scritto: A un concerto di Fabrizio De Andrè mi lega un episodio molto particolare, unico nella mia vita, che mi ha fatto riflettere sull'esistenza dell'angelo custode.
E' così , Mansardo . Quelle cose inspiegabili , belle , misteriose che ci portiamo dietro tutta la vita . Mio padre era ancora giovane , solo 66 anni : un accertamento , una diagnosi , neanche il tempo di rendercene conto , tutto nel breve trascorrere di un mese . Ci dissero << E’ in precoma , ne avrà per alcuni giorni > Me lo portai a casa , preparai un letto nello studio e restammo con lui due interminabili giorni . Se ne andò senza riprendere conoscenza , solo ci sembrava facesse leggère pressioni con la mano che alternativamente uno di noi gli stringeva . Lo lasciammo andar via con serenità . Stupidamente pensai che i libri tutt’intorno e la nostra vicinanza gli rendessero facile l’abbandonarci. I primi periodi non lo sognai , ma come per incanto quando mi sedevo a lavorare nello studio , mi coglieva all’improvviso quel suo inconfondibile profumo di tabacco che mi teneva compagnia per alcuni momenti . Per molto tempo non ne ho parlato con nessuno , ho custodito gelosamente questa sensazione dentro me .
Toccante testimonianza che nobilita tutti i nostri discorsi. C'è soltanto uno "stupidamente" in più. Stringervi intorno a lui è stato un gesto fondamentale, se mi posso permettere. Ricordando poi una sua frase citata tempo addietro (Il mio povero babbo mi aveva fatto credere che studiando i classici e suonando il pianoforte avrei potuto vivere serena), suppongo che anche il resto gli sarebbe stato di conforto. E chissà che non sia andata davvero così.
Il mio racconto sul biglietto, invece, è stato soltanto un pretesto. I fatti che contano sono altri. Quello che hai narrato. Tutti quelli in cui davvero ho sentito due mani che mi afferravano perchè non cadessi nel vuoto.
Se pensiamo che l'essenziale è invisibile agli occhi possiamo credere che ci sia qualcosa di spirituale, immateriale, che in qualche modo ci accompagna e spesso ci salva. C'è chi lo chiama angelo custode e chi con altri nomi.
Se invece riteniamo che esista soltanto ciò che vediamo e che possiamo toccare, allora sono tutte coincidenze.
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