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Nota Bene: Is Lorighitta - pasta tipica preparata a mano attorcigliando tra le dita un doppio filo di pasta fino a creare una treccina chiusa a formare un anello (loriga, in sardo), tipica del comune di Morgongiori



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Nevathrad

Utente Maestro




Inserito il - 19/08/2009 : 00:10:35  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando

Qualche anno fa, forse otto o dieci, in un angolo di strada salendo su verso via Manno, fui attratta da una musica bellissima, antica ma nuova, melodiosa, cascate di note che si rincorrevano allontanandosi per poi tornare vicine… fermandosi quasi all’improvviso per poi ripartire più veloci, dando la sensazione di navigare in un torrente impetuoso e imprevedibile. Guidata dalla musica trovai alla fine un giovane uomo di colore che suonava, con una fierezza ed una eleganza non comuni, uno strumento che non avevo mai visto, una specie di incrocio tra un grosso liuto panciuto e uno strumento tribale che in seguito ho scoperto chiamarsi kora. Rimasi lì ad ascoltarlo incantata, lasciandomi avvolgere da quel suono che tanto ricorda un’arpa, non so più per quanto tempo. Non avrei dimenticato mai più quello che proveniva dalla sua anima, ma soprattutto non sono riuscita mai a dimenticare quella musica..









  Firma di Nevathrad 

 Regione Sardegna  ~  Messaggi: 5815  ~  Membro dal: 13/10/2008  ~  Ultima visita: 05/04/2011 Torna all'inizio della Pagina

Mansardo
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 19/08/2009 : 11:38:17  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Mansardo Invia a Mansardo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Nevathrad ha scritto:


Qualche anno fa, forse otto o dieci, in un angolo di strada salendo su verso via Manno, fui attratta da una musica bellissima, antica ma nuova, melodiosa, cascate di note che si rincorrevano allontanandosi per poi tornare vicine… fermandosi quasi all’improvviso per poi ripartire più veloci, dando la sensazione di navigare in un torrente impetuoso e imprevedibile. Guidata dalla musica trovai alla fine un giovane uomo di colore che suonava, con una fierezza ed una eleganza non comuni, uno strumento che non avevo mai visto, una specie di incrocio tra un grosso liuto panciuto e uno strumento tribale che in seguito ho scoperto chiamarsi kora. Rimasi lì ad ascoltarlo incantata, lasciandomi avvolgere da quel suono che tanto ricorda un’arpa, non so più per quanto tempo. Non avrei dimenticato mai più quello che proveniva dalla sua anima, ma soprattutto non sono riuscita mai a dimenticare quella musica..


Ricordo anch'io quel ragazzo in via Manno.
Ne ricavai le tue stesse impressioni, mi colpì positivamente.
Non era un semplice questuante, era un serio e coinvolgente busker, musicista itinerante.

Credevo che lo strumento si chiamasse sitar.







  Firma di Mansardo 
Thomas Kinkade, Stepping Stone Cottage

 Regione Sardegna  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 551  ~  Membro dal: 05/06/2008  ~  Ultima visita: 01/05/2016 Torna all'inizio della Pagina

Nevathrad

Utente Maestro




Inserito il - 19/08/2009 : 13:01:47  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Mansardo ha scritto:

Credevo che lo strumento si chiamasse sitar.

In effetti si somigliano molto, hanno la cassa ricavata da una grossa zucca. Il sitar, però, è tipico dell'India (ricordi i Beatles?) e mi sembra già molto più evoluto, la cassa è coperta da un foglio di legno, mentre il kora è africano ed è coperto da pelle animale. Ma anche il suono è diverso... il sitar ha la capacità di allungare le note, di trascinarle e, forse l'aggettivo è irriverente, il suono è quasi "lamentoso".

Vedo delle novità nella tua firma...






Modificato da - Nevathrad in data 19/08/2009 13:03:36

  Firma di Nevathrad 

 Regione Sardegna  ~  Messaggi: 5815  ~  Membro dal: 13/10/2008  ~  Ultima visita: 05/04/2011 Torna all'inizio della Pagina

Marialuisa

Utente Master



Inserito il - 20/08/2009 : 19:32:10  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Marialuisa Invia a Marialuisa un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Nevathrad ha scritto:
Vedo delle novità nella tua firma...


Sì , felice anche io di notarle.

Un pensiero per la neonata



E un pensiero per voi , che sia di sollievo in questa canicola .


Suomenlinna






  Firma di Marialuisa 

 Regione Sardegna  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 2410  ~  Membro dal: 10/11/2007  ~  Ultima visita: 05/09/2016 Torna all'inizio della Pagina

Mansardo
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 21/08/2009 : 17:00:29  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Mansardo Invia a Mansardo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Il cigolio della cassapanca. - I

"
...


E’ domenica mattina.
Il sole non è prepotente come in Sardegna, ma pallido e leggero. Fatica come al solito a liberare dalla brina i fili d’erba e i fiori lillà che riempiono la vista dalla finestra di camera mia.
Poltrisco sul letto sfatto, pensando a quanto deve essere frizzante l’aria là fuori e benedicendo il tepore domenicale che mi culla e mi priva di ogni volontà che implichi una pur simbolica fatica.
Guardo la libreria accanto al letto e, dopo qualche momento di indecisione, prendo il libro di Charles Berlitz Bermuda: il Triangolo maledetto, l’unico che posso afferrare senza muovere neanche un muscolo oltre quelli strettamente necessari del braccio.
Apro il volume e, prima ancora di cominciare la lettura, scorgo uno sparuto plotoncino di granelli di sabbia scivolare intrepidi dalle prime pagine sulla coperta del letto.
Resto a fissare quegli inattesi coinquilini e mi torna alla mente l’ultima volta in cui lessi il libro che ho tra le mani, in spiaggia.
A Porto Sa Ruxi. O forse a Chia.
A casa.
Ed eccola la risacca della memoria.
Ecco il mare e la morbida sensazione dei piedi che affondano nella sabbia bianca.
Ecco l’acqua cristallina che cambia il colore degli occhi di chi vi si immerge.
Ecco la Sella del Diavolo che vigila sulle nostre teste con la sua autorevole fissità.

Cosa resta della propria terra quando si è lontani?
Le immagini della vita familiare, i baci della persona amata, le gite con gli amici di sempre, la partite di pallone fino allo sfinimento, il senso di appagamento dopo una grigliata di pesce mentre l’odore della brace ha già impregnato i vestiti e le dita hanno il profumo della buccia dei mandarini, l’allegra e chiassosa paura di un bagno in mare a mezzanotte, il vento in faccia alla guida di un motoscafo, il profumo dei boschi, un caminetto acceso per scaldarsi prima di andare a dormire, i tramonti, il vuoto che si apre al momento del distacco.
E poi ti restano tutti i visi a cui vuoi un gran bene, anche se non sempre l’hai ammesso o mostrato come avresti voluto.
Ti restano i gesti che ti hanno strangolato di emozione, le occasioni perdute – maledizione, anche quelle – e poi i pranzi con i parenti dove nonna, seduta vicino a me, posava la sua mano sul mio braccio per chiamarmi e raccontarmi storie che io fingevo di non aver mai sentito.
...

"








  Firma di Mansardo 
Thomas Kinkade, Stepping Stone Cottage

 Regione Sardegna  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 551  ~  Membro dal: 05/06/2008  ~  Ultima visita: 01/05/2016 Torna all'inizio della Pagina

Marialuisa

Utente Master



Inserito il - 24/08/2009 : 17:48:52  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Marialuisa Invia a Marialuisa un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Mansardo ha scritto:

Il cigolio della cassapanca. - I

"
...




Capacità straordinaria della natura umana, quella della memoria .
Ri/mettere a fuoco vecchie sensazioni o segmenti di vita richiamati dall'urgenza del ricordo e ordinarli come in un puzzle con la levità della scrittura è il grande privilegio dello scrittore .
Quello che però stupisce della scrittura è la capacità di creare condivisione tra scrittore e lettore : si condivide quella esperienza e si provano le stesse emozioni .
Forse per questo leggere aiuta a vivere o almeno insegna ad interrogarci , soprattutto su noi stessi .
E forse per questo scrittore e lettore hanno un ruolo assolutamente paritario : l'uno ha bisogno dell'altro e viceversa , l'uno senza l'altro non avrebbe ragione di esistere .

Ps:Aspettando la II Parte






  Firma di Marialuisa 

 Regione Sardegna  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 2410  ~  Membro dal: 10/11/2007  ~  Ultima visita: 05/09/2016 Torna all'inizio della Pagina

Mansardo
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 27/08/2009 : 08:37:25  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Mansardo Invia a Mansardo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Il cigolio della cassapanca – II




Stavo preparando uno degli ultimi esami per la laurea in Giurisprudenza e, per avere un po’ di soldi in tasca, insegnavo informatica in corsi professionali organizzati da un Istituto Salesiano arroccato nei monti della Sardegna.
Vivevo praticamente cinque giorni alla settimana in Istituto. Lezione la mattina, un po’ di relax pomeridiano in cameretta con la radio accesa a basso volume (oppure, quando il clima era clemente, partitina di calcio con i ragazzi dell’oratorio), studio di diritto commerciale sino all’ora di cena.
La giornata era nuvolosa. Guardai l’ora. Le 18 e 45. Fuori, buio pesto.
Frugai nella tasca dei pantaloni. Come sospettavo non avevo abbastanza gettoni per telefonare a casa. Dovevo andare a comprarne altri da don Osvaldo, l’economo.
Richiusi il testo di diritto, mi alzai dalla sedia, mi infilai il giubbotto e uscii dalla foresteria per tuffarmi nell’oscurità assoluta del cortile dell’Istituto.

L’ufficio dell’economo si trovava al primo piano dell’edificio principale, a una trentina di metri dalla foresteria, un caseggiato basso dove alloggiavo insieme ad altri ospiti non religiosi.
Entrai nello stabile, passai di fronte alla portineria vuota e buia e subito dopo mi affacciai alla porta del refettorio per salutare il ragazzino che ogni sera, a quell’ora, si esercitava al pianoforte verticale in attesa della cena.
Salii le scale e mi diressi verso l’ufficio di don Osvaldo, in fondo all’andito del piano superiore. Andito immerso nella più completa oscurità, naturalmente.

La luce dell’economato era accesa, bussai ed entrai.
Don Osvaldo, rotondo e pacioso come se fosse stato disegnato con un compasso, era seduto dietro la scrivania. Stava telefonando.
Con la mano libera mi fece cenno di avvicinarmi al suo scrittoio, lasciando persino intuire un sorriso di distratta cordialità.
Lo osservai come mai mi era capitato prima. Un’ampolla vivente. Tutto era largo nella sua figura. Il viso una luna piena, le rotonde gote rosa, il mento alla zuava e la montatura degli occhiali ampia e spessa. Sovrappeso anche lei.
Davanti a lui, le cartelle di documenti e gli oggetti di cancelleria erano poggiati sulla scrivania con studiata noncuranza.
Dopo pochi istanti si congedò con l’interlocutore, chiuse il telefono, sistemò due fatture in una cartella e mi guardò senza sforzarsi di sorridere. “Cosa ti serve, figliolo?”
“Venti gettoni”.
Restando seduto, aprì il cassetto centrale ripetendo sottovoce “venti gettoni” con l’inconfondibile accento ciociaro. Poggiò sulla scrivania un vecchio contenitore di biscotti, di quelli in latta con raffigurate immagini bucoliche, tolse il coperchio e tirò fuori una prima manciata di gettoni, lasciandoli cadere sullo scrittoio uno a uno.
Pareva che stesse snocciolando il rosario.
All’improvviso, nel bel mezzo della conta, si addormentò.
Restò con il braccio proteso verso il mucchietto di gettoni già messi da parte, il capo chinato in avanti, un inequivocabile ronfare che gonfiava ritmicamente il ventre.
Io, in piedi, lì davanti. Basito.
Incrociai le braccia e forse spalancai leggermente le labbra per la sorpresa.
Lo guardavo senza sapere cosa fare, pregando che la catalessi non durasse ore. Sapevo che era narcolettico, quindi non mi preoccupai più di tanto.
Contai decine di rintocchi del pendolo appeso in corridoio. Sembrava che qualcuno ne avesse aumentato il volume.
Tic toc. Tic toc. Tic toc...

A dire la verità, mi sentivo un po’ in imbarazzo ed ebbi quasi voglia di ridere. Non lo feci. Ma guarda, pensai, qui è pieno di soldi e questo se la dorme alla grande. L’economo.
Dopo alcuni minuti cominciai a pormi qualche scrupolo. E se si fosse sentito male? Dovrei chiamare aiuto?
Il mio impaccio si dissolse ben presto.
Come colpito da una bacchetta magica, Don Osvaldo riaprì gli occhi, drizzò la testona e, ancora intorpidito, riprese la conta da dove l’aveva interrotta.
Io, forse con le labbra ancora leggermente spalancate, ritirai i gettoni, pagai e uscii salutandolo con un gesto della mano al quale lui rispose senza fiatare con un cenno di assenso del capo.
L’immenso andito buio mi riprese in consegna, mentre il pendolo implacabile dispensava secondi con innegabile senso del futuro.










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Thomas Kinkade, Stepping Stone Cottage

 Regione Sardegna  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 551  ~  Membro dal: 05/06/2008  ~  Ultima visita: 01/05/2016 Torna all'inizio della Pagina

Tranquillo
Salottino
Utente Senior

Ironic Man



Inserito il - 27/08/2009 : 23:01:37  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Tranquillo Invia a Tranquillo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Mansardo ha scritto:
......
Cosa resta della propria terra quando si è lontani?
Le immagini della vita familiare, i baci della persona amata, le gite con gli amici di sempre, la partite di pallone fino allo sfinimento, il senso di appagamento dopo una grigliata di pesce mentre l’odore della brace ha già impregnato i vestiti e le dita hanno il profumo della buccia dei mandarini, l’allegra e chiassosa paura di un bagno in mare a mezzanotte, il vento in faccia alla guida di un motoscafo, il profumo dei boschi, un caminetto acceso per scaldarsi prima di andare a dormire, i tramonti, il vuoto che si apre al momento del distacco.
E poi ti restano tutti i visi a cui vuoi un gran bene, anche se non sempre l’hai ammesso o mostrato come avresti voluto.
Ti restano i gesti che ti hanno strangolato di emozione, le occasioni perdute – maledizione, anche quelle – e poi i pranzi con i parenti dove nonna, seduta vicino a me, posava la sua mano sul mio braccio per chiamarmi e raccontarmi storie che io fingevo di non aver mai sentito.
[b]...






Leggendo questo brano son stato assalito, deliziato, torturato da tanti flashback.
Non so se causati da ciò che mi è rimasto "della propria terra" o "dei tempi andati".
Forse un pò dal primo, tanto dal secondo.
Che strano sapore agrodolce.











  Firma di Tranquillo 
http://tranquillando.blogspot.com



 Regione Toscana  ~ Città: .  ~  Messaggi: 1886  ~  Membro dal: 17/03/2007  ~  Ultima visita: 20/02/2011 Torna all'inizio della Pagina

oltre i limiti

Utente Medio


Inserito il - 28/08/2009 : 08:36:16  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di oltre i limiti Invia a oltre i limiti un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
cosa resta della propria terra quando si è lontani?

vorrei essere fra un gettone e l’altro, nel momento e nella caduta interrotta , come in un fermo immagine, così tanto abusato in pubblicità, per riuscire a spiegare compiutamente, cosa sia rimasto in me della mia terra, del vuoto assoluto che impone -essere- e non appartenenza
Parole rotonde come sassi, pronti a rotolare, a lasciare il posto a altri sassi e a piedi privi di calzatura.

Cosa resta , o cosa mi resta di un volo di falchi pellegrini?
Sono trascorsi ormai trenta anni da quando ho lasciato l’approdo, e dieci anni da quando è morta mia madre, giovane respiro di una terra che non ha mai lasciato , che non ha mai visto il mare se non in un congelato ricordo di primavera, quando, però, la sua attenzione era il distacco e non la scoperta. Non vide mai l’oltre eppure lo conosceva proprio perché non c’era mai stata , proprio perché era -isola-

Ho imparato questo dalla mia terra-isola: il solitario passaggio in eterno abbandono.

Ogni terra la si riconosce per i propri odori e sapori , per i propri morti e maestri, ma ciò che mi porto dentro è qual cosa di più prossimo al deserto, un luogo d’incontro con se stessi nel momento dell’aratura , nel tempo di bucanni suaru , quando il rosso non è sangue ma terra, tarra cana.
Cosa resta di quella nostalgia che ho strappato fino a farla diventare concime.
Cosa resta del bisogno di sentirsi a casa propria , nei suoni e nei movimenti? Nulla. Non Ho allevato timori o bisogni infantili, non ho rapito i ricordi per custodirli in scatole d’argento. Li ho gonfiati, fatti diventare leggeri palloncini e poi li ho dispersi.; e ora , qui la mia terra è d’esilio , ma non perché ostile o insopportabile, inospitale o nebbiosa, non perché lu pani cilindratu è pane di pasta dura, semplicemente non è la mia terra.
E l’ho capito guardando mio figlio, nato qui, cresciuto come voglia e conoscenza, ho guardato i suoi occhi, ho sentito i suoi profumi, le sue voglie, i suoi suoni; ho guardato mio figlio: é Sardegna.
Che cosa è rimasto della mia terra: nulla, perché non è mai stata.
La mia terra: é. E ciò che non è disposta a riconoscere in me, non è nella terra che mi porto dentro, o in ciò che sono ora, ma è in ciò che la terra non riconosce di se stessa.






Modificato da - oltre i limiti in data 28/08/2009 08:39:04

 Regione Lombardia  ~ Prov.: Milano  ~ Città: milano  ~  Messaggi: 132  ~  Membro dal: 17/03/2009  ~  Ultima visita: 10/01/2014 Torna all'inizio della Pagina

Mansardo
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 28/08/2009 : 10:44:41  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Mansardo Invia a Mansardo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Strano sapore agrodolce.
Nostalgia strappata fino a diventare concime.
I ricordi, leggeri palloncini dispersi.


La memoria è tutto questo.
E molto altro. E’ un pezzo di specchio che abbiamo trovato per caso e che – dopo tanti anni – riflette ancora l’immagine di nostra madre invece di mostrarci la nostra faccia, invecchiata e speculare, riconoscibile ma inesistente.
E’ un lombrico. Inghiotte e filtra ciò che trova nel proprio cammino, un lento cammino, lento come il tempo. Inghiotte, filtra e metabolizza, poi rielabora e rilascia poco più in là.
Concime, appunto. Che fertilizza, non atrofizza.

Un nuovo ricordo. Arricchito, mai definitivo. Qualsiasi gioia, dispiacere, amore, notte, sguardo, ferita, morte, sorriso, passato al setaccio della memoria diventa ricordo e non è più la stessa cosa. Diventa un ologramma. Un ricordo è una rappresentazione di qualcosa, è un film senza il proiettore che ronza e squarcia il buio.

La memoria produce ricordi anche se noi non vogliamo. Se la tagliamo in due, ricresce.
Mai definitiva. La memoria non è mai definitiva. Cammina con noi, cresce con noi, si corrompe con noi. Non ci fa ombra. E’ la nostra ombra.
Ho sempre pensato che la vera rimozione sia al di fuori della nostra portata.
Possiamo illuderci di esserci riusciti, anche per molto tempo, poi basta una musica, una fotografia, due occhi, due rughe, un profumo e capiamo quanto siamo impotenti.

Coltivare la memoria aiuta a non restarne prigionieri.
Abbiamo tutti una curva naturale da seguire.
Seguiamola senza paura.







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Thomas Kinkade, Stepping Stone Cottage

 Regione Sardegna  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 551  ~  Membro dal: 05/06/2008  ~  Ultima visita: 01/05/2016 Torna all'inizio della Pagina

Nevathrad

Utente Maestro




Inserito il - 28/08/2009 : 11:52:19  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Mansardo ha scritto:
Possiamo illuderci di esserci riusciti, anche per molto tempo, poi basta una musica, una fotografia, due occhi, due rughe, un profumo e capiamo quanto siamo impotenti.

E' profondamente vero... niente è potente quanto il risveglio involontario di un ricordo... un odore, un suono, una voce, un colore improvvisi sono capaci di annullare anni di puro e inutile e apparente oblio.


Coltivare la memoria aiuta a non restarne prigionieri.
Abbiamo tutti una curva naturale da seguire.
Seguiamola senza paura.

Non ha senso combatterla, visto che l'unico evento capace di ucciderla è proprio la nostra morte. E spesso nemmeno questa è in grado di cancellarla completamente, lasciamo sempre qualcosa di noi ai nostri cari. E tutto va a versarsi in una memoria universale dove, in una serie di travasi, nulla andrà perduto ma soffierà con altri aliti, in una concatenazione infinita.






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 Regione Sardegna  ~  Messaggi: 5815  ~  Membro dal: 13/10/2008  ~  Ultima visita: 05/04/2011 Torna all'inizio della Pagina

oltre i limiti

Utente Medio


Inserito il - 28/08/2009 : 13:20:07  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di oltre i limiti Invia a oltre i limiti un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
cosa resta della nostra terra quando si è lontani 2

mansardo,

quello che ho cercato di dire è che la terra è la Terra: non ha bisogno di noi e noi non vorremmo esserne sottomessi. La terra segue il suo ciclo nella natura, della natura è sostanza; noi, per ciò che ci siamo dati, per la smania di capire e di anticipare azioni che vorremmo comprendere, noi, dicevo, ci aggrappiamo a essa come naufraghi, e per necessità di sicurezza, noi la terra, la facciamo diventare un bisogno. Soddisfare questo bisogno può portare al conflitto perché è tentativo di modificare, cambiare per farla nostra, senza minimamente considerare che ciò che man mano otteniamo è solo una terra artificiale, come parte della natura artificiale che abbiamo creato per nostro uso e consumo e per la nostra sopravvivenza. Ciò che non consideriamo è che il bisogno di Terra, non è esigenza di naturalità quanto conflitto con la natura artificiale che abbiamo creato.

La terra non può essere nostra, noi abbiamo deciso di essere altro: ciò che non sappiamo riconoscere in lei è ciò che noi gli attribuiamo: appartenenza.

Ho cercato di dire che vorrei essere un viaggiatore e non un naufrago anche se decidessi di stare nella mia terra o di tornare a essa. Vorrei essere, senza essere terra, non per paura della nostalgia , non per paura del passato, vorrei essere senza terra per essere della terra ciò che la terra vuole che io sia. Ma ne tu ne io , sappiamo ciò che la terra si aspetta da noi, anzi sembra che ci voglia affrancare da sé, cosi vorremmo che fosse , e così che interpretiamo una madre nel recidere con i denti il cordone. Vai, sembra dirci: vai, ciò che sarà, è ciò che io non posso essere -

la memoria
La memoria è altro dalla terra, è un percorso profondo per arrivare a essa: se ne possono vedere le due direzioni, quella che affonda nel passato e quella che ci proietta nel futuro. Possiamo scegliere, e da questa scelta dipende il nostro bisogno di terra , il nostro volere essere terra.
La memoria è nostalgia, stare fermi/ è fatalità; la memoria é futuro, é movimento.

L’una può non escludere l’altra, ma mentre la terra sconfigge i nostri limiti, noi ne siamo prigionieri.
Questo è, forse, uno dei significati del peccato originale: la memoria non è la nostra terra, confonderla è un peccato di presunzione, prescinderne é porsi assoluto.






Modificato da - oltre i limiti in data 28/08/2009 13:37:23

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Mansardo
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 29/08/2009 : 09:05:55  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Mansardo Invia a Mansardo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
oltre i limiti ha scritto:

cosa resta della nostra terra quando si è lontani 2

mansardo,

quello che ho cercato di dire è che la terra è la Terra: non ha bisogno di noi e noi non vorremmo esserne sottomessi. La terra segue il suo ciclo nella natura, della natura è sostanza; noi, per ciò che ci siamo dati, per la smania di capire e di anticipare azioni che vorremmo comprendere, noi, dicevo, ci aggrappiamo a essa come naufraghi, e per necessità di sicurezza, noi la terra, la facciamo diventare un bisogno. Soddisfare questo bisogno può portare al conflitto perché è tentativo di modificare, cambiare per farla nostra, senza minimamente considerare che ciò che man mano otteniamo è solo una terra artificiale, come parte della natura artificiale che abbiamo creato per nostro uso e consumo e per la nostra sopravvivenza. Ciò che non consideriamo è che il bisogno di Terra, non è esigenza di naturalità quanto conflitto con la natura artificiale che abbiamo creato.

La terra non può essere nostra, noi abbiamo deciso di essere altro: ciò che non sappiamo riconoscere in lei è ciò che noi gli attribuiamo: appartenenza.

Ho cercato di dire che vorrei essere un viaggiatore e non un naufrago anche se decidessi di stare nella mia terra o di tornare a essa. Vorrei essere, senza essere terra, non per paura della nostalgia , non per paura del passato, vorrei essere senza terra per essere della terra ciò che la terra vuole che io sia. Ma ne tu ne io , sappiamo ciò che la terra si aspetta da noi, anzi sembra che ci voglia affrancare da sé, cosi vorremmo che fosse , e così che interpretiamo una madre nel recidere con i denti il cordone. Vai, sembra dirci: vai, ciò che sarà, è ciò che io non posso essere -

la memoria
La memoria è altro dalla terra, è un percorso profondo per arrivare a essa: se ne possono vedere le due direzioni, quella che affonda nel passato e quella che ci proietta nel futuro. Possiamo scegliere, e da questa scelta dipende il nostro bisogno di terra , il nostro volere essere terra.
La memoria è nostalgia, stare fermi/ è fatalità; la memoria é futuro, é movimento.

L’una può non escludere l’altra, ma mentre la terra sconfigge i nostri limiti, noi ne siamo prigionieri.
Questo è, forse, uno dei significati del peccato originale: la memoria non è la nostra terra, confonderla è un peccato di presunzione, prescinderne é porsi assoluto.


Le tue considerazioni sono pienamente condivisibili e comunque perfettamente compatibili con il senso di nostalgia (della propria terra di origine) che talvolta può aggredire chi deve vivere lontano da casa, dagli affetti, e non oppone resistenza alle imboscate della memoria.

L'unica cosa che non condivido del tutto è che "il bisogno di Terra, non è esigenza di naturalità quanto conflitto con la natura artificiale che abbiamo creato".
Non escluderei affatto che il bisogno di terra sia proprio esigenza di naturalità, intesa proprio come ritorno alla semplicità, al rispetto delle leggi di natura, al godimento di quei doni preziosissimi e mai abbastanza valorizzati che la terra ci offre e quindi intesa come rifiuto della (=conflitto con la) natura artificiale che abbiamo creato.







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Thomas Kinkade, Stepping Stone Cottage

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Mansardo
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 29/08/2009 : 09:34:01  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Mansardo Invia a Mansardo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Vorrei dedicare a Suite, ma soprattutto a tutti coloro che contribuiscono da un anno esatto a renderlo un luogo di libero confronto di pensieri, ricordi e Arte, una suite di capolavori di uno dei più grandi musicisti degli ultimi 40 anni.



Con l'augurio che ancora per tanto tempo Suite sia una prateria senza steccati dove poter scrivere, leggere, ascoltare e riflettere.

Grazie a tutti per aver condiviso una mia piccola idea e averla fatta diventare un bel rifugio.







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Thomas Kinkade, Stepping Stone Cottage

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oltre i limiti

Utente Medio


Inserito il - 29/08/2009 : 10:37:41  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di oltre i limiti Invia a oltre i limiti un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
cosa resta della nostra terra quando si è lontani 3

se il bisogno di terra fosse realmente esigenza di naturalità, ritorno alla semplicità, dovremmo spiegarci quanto ci sia di naturale nelle piramidi, nei giardini pensili di babilonia, nel partendone , in manhattan o nel ponte sullo stretto, o in scala minore, nelle nostre case o negl’orti che i nonni o gli zii coltivano . Cosa c’è di semplice nei concimi e nelle medicine.
Anche la parola/verbo/logos, dove porta se non verso il distaccarsi dalla natura, cosa è, la regola, se non intenzione di conoscenza per anticiparne risultati e conseguenze: conseguenze in eludibili , per noi, [terremoti, tsunami…].
nessuna fatalità in questo discorso, ma semplicemente dare un ordine ai passi per capirne non tanto la giustezza o il significato, ma percepirne il luogo dove essi insistono.

In questi giorni , con del tempo davanti, ho letto parte del bellissimo lavoro che stà facendo babborcu sui costumi e sui tessuti, ciò è bisogno di terra, di quella terra che alimenta le nostre radici, ma non è ne semplice ne comprensibile, anzi mostra la complessità dei gesti di mani che tessono e cuciono frammenti di terre altrui e proprie, per creare natura altra e immunizzata;
Nell’evitare o porre conflitti l’intenzione é distaccarsene lasciando solo alcuni, retroguardie e avanguardie, i pastori per esempio o gli scienziati, a interrogare la sfinge di turno e ogni volta a porgere la sola risposta possibile: l’uomo.

Dunque non la Natura, ma l’uomo è la nostra capacità di capire la terra di cui abbiamo bisogno.

[passo]






Modificato da - oltre i limiti in data 29/08/2009 10:40:02

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