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EdoSardo
Utente Medio
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Inserito il - 13/06/2007 : 09:19:45
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Certo, non importa se le risposte siano vere, l'importante è che ci siano, hai ragione!
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Ammutadori
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Ammutadori
Salottino
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Inserito il - 27/06/2007 : 13:40:28
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Abili navigatori i popoli dei nuraghi Giangiacomo Pisu, dall'Oceano ai porti Shardana in Sardegna
Il suo sogno? Scoprire i resti di una nave nuragica. Per Giangiacomo Pisu, marinaio di lungo corso con la passione per l'archeologia, sarebbe come per un investigatore trovare il cadavere di un omicidio. La prova materiale del delitto. Qui non ci sono crimini da svelare, ma uno dei segreti più affascinanti e misteriosi della nostra protostoria. Gli antichi abitanti della Sardegna erano navigatori oppure no? Quale rapporto con il mare avevano i nuragici e i loro padri?
Giangiacomo Pisu è convintissimo delle sue tesi: non ci possono essere più dubbi sul fatto che i sardi dell'età del ferro e del bronzo fossero degli abilissimi marinai, capaci di girare in lungo e largo il Mediterraneo per i loro traffici commerciali, ma anche per combattere come pirati o mercenari al soldo dei faraoni egizi.
C'è di più: i sardi erano ottimi ingegneri navali e avevano molte nozioni di astronomia. Quanto basta per spazzare il falso mito che da secoli ci portiamo dietro e che ci vuole un popolo di semplici contadini e pastori, timorosi del mare da cui - si dice - arrivavano solo nemici e terrore. Tutto questo, sempre secondo Pisu, per giungere a una conclusione: i costruttori dei nuraghi altri non erano che gli Shardana, uno dei popoli del mare citati nelle fonti bibliche ed egizie.
«Su questo punto posso fare solo congetture» sottolinea il marinaio-archeologo: «Nessun studioso oggi può affermare con certezza che gli Shardana provenissero dalla Sardegna. Le ricerche genetiche ci confermano che i nostri antenati erano diversi dagli altri popoli del Mediterraneo, ma ancora non conosciamo le origini dei progenitori dei popoli nuragici. Sulla base delle mie ricerche, però, posso sostenere che i sardi erano dei grandi marinai dell'antichità».
Giangiacomo Pisu sfida chiunque a contestare i dati scientifici che presenta nei suoi studi: «L'astronomia e l'ingegneria navale sono discipline universali. Non si può costruire una nave che non risponda alle leggi di galleggiabilità, stabilità e idrodinamica. Non potrebbe navigare e affonderebbe subito». A questi temi, che da anni lo appassionano come e più del mare, Pisu ha dedicato due libri: "La flotta Shardana" (Ptm, tre edizioni, la prima nel 2004) e "I porti nuragici" (Ptm, 2005). Ma chi è questo singolare marinaio che scrive saggi e va in giro per conferenze e dibattiti? Il curriculum, davvero unico, farebbe pensare a un anziano lupo di mare.
In realtà Giangiacomo ha solo 35 anni. Figlio di un operaio dell'Intermare di Arbatax, nasce a Baunei, dove vive tuttora. Studia all'istituto nautico di Cagliari e comincia a navigare a quindici anni. «Per mantenermi agli studi dovevo lavorare d'estate», dice. Dopo il diploma arrivano i primi veri imbarchi. Dal 1989 non si è più fermato: quattordici giri del mondo su ogni tipo di nave. Ha scalato tutti i gradi sino a diventare comandante in prima. «Mi posso vantare di essere stato il più giovane capitano di lungo corso d'Italia», rileva con giusto orgoglio.
L'ultimo viaggio l'ha appena concluso: sette mesi al comando di una nave "bull carrier", quei mostri degli Oceani di oltre centomila tonnellate e 200 metri di lunghezza. «Sono andato a prenderla a San Francisco, poi avanti e indietro per tre volte attraverso lo stretto di Panama trasportando cemento e farina di pesce. Perù, Florida, quindi nel Nord Europa dove ho caricato fertilizzanti per il Kenia e il Sud Africa che ho raggiunto passando per Gibilterra e il Canale di Suez.
Ora basta, dopo vent'anni comincio ad essere un po' stanco di questi viaggi oceanici anche perché sulle navi si è sempre più soli con personale composto interamente da filippini. Qualsiasi cosa accada puoi contare soltanto su te stesso». Giangiacomo Pisu non lo nasconde: vorrebbe un posto meno stressante, magari in una base nautica, in un porto o pilota di traghetto. «Così potrei approfondire i miei studi sui popoli nuragici», dice. Ma come è nata questa passione? «Andando per mare sin da ragazzo notavo i numerosi nuraghi che si affacciano sulla costa. Mi chiedevo a che cosa servissero in quella posizione.
Sui libri leggevo che i nuragici erano contadini e pastori e che le torri di pietra erano l'espressione della loro civiltà. Gli studiosi parlavano di case e fortezze, ma nessuno prendeva in considerazione i nuraghi costieri legati in qualche modo al mare. Per gli archeologi, in mancanza di un riscontro sul terreno, il problema proprio non esisteva. Ma come pensare di trovare i resti di una nave di legno tremila anni dopo?». Può spiegare il filo del suo ragionamento? «Semplice. Sono partito dallo studio tecnico di quelle torri costiere. Le ho guardate con l'occhio non dell'archeologo, ma del marinaio. Ho capito che erano i punti di rilevamento necessari per gli allineamenti a terra. Esattamente come si fa oggi: seguendo i segnali costieri si può arrivare in porto senza finire sugli scogli o nelle secche.
Così ho battuto palmo a palmo tutta la costa dell'isola e ho riscontrato almeno una trentina di possibili porti nuragici. Tutti perfettamente segnalati dalla posizione dei nuraghi. A quel punto avevo bisogno delle prove». Le ha trovate? «Certo. Mi sono immerso in ciascuna insenatura e ho individuato i resti evidenti di un qualsiasi porto: pietre squadrate di banchine, lastroni che servivano per la zavorra, rocce a forma di bitta e soprattutto numerose àncore. Tutti i reperti si trovano ad almeno quattro metri di profondità. Una prova in più visto che nei millenni il livello del mare si è alzato almeno di tre metri.».
Come sono le àncore nuragiche? «Di due tipi. Una semplice pietra con un foro al centro per piccole imbarcazioni e una più massiccia con tre buchi. I due fori laterali servivano per le marre di legno. Alcune di queste àncore sono state recuperate e sono conservate nei musei, ma per ciò che mi risulta nessuno le ha mai riportate all'epoca nuragica». Dove sono i porti nuragici? «Ho tracciato una mappa dettagliata. Tanto per citarne alcuni: Cagliari ne aveva tre (Santa Gilla, Via Roma, Capo Sant'Elia). Lungo la costa ogliastrina a Girasole, Tertenia, Cala Sisine e Cala Luna, risalendo Santa Lucia-Siniscola, Olbia, diversi approdi nell'arcipelago maddalenino e a Santo Stefano, Porto Pozzo, Santa Teresa, Cala Oliva e Cala del vino ad Alghero dove ho fatto i ritrovamenti più interessanti. Sicuramente nell'isola di Mal di Ventre, poi alcuni siti nel golfo di Oristano, a Sant'Antioco e a Tuerredda vicino a Capo Spartivento».
Lei ha scritto un libro sulla flotta Shardana. Sinora non è stato trovato alcun reperto di nave. Su quali basi poggia le sue ipotesi? «La prova dell'esistenza di una flotta nuragica si può trovare in ogni museo, solo che sino a poco tempo fa gli archeologi non l'hanno neppure presa in considerazione». Quale prova? «I bronzetti, è evidente. Conosciamo almeno un centinaio di bronzetti che rappresentano imbarcazioni. Venivano definite lampade votive. In realtà sono dei modellini, riproduzioni in scala di navi autentiche. Se i nuragici raffiguravano carri, animali e guerrieri, perché non dovevano riprodurre anche le loro navi? Le proporzioni sono perfette.
Dall'esame attento delle misure e delle forme, come di recente ha confermato in un suo libro l'archeologa dell'università di Sassari Anna Depalmas, è possibile ricostruire la tipologia delle imbarcazioni nuragiche». Com'erano? «Conosciamo almeno due tipi di navi commerciali. Le prime, larghe e piatte, si basavano sulla stabilità della forma. Le seconde, più strette, sulla stabilità dei pesi. Entrambe utilizzavano vele e remi, erano adatte alla navigazione costiera, ma anche a quella d'altura. Potevano arrivare a 40 metri di lunghezza per otto di larghezza, con un dislocamento a pieno carico di almeno 450 tonnellate. In pratica più grandi delle caravelle di Colombo».
Dunque, i sardi erano in grado di navigare per tutto il Mediterraneo. «Certo, come dimostrano i numerosi reperti frutto di scambi commerciali. Conoscevano i venti, le correnti e si muovevano di notte osservando le stelle. Potevano tornare in Sardegna misurando la latitudine ovunque si trovassero. Partivano in maggio e rientravano in ottobre. Sei mesi erano sufficienti per arrivare sino alla Turchia e per rientrare a casa con le loro merci».
di CARLO FIGARI www.unionesarda.it
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Ammutadori
Salottino
Utente Senior
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Inserito il - 27/06/2007 : 13:43:07
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Rivolgo la domanda agli esperti del forum Premetto che non ho ancora letto il libro di Giangiacomo am mi pare una persona più che competente in materia navale no? Le sue analisi sui modellini di nave vi sembrano corrette? E per quanto riguarda i ritrovamenti di ancore e pietre squadrate nei suposti porti nuragici? ciao
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kigula
Moderatore
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Inserito il - 28/06/2007 : 00:15:43
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io sugli approdi nuragici della Sardegna Nord-orientale ci ho fatto la tesi di laurea pochi anni fa. il libro di Pisu è interessante, la sua esperienza di navigatore fornisce dati e interpretazioni molto utili. Io l'ho letto e mi è piaciuto. Non è da prendere come oro colato perchè ci son diverse ipotesi azzardate o basate su dati molto approssimativi, almeno secondo il mio modesto parere. Si è perso nel non considerare che la morfologia delle coste in età nuragica era ben diversa dall'attuale, come credo di aver già detto in questo forum. E si è lasciato trasportare molto dalla fantasia su alcune cose. Un libro interessante per addetti ai lavori e per il comune appassionato di archeologia, da prendere però con le pinze. Pisu è un ottimo navigatore, ma non è nè storico nè archeologo. In ogni caso credo che parte delle sue teorie sulla navigazione e sugli approdi nuragici siano plausibili, ma dovrebbe riconsiderare i dati archeologici e la morfologia delle coste in età nuragica.
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EdoSardo
Utente Medio
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Inserito il - 28/06/2007 : 08:14:47
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Personalmente ho pochissimi dubbi in merito. I nuragici navigavano, eccome. E anche i prenuragici. Credo però che hanno valore di "prova indiziaria" più le diverse importazioni sarde nel Mediterraneo orientale ed occidentale che lo studio delle navicelle bronzee, che sono comunque degli oggetti a carattere sacro - rituale. Dubito che esse siano delle riproduzioni fedeli alle eventuali imbarcazioni nuragiche (o sarde se accettiamo il termine di "età dei sardi" per la prima età del ferro in Sardegna, visto che non si costruivano più nuraghi, e soprattutto se le navicelle sono effettivamente dell' età del ferro e non del bronzo finale...).
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alfonso
Utente Medio
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Inserito il - 28/06/2007 : 18:43:20
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Concordo sul giudizio di Kigula. Pisu è un ottimo capitano di navi attuali ciò, però, non lo trasforma automaticamente in un esperto di navigazione antica, che era completamente diversa dall'attuale, anche nella mentalità marinara, nè di porti antichi. La pressoché totale non conoscenza di tutta la letteratura archeologica in materia rende i suoi libri, magari affascinanti, ma privi di valore scientifico e questo è un peccato, perché con la sua esperienza potrebbe dare un notevole contributo. Significativo, appunto, il non tener conto degli studi sul livello del mare o delle variazioni delle linee di costa (fenomeni collegati ma distinti), il suo definire shardana tutto quello che individua, comprese strade romane (vedi Cala del Vino) o le ancore in pietra: forse bisognerebbe ricordare la ormai ampia letteratura esistente su queste ancore, dalla prima classificazione scientifica pubblicata da Honor Frost nel 1963 a oggi: tra l'altro si può vedere che si tratta di tipologie di ancore diffuse dal medioevo all'età bizantina, quindi difficilmente tutte Shardana; o gli straordinari scavi dei relitti dell'età del Bronzo di Ulu Burun, Cap Gelidonya e Agya Irini, molto diversi da quanto riportato nei suoi testi. Ecco la sua esperienza sarebbe preziosa se inserita in un ambito scientifico. Spero non venga presa come una polemica, visto che mi cita negativamente nelle sue conferenze, ma come un consiglio sincero. Sulle barchette, caro edo, io credo siano modelli di nave, a carattere votivo, una tipologia diffusa un po' in tutto il mediterraneo, sia in bronzo, che in terracotta (vedi l'ambito villanoviano) e che come graffiti. Che siano Shardana ovviamente non ci credo, ma questo è un altro discorso. alfonso alfonsostiglitz@libero.it
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EdoSardo
Utente Medio
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Inserito il - 28/06/2007 : 22:19:53
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Rispetto la tua ipotesi Alfonso, ma non la condivido. Almeno in generale. Semplicemente non credo che gli abilissimi artigiani che modellavano in cera le navicelle studiassero nel dettaglio dei modelli reali. Semmai potevano prenderne spunto, ma non è la stessa cosa. Ho letto soltanto ora un tuo messaggio in questa stessa discussione, quando parli di titoli e competenze per condurre uno scavo archeologico e per fare ricerca. In teoria hai ragione ma la pratica è un' altra cosa, perchè spesso (e soprattutto in Sardegna a mio parere, dove per decenni è mancata una scuola che insegnasse i principi dello scavo stratigrafico agli studenti e dove era impossibile per uno studente partecipare ad uno scavo archeologico) chi ha i titoli necessari per essere direttore scientifico di uno scavo (non parliamo di chi sta realmente sul campo, che spesso non ha nessun titolo ma a volte ne sa più di chi ha una laurea o una specializzazione)in realtà non ne ha assolutamente le competenze. C'è chi è competente e chi no, e, purtroppo, ancora oggi in Sardegna ci sono parecchi scavi che sulla carta seguono il "metodo carandini", ma in realtà sono soltanto degli sterri condotti come se chi scava fosse Taramelli, volendo essere benevoli. Chiamando però gli strati unità stratigrafiche positive o negative, così quando si pubblica lo scavo o si presenta ad un convegno sembra uno scavo stratigrafico e scientifico...è inutile parlare di scavo stratigrafico se si scava con il piccone o non si riconoscono le unità stratigrafiche!!!
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Ammutadori
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Bakis
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Inserito il - 29/06/2007 : 19:21:17
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Posto una lettera al direttore del prof .M. Pittau pubblicata oggi 26 giugno 2007 dalla Nuova Sardegna
MA ANCHE I SARDI NURAGICI VENIVANO DALLA LIDIA,IN ASIA.
Sulla Nuova Sardegna del 18giugno è stato pubblicato il sunto di un articolo Elena Dusi secondo la quale,studi effettuati sul Dna dal genetista Alberto Pazza,dimostrano che aveva ragione Erodono ad affermare che gli Etruschi venivano dalla Lidia nell’Asia minore (odierna Turchia) E la Dusi ha aggiunto che questa scoperta “farebbe cadere anche l’ipotesi della continuità etnica fra gli Etruschi e le piu antiche popolazioni sarde”. Ma non è così: la tesi della connessione etnica fra Etruschi e Sardi Nuragici, che vado sostenendo da pi§ di 25 anni,viene dalla ricerca del professor Piazza,non contraddetta ma anzi confermata in maniera luminosa e decisiva. Ho sostenuto e sostengo che anche i Sardi Nuragici venivano dalla Lidia,come dimostrano parecchie prove eccone due; 1) un commentatore del “Timeo” di Platone sostiene che la Sardegna ha derivato il suo nome da Sardis, capitale della Lidia; 2) i Greci chiamavano Sardianòi sia gli abitanti di sardis sia quelli della Sardegna e cosi pure facevano i Romani col vocabolo Sardi. Aggiungo inoltre che,connessioni fra toscani e i sardi sul piano del Dna sono state già trovate e segnalate da altri genetisti. D’altronde ,da un quarto di secolo sto sostenendo che gli Etruschi provenivano dalla Lidia,ma sono stato scomunicato dall’archeologia italiana. Massimo Pittau
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Bakis
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Inserito il - 29/06/2007 : 20:36:15
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shardanaleo
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Inserito il - 30/06/2007 : 10:13:26
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il buon Pittau che sostiene la origine orientale degli etruschi (e dei shardana.sardi) ha una piccola svista in quello che genielmente (sulla scia di carta raspi) sostiene... Gli etruschi ( e i Isardi) non erano originari di sardis in turchia... non potevano esserlo. Sardis è fondata dai PdM nell'anno MILLE a.C. circa... gli Etruschi-tursa-tirsenoi-PdM (e anche i Shardana)esistono già nei testi egizi SECOLI PRIMA. Erodoto scrive che i Tirsenoi-Lidy-Etruschi già precedentemente (2000 a.C.?) si trsferirono in Occidente... "Ma non si trovarono bene e rientrarono ..."... nell'VIII-IX sec. si trasferirono del tutto... forse con una tappa in sardinia Occidentale... ma questa è un'altra storia. SHAR
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alfonso
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Inserito il - 01/07/2007 : 12:38:45
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Quello che incuriosisce delle posizioni di Pittau e altri, sulle origini sarde dei nuragici, è che non tengono conto che nuragici ed etruschi erano persone in carne e ossa, dotate di una cultura e, quindi, di elementi analizzabili concretamente, quali architettura, cultura materiale, usi funerari e credenze religiose; bene, nuragici ed etruschi sono completamente differenti da tutti questi punti di vista. Sono in altre parole genti diverse. A meno di non pensare che i nuragici, trasferitisi in Toscana, abbiano improvvisamente dimenticato tutto e iniziato una nuova cultura, completamente differente dalla propria. Un bel paradosso, no? alfonso alfonsostiglitz@libero.it
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francesco44
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Inserito il - 01/07/2007 : 20:32:22
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A propoito dei navigatori nuragici: In Sardegna non esistevano nè grandi laghi nè fiumi importanti, però esistevano le lagune. Le coste erano infestate dalla malaria e quindi fuggite dalle comunità, solo in zone con ampi golfi potevano esistere comunità dedite alla pesca, ma non d'alto mare (quasi sicuramente). Perchè negare la possibilità di barche per la pesca sotto costa o in laguna? Nulla esclude inoltre che potessero esistere rituali inerente la pesca ai quali si riferiscono i famosi bronzetti di navi; forse navi o meglio barche di uso rituale utilizzate in occasioni di speciali festività. Rimane il fatto che i Sardi storicamente non abbiano sviluppato un'attività di navigazione che, in quell'epoca era prerogativa di popolazioni con un forte commercio, e al quale commercio i sardi non erano parte attiva, ma passiva. Altrimenti ben altra documentazione ci sarebbe arrivata. Credo anche possibile l'osservazione che i sardi affascinati dalle grandi barche o meglio navi di altre popolazioni le abbiano ripodotte in bronzo con qualche ragione che oggi ci sfugge. L'archeologia è sempre fatta di ipotesi da avvalorare con i dati in possesso, ipotesi da rimettere in discussione per la scoperta di nuovi dati.
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EdoSardo
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Inserito il - 02/07/2007 : 09:45:32
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Sin dal neolitico antico, cioè sino dal VI millennio A.C., il Campidano di Oristano e il Campidano di Cagliari sono le zone più intensamente popolate. Questo contrasta con quello che dice Francesco44, perchè dovevano essere zone infestate dalla malaria. Le indagini condotte in questi ultimi anni nel Terralbese dall' Università di Cagliari stanno evidenziando un' occupazione capillare del territorio specialmente durante l'età neolitica antica, con insediamenti all' aperto che sfruttavano anche le risorse marine, come documentato dagli abbondanti resti di pasto, specialmente cozze e ostriche. Non cambia il discorso in età nuragica, è che tanti nuraghi sono stati smantellati e rimangono in posto soltanto pochi filari di massi. Alfonso saprà sicuramente dire qualcosa in più sull' età nuragica del Sinis visto che si è occupato in prima persona di diversi lavori specialistici sull' argomento e adesso dirige gli scavi di s' Uraki.
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