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robur.q
Utente Senior
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Inserito il - 23/11/2009 : 12:16:25
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| DedaloNur ha scritto:
| i terreni comunali si trovano soprattutto nelle aree interne non adatte ad un'agricoltura intensiva; |
io fin qui avevo capito che il criterio fosse un altro, aree demaniali lontane dale ville e quelle private nei pressi.... a prescindere dal fatto ch ci potesse fare agricltura intensiva... | stesso periodo giudicale non si può immaginare una monarchia ereditaria senza il controllo sostanzialmente privato da parte della famiglia giudicale di vasti spazi di territorio |
qui si va o.t....ma non sono del tutto d'accordo..
| mah, io penso che l'istituto collettivo si sia originato prima dei nuraghi, lo vedo più adatto alla cultura neolitica. Poi si è trasformato nel corso dei secoli; non si possono pensare istituti sociali uguali nel tempo e nello spazio; |
su questo siamo d'accordo, però così facendo, dovrei ritenere che l'uso della proprietà collettiva sia rimasto inalterato anche se più compresso dal neolitico ai giudicati...
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Why not? che io sappia i cumonales sono soprattutto delle aree che potevano essere utilizzate per gli usi civici: pascolo, legnatico, ghiandatico; forse in alcune aree anche limitate attività agricole non ci metterei la mano sul fuoco, ma le grandi aree cerealicole credo fossero perlopiù private
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DedaloNur
Salottino
Utente Master
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Inserito il - 23/11/2009 : 15:32:01
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se allora, la divisione per pabarile e vidazzone, ovvero la proprietà collettiva è un eredità neolitica giunta sino a noi, passando per nuragici, età classica, e alto medioevo (e diciamo nulla.. ) cosa si può ricavare da questa organizzazione in merito alla produttività?
ad sempio, lasciar riposare un terreno per un anno destinandolo al pascolo, potrebbe voler dire che tutta quest'ansia di produrre cereali, i sardi antichi non l'avessero. in altre parole che la produzione cerealicola di una parte soltanto del territorio bastava alla bisogna. tanto esistevano anche altre fonti di vitto: pesca e allevamento.
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Freddie Mercury - In My Defence http://www.youtube.com/watch?v=4TgX...ture=related
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robur.q
Utente Senior
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Inserito il - 24/11/2009 : 23:21:55
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| DedaloNur ha scritto:
se allora, la divisione per pabarile e vidazzone, ovvero la proprietà collettiva è un eredità neolitica giunta sino a noi, passando per nuragici, età classica, e alto medioevo (e diciamo nulla.. ) cosa si può ricavare da questa organizzazione in merito alla produttività?
ad sempio, lasciar riposare un terreno per un anno destinandolo al pascolo, potrebbe voler dire che tutta quest'ansia di produrre cereali, i sardi antichi non l'avessero. in altre parole che la produzione cerealicola di una parte soltanto del territorio bastava alla bisogna. tanto esistevano anche altre fonti di vitto: pesca e allevamento.
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No Dedalo, la proprietà collettiva e la rotazione obbligatoria erano due cose diverse! sulla proprietà collettiva posso essere d'accordo con te sulla possibile arcaicità perfino neolitica dell'istituto; la rotazione obbligatoria è sicuramente un istituto più recente, perchè presuppone due cose: la conoscenza dell'utilità tecnica del riposo e della concimazione tramite animali al pascolo; la capacità politica di imporre la rotazione anche per permettere diverse fonti di alimentazione ma soprattutto per garantire la sopravvivenza dei gruppi sociali legati all'allevamento; non ci può essere ansia di produrre cereali se non c'è un mercato (interno o esterno) dove piazzarli e un gruppo che intende sfruttare ai fine del potere tale commercio; noi abbiamo abbastanza chiari due tipi di economia: quella neolitica, gestita a livello di villaggio pressochè esclusivamente per il consumo diretto; e quella punico-romana, già capitalistico-imperialista; la civiltà nuragica sta nel mezzo: certamente ha elementi di conservazione dei diritti "acquisiti" del villaggio, ma ha già elementi dell'altro tipo di economia, perchè è evidente "l'accumulazione" da parte di alcuni nonchè l'uso dell'architettura ai fini di autocelebrazione; ho trovato altri numeretti: 1971 seminativi 333000 ettari contro 1221000 della sicilia 1972 etteri a frumento 107000 (sicilia 627000), produzione 1475000 quintali (sicilia 11291000), produttività 13,7 q per ettaro (media nazionale 24,7) allevamento ovini 2626000 (totale nazionale sardegna compresa 7846000) cerco se riesco a trovare dati ottocentesci
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DedaloNur
Salottino
Utente Master
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Inserito il - 14/12/2009 : 12:03:39
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| Fino a qualche decennio fa era opinione comune fra tutti gli studiosi del settore che l'arrivo in Sardegna per la prima volta del vino e di conseguenza della successiva coltivazione della vite, fosse da far risalire alle fasi iniziali della colonizzazione fenicia (IX - VIII sec. a.C.), e che la vitivinicoltura diffusa in scala più ampia, datasse alla successiva dominazione cartaginese (VI sec. a.C.), e romana poi (III sec. a.C.). Fortunate campagne di scavo, condotte con i più moderni sistemi di indagine archeologica, coadiuvate da sofisticate analisi scientifiche, quali esami al C14, pollinici e gascromatografici, nonché comparazioni con altri siti extra-insulari, le cui genti hanno avuto contatti nella preistoria e nella protostoria, con le popolazioni dell'Isola, hanno consentito di spostare, almeno a partire dalla fine dell'Età del Bronzo Medio (XV sec. a.C.) - inizi dell'Età del Bronzo Recente (XIV sec. a.C.), la certezza della presenza in Sardegna della vite e del vino. |
| A partire da tale periodo, infatti, si intensificano e si consolidano i rapporti bilaterali, già intrapresi in precedenza, col bacino orientale del Mediterraneo e in particolare col mondo miceneo. Compaiono nuove forme ceramiche più adatte alla conservazione e al trasporto di derrate, con le superfici esterne ed interne particolarmente trattate al fine di contenere sostanze liquide di pregio, quali olio d'oliva e vino, nonché recipienti per la mescita e per il consumo di bevande, come appunto il vino. Sono significative, a queste proposito, le diverse brocchette “da vino”, provenienti da livelli certi del Bronzo Recente, in ceramica “grigia nuragica”, ritrovate in alcune località della Sardegna: dal Nuraghe Antigori di Sarroch, insieme a ceramiche micenee di importazione e di imitazione locale, dal complesso nuragico di Santu Pauli di Villamassargia, dalla grotta santuario
di Pirosu-Su Benazzu di Santadi, dal Nuraghe Arrubiu di Orroli, ecc... e dal probabile scalo commerciale nuragico nel porto di Kommos, nelle coste meridionali dell’isola di Creta! Vale qui la pena di ricordare che la tradizione storiografica, sia pure in forma mitistorica, che in questo periodo ha la sua massima diffusione, narra che Aristeo, compagno di viaggio di Dedalo, introdusse in Sardegna la coltivazione della vite, dell’ulivo e l’allevamento delle api: la notizia di un evento realmente accaduto, traslata e ricordata attraverso la narrazione mitica.
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| Una conferma di quanto fosse radicata questa credenza, tramandataci da Pausania e da altre fonti antiche greche e latine, è data dal ritrovamento in territorio di Oliena, il località “Sa idda ‘e su medde” (il paese del miele), di un piccolo bronzo raffigurante Aristeo, col corpo totalmente ricoperto di api. Nell’Età del Bronzo Finale (XII - IX sec. a.C.), che vede anche la Civiltà Nuragica al suo massimo apogeo, la presenza della vitivinicoltura nell’isola si fa più puntuale ed è suffragata da analisi scientifiche incontrovertibi
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| uesti recipienti cosi particolari sono diffusi in tutta l’isola in numerosissimi esemplari. Per quelli in ceramica è opportuno qui ricordarne alcuni fra i più significativi: l’askos di Monte Cao (Sorso), finemente decorata con motivi geometrici incisi e cerchielli impressi, dal Nuraghe “Lugherras” (Paulilatino), dal Nuraghe Genna Maria (Villanovaforru), dal Nuraghe S. Antine (Torralba), dal Nuraghe Arrubiu (Orroli) da cui proviene anche una singolarissima askos a ciambella, dal Nuraghe Su Nuraxi (Barumini), dal Villaggio nuragico di Monte Ollàdiri (Monastir), dal Nuraghe Li Prisciona (Arzachena), dai santuari nuragici di S. Anastasia (Sardara) e Sa sedda 'e sos carros (Oliena), ecc. Per i contenitori in bronzo sono da segnalare l’askos dal Nuraghe Ruiu di Buddusò e la straordinaria brocca askoide a due colli, uno dei quali è costituito da una grande protome bovina, proveniente dalla fonte sacra nuragica di Sa sedda ‘e sos carros di Oliena, che è anche un “unicum” di straordinario interesse, di tutta la bronzistica nuragica. A testimonianza, infine, dei rapporti del mondo nuragico col bacino del Mediterraneo e oltre, sono le brocche askoidi, di produzione sarda presenti in diversi contesti extra-insulari: dalla Sicilia (Isola di Mozia-Marsala e da Dessueri-Monte Maio); dall’Isola di Creta (Tomba 2 della necropoli di Khaniale Tekke); dalla Tunisia (a Cartagine, forse da attribuire ad un insediamento precedente la fondazione fenicia della città); dalla penisola iberica (una brocca asconde nuragica è stata trovata di recente a Calle Canovas del Castello n° 38 a Cadice nel corso di uno scavo d’urgenza durante lavori edili, dal Villaggio di Carambolo in Andalusia e dalle coste atlantiche alla foce del fiume Huelva, cioè l’antico insediamento di Tartesso). A questi siti sono ovviamente da aggiungere i numerosissimi esemplari presenti, come si è detto, negli insediamenti etruschi della costa tirrenica della penisola italiana.
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robur.q
Utente Senior
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Inserito il - 14/12/2009 : 13:54:46
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una piccola nota: non credo che "sa 'idda 'e su medde" significhi il paese del miele: miele in sardo è "mele/i; ho cercato il significato del cognome ma non ho trovato niente per il resto non vedo niente di inverosimile sulla diffusione della coltivazione della vite, anzi, probabilmente si è diffusa prima di altre
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DedaloNur
Salottino
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Inserito il - 14/12/2009 : 14:16:14
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io avrei ulteriori considerazioni: 1) commercio di derrate alimentari "superlflue" come il vino tra oriente e Sardegna cosa dovrebbe farci ritenere in merito ai generali rapporti commerciali? anzitutto è falsa l'ipotesi per la quale i commerci di materie alimnetari erano inesistenti o eccezionali. uliburum e queste altre prove dmostrano l'incontrario.
2) non si coltiva un qualcosa di superlfuo come il vino se, in generale, non vi è un surplus alimentare; altrimenti dovremmo pensare che in sardegna fossero on generale masochisti o che vi fosse un governo isolano tant crudele da distogliere ettari preziosi al più indispensabile grano. Un governo del genere non è da escludersi ma non per periodi di temp così lunghi. in genere chi affama un popolo , prima o poi ha la sua giusta vendetta
3) la successiva diffusione delle brocchette askoidi segnalano un incremento nel bronzo finale primo ferro, segnalano un incremento e un esportazione probabile del vino in tutto il bacino mediterraneo con vecchie rotte che vengono mantenute (sardegna creta) e altre che se ne aprono o molto più probabilmente, che si frequentano con maggiore assiduità
4) commercio del vino e dei metalli senz'altro devono esser stati gli assi portanti dell'economia isolana. Non credo che si delegasse a degli intermediari ( i fenici) per cui lmeno nel periodo del fulgore, i sardi commerciavano con proprie navi i propri beni. questo ci avvicina ala talasssocrazia almeno di tipo commerciale.
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Modificato da - DedaloNur in data 14/12/2009 14:17:32 |
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tholoi
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Inserito il - 14/12/2009 : 15:21:36
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DedaloNur
Salottino
Utente Master
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Inserito il - 14/12/2009 : 16:50:20
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prima di questi vengono i vasi nuragici grigi...
inoltre ci sono anche delle ancore fenice ma fatte in loco (da sardi?) a Sant'imbenia.
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maurizio feo
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Inserito il - 14/12/2009 : 20:52:59
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Credo anche io che la coltura della vite in Sardegna sia antichissima, tanto da essere anche precedente alle date (già antiche ) che sono state dimostrate. Ma circa il fatto che sia coltivata come un Surplus Alimentare non sono molto d'accordo. E' chiaro che il vino non sia un alimento di prima necessità. In realtà può servire ad assorbire meglio i grassi della dieta (e quindi contribuisce certamente ad un migliore assorbimento dei cibi), ma di per sé non nutre. Ma una delle principali motivazioni alla sua coltivazione e preparazione era quella religiosa. Pertanto, il vino esce un po' dagli schemi alimentari di prima e seconda necessità, come i templi escono dall'edilizia "civile". MF
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DedaloNur
Salottino
Utente Master
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Inserito il - 15/12/2009 : 00:32:51
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forse sopra mi sono espresso male.
intendevo dire che la coltura del vino significa presuppone , surplus alimnetare. non che lo generasse. quello c'era gia a monte e permetteva di distogliere ettari altrimenti vitali, alle colture da questo punto di vista essenziali in primis il grano e l'orzo
il vino quale strumento di baratto, era appunto praticato gia da creta con l'egitto (porto di faro) e altre terre. non meraviglierebbe se l'introduzine di questa cultura anche in sardegna dipese dai minoici, come il mito di aristeo fa intravedere.
ad ogni modo c'è da chiedersi in cambio di cosa commerciassero il vino.
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Lessa
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Inserito il - 15/12/2009 : 01:44:24
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Stagno? I Celti ad esempio erano pazzi per il vino Italico, che da loro era perfettamente sconosciuto come coltivazione.... tantè che Livio lo adduce come causa della loro invasione.
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DedaloNur
Salottino
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Inserito il - 15/12/2009 : 12:53:01
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scusa Lessà non ho capito il "stagno?". eiston vari popoli pazzi per il vino. tanto per ampliare il discorso ad ulteriori aree geografiche, va detto che senz'altro la diffusione del culto dionisiaco, si estes di pari passo al commercio del vino.
la domanda cmq che ho posto è quest: se come dce pure Maurizio il vino è un elemento secondario, non si deve dedurre che il surplus alimentare fosse garantito nonostante la produzione di vino?
i resti archeologici purtroppo solo per la civiltà nuragica, descrivono chiaramente come fosse prodotto in tutte le parti di sardegna gia d'allora. un uso meramente religioso sarebbe certamente altrettanto diffuso, però, i recipinti a Kommos ne dimostrano il suo commercio:
se ne doveva quindi produrre abbastanza per la sua esportazione. un uso rligioso comunque comporta l'impiego di ettari per la produzione di vino e quindi una limitazione volontaria della produzione cerealicola
credo che si potsse fare senza andare in deficit grazie all'impiego di altre foni di cibo, come la pesca, altrettanto diffusa del vino; ovviamente l'allevamento e la pastorizia.
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Lessa
Salottino
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Inserito il - 15/12/2009 : 15:31:09
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Non mi sono spiegato bene. Lo stagno è proveniente per la maggiore dalle isole cassiteriti (GB) che stanno nel Nord Europa. Dubito che nei climi freddi nordeuropei dell'antichita preceltica il vino fosse conosciuto (visto che agli stessi Celti non lo era). Quindi mi viene automatico pensare che il vino venisse scambiato con lo stagno. I Nuragici ne avevano fortissimo bisogno. Il vino era fortemente voluto da chi ne era sprovvisto, forse valeva lo scambio con qualche tonnellata di materiale contenente il prezioso metallo?
in sostanza è questo il mio pensiero.
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.machiavelli.
Utente Senior
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Inserito il - 15/12/2009 : 15:44:57
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Gli scambi erano complessi. Vino, olio, rame, stagno, gioielli, amuleti, avori, armi, ambra, anfore, derrate alimentari...circolavano senza sosta lungo tutte le rotte conosciute. I vigneti principali erano a Creta ma il vitigno cretese si diffuse prima in Sicilia e poi in Sardegna, costituendo una delle più prelibate risorse dell'antichità.
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DedaloNur
Salottino
Utente Master
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Inserito il - 15/12/2009 : 16:06:09
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io non vedo perchè no. Lungo la via dell'ambra scambi del genere potrebbero essere avvenuti. per esser certi bisognerebbe sapere se altrove come in sardegna sian stati rinvenute antichissime tracce di vino.
machiavelli, la tua certezza sull provenienza del vitigno sardo mi colpisce. Esiste bibliografia che non conosco a dar dati certi sullaprovenienza cretese? se sì ti ringrazierei se la segnalassi.
qualla mia era solo un ipotesi
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