Forum Sardegna - Quanti erano i Nuragici
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Autore Discussione
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robur.q

Utente Senior



Inserito il - 22/01/2010 : 14:27:16  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di robur.q Invia a robur.q un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
CodicediSorres ha scritto:

A proposito di ricerche di genetica e di mappatura del Genoma, utili per capire varie caratteristiche delle popolazioni attuali (e anche antiche), non ho ben capito alcuni concetti legati ai cognomi.
Per esempio come la mettiamo con un cognome antico e attualmente solo sardo come Satta?
È un cognome certamente molto antico e attestato nell'isola da tempi abbastanza remoti, e presente fino a tempi recenti solo nell'isola, e dunque rispetta alcuni requisiti fondamentali di cui sopra.
Però il cognome Satta è comparso per la prima volta in Sardegna solo nel XIII sec., e infatti che io sappia non è citato nei condaghi sardi.
Anzi esso è documentato per la prima volta nel castello di Bonifacio in Corsica nel XIII sec. appunto, per poi passare nella zona tra Gallura e Logudoro; e le prime consistenti documentazioni sono iniziate credo nel 300, specie a fine 300.
Sembrerebbe addirittura di provenienza veneziana (ma li è scomparso e cmq non si è attestato).
E dunque che utilità potrebbe avere l'analisi di un cognome del genere, certamente antico e praticamente sardo, ma con tale storia e evoluzione?
Tra l'altro è stata una stirpe abbastanza prolifica, circa 1500 famiglie, tale da influenzare molte parentele con altre famiglie sarde.

beh, forse hai fatto un esempio particolare: i cognomi sardi inequivocabilmente autoctoni sono facilmente riconoscibili perchè espressi in lingua sarda (talvolta modificati ortograficamente); il fatto che non fossero menzionati nei condaghi non significa che non esistessero: i condaghi sono pochi e non necessariamente riportano tutti i cognomi allora esistenti; la popolazione sarda di oggi risponde in grande maggioranza a questi cognomi; parli di un origine veneziana dei Satta: forse là si è estinto ma allora sarà sicuramente attestato nei documenti dell'epoca.
non so come vengano fatte questo tipo di ricerche, presumo sulla base delle frequenze dei singoli cognomi
ce lo spiegherà Maurizio








Modificato da - robur.q in data 22/01/2010 14:27:44

 Regione Sardegna  ~ Prov.: Cagliari  ~ Città: assemini  ~  Messaggi: 1124  ~  Membro dal: 06/06/2009  ~  Ultima visita: 04/05/2013 Torna all'inizio della Pagina

maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 22/01/2010 : 15:01:24  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Non si deve partire da un cognome "ormai sardo" (ma non sardo in origine, quindi non sardo). Si deve partire da quei cognomi che garantiscano una presenza in Sardegna da molto più tempo, meglio se da zone meno frequentate in qualsiasi epoca da occupanti frequentatori e turisti di ogni epoca...
Anche questi ultimi non ti danno "la certezza" di essere su una linea di discendenza sicuramente tutta insulare, ma ti offrono meno possibilità d'errore.
Alla fine, i casi sono due: o hai indovinato una persona di linea patri e matri lineare tutta sarda, oppure no (ma te ne accorgi, per via degli aplogruppi presenti).
E' chiaro che se invece scegli del tutto a caso, senza questa preselzione, corri il rischio di stiruare gli aplogruppi di un veneto o di un milanese (il che può essere sicuramente utile, ma non può rientrare in questo studio).
Insomma: è inutile fare critiche alla selezione che sta a monte del lavoro scientifico: essa facilita ed abbrevia e meglio indirizza la ricerca, ma non s'identifica in alcun modo con essa!
Insistere sulle critiche è perdere tempo e - contemporanemente - ammettere che del nocciolo vero dello studio non si è capito niente.
E' poi chiaro che i Satta sono ormai sardi ed è giusto che tali si considerino.
Come gli Stigliz ,e via dicendo, tutti gli altri.
Ma le pietre miliari che il Genoma umano ha lasciato - nel suo diffondersi lento ed inarrestabile nello Spazio e nel Tempo - troviamo sempre più numerosi indizi sul percorso dei vari gruppi etnici (ognuno con le proprie peculiari mutazioni distintive, evidenti nei marcatori) e prima o poi potremo essere molto più esaustivi e sicuri, nei rapporti circa ognuno di essi.
MF









  Firma di maurizio feo 
Beni: ti naru unu contu...

 Regione Emilia Romagna  ~ Città: Roma  ~  Messaggi: 2962  ~  Membro dal: 11/01/2008  ~  Ultima visita: 23/03/2012 Torna all'inizio della Pagina

desi satta

Utente Medio


Inserito il - 23/01/2010 : 13:40:08  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
maurizio feo ha scritto:


...
Insomma: è inutile fare critiche alla selezione che sta a monte del lavoro scientifico: essa facilita ed abbrevia e meglio indirizza la ricerca, ma non s'identifica in alcun modo con essa!
...
Insistere sulle critiche è perdere tempo e - contemporanemente - ammettere che del nocciolo vero dello studio non si è capito niente.


Premesso che non sono intervenuta in precedenza per non tediare i forumisti con questioni sintattiche sulla definizione del merito del 3D, vorrei fare un commento sulle ricerche relative alle connessioni tra distribuzione genetica e dinamica delle popolazioni.
Senza entrare in polemica con te (del resto seguo con passione il tema fin dai primi studi di Cavalli Sforza) vorrei farti notare che la tua lettura delle ricerche in atto (per ciò che si desume dai tuoi post) non mette in luce con chiarezza come i risultati che tu dai per certi dipendano invece da ipotesi iniziali che possono essere più o meno plausibili ma sempre ipotesi. In ambito specialistico non vengono di norma messe in evidenza perché fanno parte dei primi inizi della discussione e si danno per assodati (nel senso che tutti le conoscono e, da un certo punto in poi, non vengono più sottolineate, di norma si affidano a rimandi bibliografici) ma per i dilettanti sarebbe bene, al contrario, tenerle ben presenti.
Tanto per fare un esempio noto a tutti (immagino) la riduzione dei dati sperimentali del primo lavoro di CS sulla diffusione della transizione neolitica fece uso del metodo delle componenti principali. Per chi dovesse leggere le conclusioni senza avere ben presente i limiti dell'applicazione di questo metodo matematico (nel senso delle ipotesi iniziali che devono essere verificate per far sì che il metodo sia applicabile), potrebbe credere trattarsi di conclusioni univoche, mentre in realtà non è così, ed infatti le prime conclusioni di CS sono state successivamente oggetto di importanti revisioni.
In altri termini, bisognerebbe tenere presente che la distribuzione odierna dei geni e le ipotesi di cui parli tu (o, se vuoi, le conclusioni che ti aspetti) non sono in corrispondenza biunivoca, cioè la distribuzione odierna può avere le cause di cui parli ma anche altre, così come in un bicchiere d'acqua in cui getti una goccia di vino trovi alla fine un liquido omogeneo, ma non puoi risalire dalla distribuzione finale alla posizione iniziale della goccia che hai aggiunto, né definirne la dinamica di distribuzione (sebbene le leggi che sottendono il fenomeno siano note).
In questo sono della tua stessa opinione quando affermi che gli studi di genetica debbano essere affiancati a quelli archeologici, storici, linguistici, così che da uno schema interdisciplinare possa derivare la possibilità di verificare quelle ipotesi iniziali che spesso si sottacciono ed invece andrebbero tenute ben presenti quando si decide della valenza di una conclusione tratta in ambito scientifico.
Tutto ciò senza inficiare la validità scientifica delle attuali ricerche che tanto ti piacciono (a ragione, anche a me), ma anzi per dar loro una valenza scientifica precisa.
In estrema sintesi, la riduzione dei dati sperimentali richiede un modello e, nel caso dei dati genetici, la distribuzione attuale può essere soddisfatta da un gran numero di modelli differenti.
Sulle critiche ideologiche basate sul nulla (o meno), sono d'accordo con te.








  Firma di desi satta 
desi
desi.satta@alice.it

 Regione Sardegna  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 309  ~  Membro dal: 16/04/2009  ~  Ultima visita: 16/04/2010 Torna all'inizio della Pagina

kigula

Moderatore



Inserito il - 24/01/2010 : 18:16:10  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di kigula Invia a kigula un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ooooh voi due?????? Ma vi devo pescare sempre a giocare a cane e gatto?
Ho volutamente cancellato la solita inutile diatriba tra i soliti litiganti.
Non venite a dirmi "è colpa sua", sapete benissimo come la penso.

Chiusa la parentesi (spero anche da parte vostra) invito Tutti a stare nel tema, perchè questa discussione su quanti erano i Nuragici è diventata: chi erano i Nuragici, da dove venivano, com'erano, come si chiamavano, ecc. ecc.
Vi prego di rimanere in tema.









Modificato da - kigula in data 24/01/2010 18:28:33

 Regione Estero  ~ Città: Cordoba  ~  Messaggi: 1738  ~  Membro dal: 07/05/2007  ~  Ultima visita: 15/01/2014 Torna all'inizio della Pagina

.machiavelli.

Utente Senior


Inserito il - 24/01/2010 : 19:33:27  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di .machiavelli. Invia a .machiavelli. un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Come avrebbe fatto notare il grande pittore Gauguin, e come sottolinea Kigula, le relazioni fra i personaggi hanno creato quella atmosfera indefinita che caratterizza la ricerca della verità affrontata senza avere la certezza che la scientificità dei metodi porti alla scientificità dei risultati.








 Regione Sardegna  ~ Prov.: Cagliari  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 1141  ~  Membro dal: 20/03/2008  ~  Ultima visita: 11/11/2013 Torna all'inizio della Pagina

desi satta

Utente Medio


Inserito il - 24/01/2010 : 19:52:33  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Bene, se è possibile dare un contributo privo di incrostazioni ideologiche…

DOMANDA DI maurizio feo

Quanto era grande la popolazione della Sardegna all'inizio dell'età del Bronzo?

Modificato da - kigula in Data 21/10/2009 16:56:39


Definiamo i termini e il quadro:
1) Cosa intendi per ‘inizio dell’età del bronzo? Va bene circa 1800 a.C.? (Immagino tu intenda una data del genere).
2) Parliamo quindi dell’introduzione di nuove tecnologie nella lavorazione dei metalli in una società neolitica (calcolitica), che portano ad un incremento della produttività agricola e dunque a nuove disponibilità alimentari, ma sempre e comunque in un regime che gli specialisti definiscono ‘di sussistenza’ cioè privo di quei meccanismi compensativi di protezione della popolazione che impediscono forti oscillazioni della consistenza numerica in caso di brusche variazioni produttive (carestie) o diffusione di malattie debilitanti (variazione dell’incidenza percentuale della forza lavoro); tanto per fare un esempio e contestualizzare il periodo di cui si parla, non dimentichiamo che a partire dalla mesopotamia erano invece attivi quei sistemi compensativi, con sviluppo di una civiltà urbana e (guarda caso) di una scrittura necessaria a gestirli; tutto ciò in Sardegna manca;
3) In regime di sussistenza, la variazione rapida e spesso di grandi proporzioni della densità di popolazione è un fatto endemico;
4) Al di là delle ‘suggestioni’ (tipo le strane conclusioni basate sul numero delle strutture nuragiche), la stima di una popolazione in regime di sussistenza non può quindi che essere una media su un periodo ragionevolmente ampio di almeno un paio di generazioni (diciamo cinque o sei) così da compensare il dato ’puntuale’ che sarebbe privo di senso, data la possibilità di repentine variazioni della consistenza numerica, e deve essere basata sulla produttività media del terreno ottenibile con tecniche di coltivazione tardo neolitiche (ma in un’area in cui la transizione arrivò in ritardo rispetto ad altre aree europee) su una stima degli apporti proteici dalla pastorizia, sulla disponibilità di terreno agricolo e pascolo, e deve essere valutata alla luce degli orizzonti archeologici noti. In termini più chiari (spero) la quantità di gente dipendeva solamente dalla disponibilità contestuale di cibo ed era fortemente influenzata dalla mancanza di un sistema di ridistribuzione centralizzato (testimoniato dalla mancanza di strutture adatte allo scopo e delle tracce di una civiltà urbana).
5) Tanto per essere espliciti fin da subito, è opportuno chiarire quanto possa esse fuorviante qualunque considerazione basata sull’assunto che il numero di strutture nuragiche moltiplicato per un numero dato di individui (venti o trenta o quello che si vuole) possa fornire una stima della popolazione sarda. Tanto per fare cifra tonda diciamo che ci sono 10.000 strutture nuragiche, la cui costruzione spazia in un arco temporale che (anche a restringerlo per quanto possibile) è comunque di almeno mezzo millennio. Ne deriva una media (attenzione alla definizione di valor medio) di venti strutture all’anno in tutta l’isola, la maggior parte delle quali semplici monotorre e con un’incidenza significativa di nuraghi a corridoio. Dunque è la stratificazione di un’attività edificativa tutto sommato modesta quella che porta al ‘miracolo’ sardo ed è testimone non tanto di una sfrenata mania edilizia quanto della durata inusitata (rispetto ad altre culture) dei medesimi canoni costruttivi, che restano fondamentalmente inalterati per almeno mezzo millennio (ma il realtà ben di più). Detto in altri termini non è la ‘novità’ dei nuraghi che caratterizza il panorama isolano, ma la stagnazione della loro idea costruttiva. È pur vero che quasi certamente la costruzione avvenne con un ritmo tutt’altro che costante (pochi all’inizio, un massimo in un periodo intermedio e un calo verso la fine), ma non esiste alcun dato archeologico (altri non ne abbiamo) che mostri occupazioni a densità costante, cioè che possa indicare come la costruzione di un nuraghe implicasse necessariamente un aumento proporzionale della popolazione. Né che l’edificazione avvenne d’un colpo in corrispondenza del BA (anzi, l’archeologia dice il contrario)

Se allora raccogliamo gli elementi precedenti, stiamo parlando di un’isola appena uscita dal neolitico (la domanda è proprio questa, quanta gente c’era in corrispondenza del BA), che possedeva una tecnica agricola arcaica rispetto alle zone centro europee più sviluppate (per non parlare del medio oriente, in cui da un millennio c’era una civiltà urbana) e che edificava (presumibilmente) meno di venti strutture nuragiche all’anno (molte di meno in realtà ed alcune erano nuraghi a corridoio).
Se ora ci si basa su un periodo ragionevole che compensi le forti variazioni della popolazione in regime di sussistenza, se si considera che molta parte del territorio è impervia e spesso al limite dell’impraticabilità per la presenza di grandi quantità di pietre (lo spietramento agricolo intensivo è cosa assai recente), una stima media di 0,5 ab/kmq potrebbe essere ragionevole come limite medio superiore dell’occupazione nel BM, con punte di 1 ab/kmq e una deviazione standard molto elevata a causa della tipologia dell’occupazione (regime di sussistenza). A mio avviso (suggestione) è una sovrastima, perché i dati del centroeuropa sono molto precisi e si riferiscono a studi molto particolareggiati relativi ad aree ampiamente studiate dal punto di vista archeologico ed assi più favorevoli per lo sviluppo agricolo-pastorale.

Altro problema (a mio avviso assai più interessante) è invece quello della dinamica numerica della popolazione (sempre in regime di media) dal BA al BM, per poi cadere nell’età del ferro (e/o BF). Una riflessione che tra l’altro porterebbe a discutere delle necessità che portarono all’edificazione dei nuraghi, e di conseguenza alla loro funzione ed al tipo di società che li richiese. Si dovrebbe riflettere, ad esempio, sull’ipotesi cantonale, se sia ragionevole e se possa coprire tutto il periodo di edificazione dei nuraghi, sulla linea che porta a quello che fu lo sviluppo più maturo della cultura sarda e che, corrispondendo alla fine dei nuraghi (e allo sviluppo dell’interessantissima civiltà fenicia), è stata colpevolmente trascurata, come lamenta non abbastanza spesso anche Alfonso Stiglitz.
Sembra una maledizione che proprio i nuraghi, con la loro ingombrante bellezza, siano in fondo la causa principale per la quale si finisce di fatto per trascurare la porzione forse più feconda della nostra protostoria, tanto per intenderci quella delle navicelle, dei bronzetti, delle statue di Cabras, dei pozzi sacri, dell'interazione profonda e proficua con le altre popolazioni mediterranee, dei viaggi testimoniati dalle ceramiche sarde sparse ovunque.








  Firma di desi satta 
desi
desi.satta@alice.it

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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 24/01/2010 : 20:09:47  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Grazie, Desi: i tuoi interventi sono sempre un piacere (e di ottimo livello: è difficile risponderti).
MF









  Firma di maurizio feo 
Beni: ti naru unu contu...

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.machiavelli.

Utente Senior


Inserito il - 24/01/2010 : 20:21:33  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di .machiavelli. Invia a .machiavelli. un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
desi satta ha scritto:

Bene, se è possibile dare un contributo privo di incrostazioni ideologiche…

Domanda di Maurizio Feo

Quanto era grande la popolazione della Sardegna all'inizio del Bronzo?


Definiamo i termini e il quadro:

1) Cosa intendi per ‘inizio del bronzo? Va bene circa 1800 a.C.?
Benissimo, diciamo dopo Bonnannaro, che non ha ceramiche nuragiche.

2) Parliamo quindi dell’introduzione di nuove tecnologie nella lavorazione dei metalli in una società neolitica (calcolitica), che portano ad un incremento della produttività agricola e dunque a nuove disponibilità alimentari, ma sempre e comunque in un regime che gli specialisti definiscono ‘di sussistenza’ (e sbagliano, perché la ricchezza delle risorse dell'isola è evidente nelle ceramiche) cioè privo di quei meccanismi compensativi di protezione della popolazione che impediscono forti oscillazioni della consistenza numerica in caso di brusche variazioni produttive (carestie) o diffusione di malattie debilitanti.

3) In regime di sussistenza, la variazione rapida della densità di popolazione è un fatto endemico;
Bisogna proporre e dimostrare la soglia di sussistenza di quell'epoca, inoltre la sussistenza non spiegherebbe (anzi sarebbe opposta) dove trovarono le risorse per l'edificazione delle immense e complesse strutture architettoniche.

4) La quantità di gente dipendeva solamente dalla disponibilità contestuale di cibo ed era fortemente influenzata dalla mancanza di un sistema di ridistribuzione centralizzato (testimoniato dalla mancanza di strutture adatte allo scopo e delle tracce di una civiltà urbana).
Visto che non concordo con la povertà di risorse, allo stesso modo non posso condividere questo passaggio. Quali potrebbero essere le strutture adatte allo scopo, tenuto conto che abbiamo perso il 99.99% di ciò che erano gli edifici in ladiri di fango?

5) Ci sono 10.000 strutture nuragiche, la cui costruzione spazia in un arco temporale che è di almeno mezzo millennio. Ne deriva una media di venti strutture all’anno in tutta l’isola, la maggior parte delle quali semplici monotorre e nuraghi a corridoio. Dunque è la stratificazione di un’attività edificativa modesta quella che porta al ‘miracolo’ sardo ed è testimone non tanto di una sfrenata mania edilizia quanto della durata inusitata (rispetto ad altre culture) dei medesimi canoni costruttivi, che restano fondamentalmente inalterati per almeno mezzo millennio.

Concordo con questa affermazione.

Se ora ci si basa su un periodo che compensi le forti variazioni della popolazione in regime di sussistenza, se si considera che parte del territorio è impervia e spesso al limite dell’impraticabilità per la presenza di grandi quantità di pietre, una stima media di 0,5 ab/kmq potrebbe essere ragionevole come limite medio superiore dell’occupazione nel BM, con punte di 1 ab/kmq e una deviazione standard molto elevata a causa della tipologia dell’occupazione (regime di sussistenza). A mio avviso è una sovrastima, perché i dati del centroeuropa sono molto precisi e si riferiscono a studi molto particolareggiati relativi ad aree ampiamente studiate dal punto di vista archeologico ed assi più favorevoli per lo sviluppo agricolo-pastorale.
Dissento totalmente: Perché più favorevoli in quelle zone?...come si può paragonare il territorio?...e il clima?...e il sole?...e le capacità?...e la tecnologia?

Altro problema è quello della dinamica numerica della popolazione dal BA al BM, per poi cadere nell’età del ferro (e/o BF). Una riflessione che tra l’altro porterebbe a discutere delle necessità che portarono all’edificazione dei nuraghi, e di conseguenza alla loro funzione ed al tipo di società che li richiese. Si dovrebbe riflettere, ad esempio, sull’ipotesi cantonale, se sia ragionevole e se possa coprire tutto il periodo di edificazione dei nuraghi.
Riflettiamo anche su questo dettaglio dunque
Sembra una maledizione che proprio i nuraghi, con la loro ingombrante bellezza, siano in fondo la causa principale per la quale si finisce di fatto per trascurare la porzione forse più feconda della nostra protostoria, tanto per intenderci quella delle navicelle, dei bronzetti, delle statue di Cabras, dei pozzi sacri, dell'interazione profonda e proficua con le altre popolazioni mediterranee, dei viaggi testimoniati dalle ceramiche sarde sparse ovunque.
Tutta la nostra cultura materiale deve essere esaminata con attenzione, senza togliere nulla, nella sua complessità.Se si isolano i particolari non si capisce la globalità del fenomeno nuragico. E' una catena formata da mille anelli e solo pochi sono deboli.








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desi satta

Utente Medio


Inserito il - 24/01/2010 : 20:51:44  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
.machiavelli. ha scritto:

desi satta ha scritto:

Bene, se è possibile dare un contributo privo di incrostazioni ideologiche…

Domanda di Maurizio Feo

Quanto era grande la popolazione della Sardegna all'inizio del Bronzo?


Definiamo i termini e il quadro:

1) Cosa intendi per ‘inizio del bronzo? Va bene circa 1800 a.C.?
Benissimo, diciamo dopo Bonnannaro, che non ha ceramiche nuragiche.

2) Parliamo quindi dell’introduzione di nuove tecnologie nella lavorazione dei metalli in una società neolitica (calcolitica), che portano ad un incremento della produttività agricola e dunque a nuove disponibilità alimentari, ma sempre e comunque in un regime che gli specialisti definiscono ‘di sussistenza’ (e sbagliano, perché la ricchezza delle risorse dell'isola è evidente nelle ceramiche) cioè privo di quei meccanismi compensativi di protezione della popolazione che impediscono forti oscillazioni della consistenza numerica in caso di brusche variazioni produttive (carestie) o diffusione di malattie debilitanti.


Il regime di sussistenza non è definito dalla ricchezza delle risorse ma dalla modalità del loro uso, e precisamente dalla mancanza di un meccanismo redistributivo come quello mesopotamico che poteva compensare i periodi di carenza produttiva. In altri termini si mangia molto e si incrementa la popolazione quando c’è tanto cibo e si muore quando viene a mancare per un periodo superiore alle due o tre stagioni.
Inoltre l’affermazione si riferisce alla definizione di ‘regime di sussistenza’ e non alla presenza di tale regime in Sardegna, che è invece dimostrato oggettivamente dall’assenza di qualunque evidenza archeologica che possa testimoniare un meccanismo redistributivo (nel periodo di cui si parla e non solo). La presunta ‘ricchezza’ delle ceramiche non è un parametro da cui si possa derivare la presenza di un’economia diversa dalla sussistenza (nel Sahel - e non solo - trovi anche contenitori di PVC e di acciaio, ma vivono lo stesso in tale regime, ancora oggi).



3) In regime di sussistenza, la variazione rapida della densità di popolazione è un fatto endemico;
Bisogna proporre e dimostrare la soglia di sussistenza di quell'epoca, inoltre la sussistenza non spiegherebbe (anzi sarebbe opposta) dove trovarono le risorse per l'edificazione delle immense e complesse strutture architettoniche.


Quali immense strutture? È l’errore di cui parlo oltre. Parliamo di una media di 20 strutture l’anno (in tutta l’isola) che ragionevolmente vennero edificate con maggiore frequenza (sempre bassa rispetto a quello che appare) assai più tardi, e comunque sempre in regime di sussistenza. In ogni caso la realizzazione di una torre nuragica non richiede risorse elevate e, grazie alla tecnica costruttiva, neppure grosse infrastrutture aggiuntive.



4) La quantità di gente dipendeva solamente dalla disponibilità contestuale di cibo ed era fortemente influenzata dalla mancanza di un sistema di ridistribuzione centralizzato (testimoniato dalla mancanza di strutture adatte allo scopo e delle tracce di una civiltà urbana).
Visto che non concordo con la povertà di risorse, allo stesso modo non posso condividere questo passaggio. Quali potrebbero essere le strutture adatte allo scopo, tenuto conto che abbiamo perso il 99.99% di ciò che erano gli edifici in ladiri di fango?


Ti sarei grata se postassi i riferimenti bibliografici alla base dell’affermazione, ovvero come si possa affermare che esistessero.
Sulla ‘povertà’ delle risorse, non ne ho mai parlato e non ha attinenza col regime di sussistenza, che non dipende dalla disponibilità delle risorse ma dal loro utilizzo.



5) Ci sono 10.000 strutture nuragiche, la cui costruzione spazia in un arco temporale che è di almeno mezzo millennio. Ne deriva una media di venti strutture all’anno in tutta l’isola, la maggior parte delle quali semplici monotorre e nuraghi a corridoio. Dunque è la stratificazione di un’attività edificativa modesta quella che porta al ‘miracolo’ sardo ed è testimone non tanto di una sfrenata mania edilizia quanto della durata inusitata (rispetto ad altre culture) dei medesimi canoni costruttivi, che restano fondamentalmente inalterati per almeno mezzo millennio.

Concordo con questa affermazione.

Se ora ci si basa su un periodo che compensi le forti variazioni della popolazione in regime di sussistenza, se si considera che parte del territorio è impervia e spesso al limite dell’impraticabilità per la presenza di grandi quantità di pietre, una stima media di 0,5 ab/kmq potrebbe essere ragionevole come limite medio superiore dell’occupazione nel BM, con punte di 1 ab/kmq e una deviazione standard molto elevata a causa della tipologia dell’occupazione (regime di sussistenza). A mio avviso è una sovrastima, perché i dati del centroeuropa sono molto precisi e si riferiscono a studi molto particolareggiati relativi ad aree ampiamente studiate dal punto di vista archeologico ed assi più favorevoli per lo sviluppo agricolo-pastorale.
Dissento totalmente: Perché più favorevoli in quelle zone?...come si può paragonare il territorio?...e il clima?...e il sole?...e le capacità?...e la tecnologia?


Non dissenti con me, ma con tutti coloro che hanno studiato in dettaglio la situazione centroeuropea. La qualità del territorio, la migliore tecnologia (in Sardegna la transizione neolitica è arrivata dopo) ma soprattutto le evidenze archeologiche dicono il contrario. Potresti dare un’occhiata ai lavori riassuntivi di M. Gimbutas.

Altro problema è quello della dinamica numerica della popolazione dal BA al BM, per poi cadere nell’età del ferro (e/o BF). Una riflessione che tra l’altro porterebbe a discutere delle necessità che portarono all’edificazione dei nuraghi, e di conseguenza alla loro funzione ed al tipo di società che li richiese. Si dovrebbe riflettere, ad esempio, sull’ipotesi cantonale, se sia ragionevole e se possa coprire tutto il periodo di edificazione dei nuraghi.
Riflettiamo anche su questo dettaglio dunque
Sembra una maledizione che proprio i nuraghi, con la loro ingombrante bellezza, siano in fondo la causa principale per la quale si finisce di fatto per trascurare la porzione forse più feconda della nostra protostoria, tanto per intenderci quella delle navicelle, dei bronzetti, delle statue di Cabras, dei pozzi sacri, dell'interazione profonda e proficua con le altre popolazioni mediterranee, dei viaggi testimoniati dalle ceramiche sarde sparse ovunque.
Tutta la nostra cultura materiale deve essere esaminata con attenzione, senza togliere nulla, nella sua complessità.Se si isolano i particolari non si capisce la globalità del fenomeno nuragico. E' una catena formata da mille anelli e solo pochi sono deboli.










  Firma di desi satta 
desi
desi.satta@alice.it

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Turritano

Utente Virtuoso




Inserito il - 24/01/2010 : 21:16:07  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Turritano Invia a Turritano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
maurizio feo ha scritto:

Non si deve partire da un cognome "ormai sardo" (ma non sardo in origine, quindi non sardo). Si deve partire da quei cognomi che garantiscano una presenza in Sardegna da molto più tempo .......

Questo non mi lascia del tutto convinto.
Siamo enormemente OT A me personalmente, a questo punto, sembra che la discussione stia, non solo deragliando dal suo binario, ma anche diventando un pochino “oziosa”, anche se interessante.
Tanto vale, allora, che anch’io dica la mia.

Provo a spiegarmi e aspetto umilmente che qualcuno mi corregga.
Per una ricerca genetica, il cognome significa molto e non significa nulla. Perché? Perché io posso avere il cognome De Martis, Gunale, De Thori, Pala, De Serra, Lachon, D’Athen, Petru De Roma, Achetu, De Rosa, Solina, Casula, Manca, De Kerki, de Cannas, Canake, Lelle, Pistis, , (s’ata), Gattu, ecc. ecc. Tutti cognomi tratti dal Condaghe di S. Pietro di Silki, quindi cognomi Sardi, ampiamente documentati già da quasi mille anni. Cognomi sicuramente “Sardi”, ma non altrettanto si può dire del genoma.
Infatti, mettiamo il caso, non peregrino, che un De Thor, sia immigrato nel 1500 in continente e poi un suo discendente sia rientrato in Sardegna il secolo scorso. In questo caso, nonostante il cognome, del suo “genoma sardo” è rimasto più nulla che poco.
Altro caso, all’opposto: mettiamo un qualsiasi cognome italiano o francese o greco … comparso per la prima volta in Sardegna, poniamo nel 1700 e giunto tale e quale sino ad oggi, dopo essersi incrociato nelle generazioni successive con i vari Kerki, Dettori, Manca ecc ecc, che cosa resta del “genoma italiano, francese, greco”? molto poco: in 10/12 generazioni il genoma si è rinnovato pressoché totalmente
Un caso a parte sono i cognomi ”Sardi” derivati da termini esistenti nella lingua sarda, ma non rilevati nei documenti antichi. Possono essere effettivamente “sardi” da molto tempo o da sopranomi registrati all’anagrafe come cognomi (caso frequentissimo sino al secolo scorso).
Questi sono tre casi, relativamente frequenti, facilmente verificabili, ma potrei ipotizzarne tanti altri
Allora? Allora, a mio modesto parere, non dovrebbe essere sufficiente né necessario, che uno abbia un “antico”cognome sardo, ma bisognerebbe seguirlo indietro per almeno 10 generazioni. Solo così si avrebbe un campione di genoma “Sardo”, se non proprio matematicamente certo, perlomeno molto. Attendibile.
Ma che cosa c’entra tutto questo, sul numero dei “Nuragici”? Boh!
Turritano








Modificato da - Turritano in data 24/01/2010 21:25:36

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@ Desi

I meccanismi redistributivi nel periodo nuragico non possono essere dimostrati finché gli studiosi proporranno una società che, essendo apparentemente priva di scrittura e incapace di produrre tecnologia, non possa essere evoluta anche nel resto della sua complessità. E' un problema di metodologia nella ricerca dei parametri dai quali iniziare la ricerca.
Allo stesso modo la presenza di strutture in ladiri di fango è indimostrabile (a parte qualcosa che ha pubblicato Ugas) perché si sciolgono e diventano invisibili. Non posso portare bibliografia a supporto per il semplice fatto che gli scavi che mostrano i ladiri sono solo occasionali (in tutto il mondo) e derivanti da incendi che hanno cotto i mattoni rendendoli visibili.

Inoltre sono distante anni luce dalla tua affermazione:
la realizzazione di una torre nuragica non richiede risorse elevate e, grazie alla tecnica costruttiva, neppure grosse infrastrutture aggiuntive.
Chi afferma questo dovrebbe prima capire a fondo cosa ci sia dietro la realizzazione di queste strutture realizzate a secco (uniche nel mondo occidentale) e poi mettere su una squadra in grado di realizzarne uno (anche un protonuraghe sarebbe sufficiente) in tempi ragionevoli. Diciamo che una squadra di 10 volenterosi che a mani nude (solo corde e buoi) pensasse di tagliare, trasportare, sovrapporre, incastonare e cupolare un nuraghe impiegherebbe parecchie settimane, e non è detto che resisterebbe a 3500 anni di eventi (floreali compresi).

Grazie per la scorrevolezza e la perizia con la quale esprimi le tue idee.








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Dimenticavo...le risorse agricole mesopotamiche erano importantissime...infatti non possedevano ossidiana e rame ed erano sempre in guerra. E' un paragone improponibile. L'unica cosa che ci accomuna è il periodo.







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Turritano

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Concordo sostanzialmente con Machiavelli, però rifacendomi ad un suo post, vorrei fare alcune osservazioni ed evidenziare alcune divergenze di vedute.
Intanto la domanda di Maurizio: “Quanto era grande la popolazione della Sardegna all'inizio del Bronzo?” Mi lascia un po’ perplesso, perché cercare di definire il numero degli abitanti della Sardegna nel periodo di massima espansione della Civiltà Nuragica è già una questione complessa, ma stabilire la popolazione sarda in un periodo limitato (“Inizio” dell’età del bronzo) è quantomeno azzardato.
La quantità delle costruzioni “Nuragiche”: se ne possono calcolare ancora esistenti 7, 8 o forse 10mila, ma quelle costruite durante tutto l’arco della Civiltà Nuragiche erano sicuramente di più, forse molto di più. La maggior parte sono semplici torri, secondo logica fortezze per guarnigioni ai confini cantonali, ma i nuraghi a corridoio non sono altrettanto comuni. Inoltre non è detto che, nell’arco del periodo, man mano che se ne costruivano delle nuove , quelle “vecchie” diventavano obsolette. Quindi, nessuna “mania” (?) costruttiva. Nessuno si può permettere di sprecare tante energie, tempo e risorse per soddisfare una semplice “mania”. Una domanda a questo punto, sporge spontanea: perché i nuragici si potevano permettere di costruire opere tanto imponenti e dispendiose, mentre altri popoli coevi (al di fuori della Sardegna, con identico clima e caratteristiche del suolo) no?
“sull’ipotesi cantonale, se sia ragionevole e se possa coprire tutto il
periodo di edificazione dei nuraghi”. Riflettiamo: la mentalità umana è universalmente da un lato portata a sottomettere e, dall’altro a non sottomettersi. Se consideriamo la geografia della Sardegna, notiamo che si tratta di un territorio molto diversificato che si presta al formarsi di piccole società autonome una dall’altra, con territori facilmente difendibili: i “cantoni” appunto. Questi quindi, necessariamente, avevano dei confini precisi e verosimilmente si formò e si mantenne un certo equilibrio (anche se precario), sostanzialmente uno status quo. Se ammettiamo per ipotesi che un “cantone” avesse avuto la potenza e la forza di conquistare uno ad uno tutti gli altri, si sarebbe arrivati ad una unità politica e, di conseguenza ad una stabilità che, risparmiando energie e ricchezze, prima disperse in continue scaramucce o vere e proprie guerre fratricide, avrebbe portato ad una rapida evoluzione di una società preurbana, nel complesso principalmente agro pastorale, ad una società più ricca che avrebbe potuto destinare molte risorse ad opere civili e culturali di grande portata. Tutte condizioni che avrebbero favorito lo sviluppo di una civiltà urbana e … la storia sarebbe stata diversa. Ma, ahimè, così non è stato.
Turritano








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DedaloNur
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desi satta ha scritto:
Quali immense strutture? È l’errore di cui parlo oltre. Parliamo di una media di 20 strutture l’anno (in tutta l’isola) che ragionevolmente vennero edificate con maggiore frequenza (sempre bassa rispetto a quello che appare) assai più tardi, e comunque sempre in regime di sussistenza. In ogni caso la realizzazione di una torre nuragica non richiede risorse elevate e, grazie alla tecnica costruttiva, neppure grosse infrastrutture aggiuntive.



si tratta ditholos più sofisticate di quelle micenee ( Magli). una è stata definita come la più sofisticata struttura a secco del mondo (Santu Antine, Hoskin). per il tempo per il settore occidentale ma pure per quello orientale del mediterraneo sono strutture di altissimo livello. Sarà un caso se le tecniche costruttive dei corridoi siano le medesime di quelle ittite e micene (stagnazione costruttiva?) o se l'Arrubiu con il suo mastio tra i 25 e 30 metri dovrebbe risultare l'edificio più alto di quell'epoca dopo le piramidi.


infine il ripetersi di quel modulo cosrtuttivo è dovuto, non ad arretratezza e stagnazione, ma al protrarsi di un ideologia religiosa dato che i nuraghi sono assai probabilmente, luoghi di culto.
se si parla di stagnazione economica perchè si ripetono schemi architettonici sempre uguali allora dovremmo ammettere che tale stagnazione colpì, per alcuni millenni gli egiziani con le loro piramidi. i mesopotamici-iraniani con le loro ziggurat.

la replicazione e il perdurare di un modulo costruttivo stereotipato, è dovuto all'ideologia che non viene mai inquadrata nelle vostre discussioni. ne è riprova il fatto che quando l'ideologia muta con quella dei templi a pozzo, i nuraghi diventano desueti.

eppure l'ideologia in archeologia ormai dovrebbe contare qualcosa...



m'ero ripromesso di non intervenire più...ma non si può leggendo queste affermazioni...












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“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” Dante Alighieri

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Attenzione dedalo, il cambio ideologico con l'introduzione dei templi a pozzo è una tua personale opinione che non è così scontata.
Francamente sono convinto che il culto dell'acqua, o comunque il culto presso i templi a pozzo, sia da inquadrare intorno all'inizio del XIII a.C., periodo per il quale abbiamo evidenti problemi di carenza di acqua potabile (non solo in Sardegna) o comunque abbandono delle coste a causa dei problemi di salinità che certamente causarono carestie per la sottrazione di terreno coltivabile nell'immediato entroterra.
Sappiamo che il livello del mare si sollevò di poco più di un metro a causa di eventi ricollegabili alla premiata ditta Santorini & C. (Creta docet) e il problema persistette (ancora oggi il livello continua a salire), dunque dobbiamo immaginare la rincorsa all'ammodernamento dei pozzi e delle fonti, alla ricerca di altre sorgenti, alla ricerca di soluzioni che consentissero una maggiore impermeabilità delle strutture (per non disperdere il preziosissimo liquido) e ad una serie di operazioni che prevedevano l'attenta conservazione delle risorse che la natura offriva. In quel periodo i nuraghe erano nel pieno dell'edificazione e solo a partire dal X a.C. (quindi circa tre secoli dopo) si assiste alla trasformazione sociale che vede l'abbandono totale della costruzione delle torri a favore di pozzi e altri luoghi di culto. In conclusione vedo per 2/300 anni la contemporanea edificazione di nuraghe e templi a pozzo.








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