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asia
Salottino
Utente Senior
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Inserito il - 29/02/2008 : 01:55:50
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| alfonso ha scritto:
Per grodde, hai ragione l'iscrizione di Nora è fenicia e scritta con caratteri fenici. Negli ultimi due secoli la totalità degli specialisti in epigrafia semitica (di cui è nota la aggressività reciproca) hanno concordato sull'identificazione della scrittura della stele(uno dei pochi casi in cui sono andati d'accordo) e d'altra parte i numerosi studi e libri sulla forma e sull'evoluzione della scrittura fenicia stanno lì a dimostrarlo; basta vedere le tabelle di comparazione tra le grafie delle iscrizioni fenicie delle varie parti del mediterraneo nelle varie epoche.
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Quindi la teoria sui Shardana e sulla stele sarda non è attendibile?
Perchè è da scartare, Alfonso?
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Guevina
Nuovo Utente
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Inserito il - 29/02/2008 : 10:26:29
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Grazie per questa interessante lettura :-) R.
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tholoi
Salottino
Moderatore
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Inserito il - 29/02/2008 : 14:14:35
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| tholoi ha scritto:
| adelasia ha scritto:
Premesso che la mia opinione è scrittura no, semplicemente perchè finora nessuno mi ha convinto del contrario ...qualcuno ricorda come sono stati interpretati i segni sull’architrave del nuraghe Succoronis, quel bellissimo nuraghe sulla Macomer-Sindia? Mi pare che taluni li abbiano riferiti alla scrittura ..ma chi, e con quale ipotesi?
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Di questo mi pare ne parli Giacobbe Manca su "Sardegna Antica". Adesso non ho sottomano i numeri della rivista, appena possibile vedo di postarli.
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Si tratta del N°27, I° semestre 2005. Si parla di segni fertilistici della Dea Madre.
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tholoi - neroargento.com |
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Adelasia
Moderatore
Penna d'oro
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Inserito il - 29/02/2008 : 17:46:24
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Apprezzo molto la tua gentilezza, tholoi, farò il possibile per recuperare quel numero. Intanto ti ringrazio.
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..un altro meraviglioso angolo di Sardegna |
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alfonso
Utente Medio
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Inserito il - 29/02/2008 : 21:53:44
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In primo luogo per quello che ho scritto: la scrittura della stele e la lingua usata sono fenicie: l’unanimità degli specialisti è su questo già una garanzia, ma a questo aggiungi che questi specialisti lo affermano con dovizie di prove, confronti, tabelle ecc. Esistono ormai centinaia e centinaia di iscrizioni fenicie edite, studiate e confrontate con metodo scientifico.
La difficoltà di traduzione non è dovuta a carenza di prove ma al fatto che sia scritta senza divisione di parole e, quindi, a seconda degli studiosi si privilegia una forma piuttosto che un’altra. Il caso della prima riga è da questo punto di vista indicativo quel BTRSHSH cambia significato a seconda della divisione. L’ipotesi B TRSHSH che appassiona molti non specialisti è stata proposta autorevolmente ma con la condizione che l’epigrafe manchi di due righe; in realtà essa è integra e quindi la lettura, valida in astratto, non lo è nel concreto, per cui è più corretta la lettura BT (tempio) RSH (capo, promontorio) [in arabo RAS] eccetera (io non sono convinto di NGR = NORA e vorrei segnalare a Grodde che B che precede Shrdn non è solo stato in luogo ma anche moto a /da luogo e che in finale va letto LPMY e non LPNY, la mem mi sembra chiara, in questo caso la divinità è Pumay). Va aggiunto che la difficoltà deriva anche dal fatto che il fenicio lo conosciamo essenzialmente solo da iscrizioni, in genere votive e funerarie, quindi con un vocabolario ancora limitato.
L’ipotesi Sherdana (è meglio questa trascrizione) venne avanzata da uno storico (Carta Raspi) non specialista in epigrafia né in filologia semitica, ma basandosi esclusivamente su un ragionamento altamente ideologico, che a mio parere danneggia molto le qualità di quel libro. L’ipotesi è stata ripresa da appassionati, anche in questo caso privi di competenza specifica, che si guardano bene da fornire le prove dell’ipotesi: il capitolo di Sanna sull’interpretazione della stele mi pare un capolavoro in questo senso: Tartesso è Tharros salvo a un certo punto trasferirsi a Cornus ecc. Cercherai invano le prove, le fonti, i dati che stanno alla base di questa tesi. Non dimentichiamo, peraltro, che in tutto il mondo non è stata ritrovata sinora una sola iscrizione sherdana, cioè in scrittura o in lingua sherdana (ammesso che tale lingua esista per davvero). Tutti i testi scritti che riguardano con certezza gli Sherdana sono in accadico (lettere di El Amarna), ugaritico, egiziano e in tutte gli Sherdana paiono essere parte integrante di quelle culture, sia nei nomi, che nella residenza, nella cultura e nella religione.
Una consiglio quando guardi un libro controlla la bibliografia (per vedere se conosce la materia in modo aggiornato) e nel testo verifica se le affermazioni sono supportate da prove verificabili (ogni prova deve avere il riferimento che ti permetta di verificare, non credere solo perché l’ha detto l’autore); se no inizia a dubitare, soprattutto quanto più grandi e inverosimili sono le affermazioni (hai notato che in questi autori le scoperte “eccezionali” si moltiplicano con una velocità impressionante? Anno dopo anno, libro dopo libro. Una vera frenesia). E dubita soprattutto quando mostrano fastidio esagitato a ogni osservazione critica. Solo piccoli consigli di autodifesa nel mare di parole che vengono pubblicate ogni anno sull’argomento.
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alfonso
Utente Medio
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Inserito il - 29/02/2008 : 21:54:17
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Mi riferivo ovviamente alla domanda di Asia
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alfonso alfonsostiglitz@libero.it |
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gina
Utente Medio
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Inserito il - 01/03/2008 : 00:17:39
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una domanda: la lingua fenicia è stata tradotta? grazie Gina
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alfonso
Utente Medio
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Inserito il - 01/03/2008 : 09:59:21
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Certamente, già dall'ottocento. Esistono anche grammatiche e vocabolari, nessuno dei quali però in italiano. Se vuoi addentrarti nel problema ti suggerisco la lettura, ma è un testo complesso, di G. Garbini, introduzione all'epigrafia semitica, pubblicato nel 2006 dalla Paideia di Brescia e costa un po' di soldi. Non sempre concordo con Garbini, soprattutto con i suoi testi archeologici (vedi l'altro suo libro, quello sui Filistei) ma questo sicuramente è oggi il testo di riferimento per chi voglia iniziare a occuparsi di lingue semitiche.
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gina
Utente Medio
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Inserito il - 02/03/2008 : 00:18:38
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grazie Alfonso ma come mai,allora, nessuno riesce a decifrare la stele di Nora, che dovrebbe essere scritta in fenicio? Gina
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asia
Salottino
Utente Senior
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Inserito il - 02/03/2008 : 02:07:01
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| alfonso ha scritto:
Mi riferivo ovviamente alla domanda di Asia
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Grazie, Alfonso... sei stato più che esauriente. La frenesia di cui parli mi pare verosimile. Ma è inquietante, se è vero ciò che affermi, che certi studi vengano portati avanti solo per ideologia, senza competenze specifiche.
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Modificato da - Adelasia in data 02/03/2008 16:43:25 |
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alfonso
Utente Medio
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Inserito il - 02/03/2008 : 09:33:14
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La stele di nora è stata decifrata e tradotta. Il problema sta nelle diverse possibilità di distinzione delle parole e, conseguentemente, nella diversità di interpretazione; per cui esistono diverse traduzioni possibili.
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Modificato da - Adelasia in data 02/03/2008 16:42:31 |
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alfonso alfonsostiglitz@libero.it |
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gina
Utente Medio
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Inserito il - 02/03/2008 : 19:21:09
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Ma questo vale solo per la stele di Nora o anche per gli altri testi fenici? Grazie Gina
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Ammutadori
Salottino
Utente Senior
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Inserito il - 21/07/2008 : 13:54:11
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da L’Unione Sarda 12 luglio 2008 (Carlo Figari)
Per gli archeologi Zucca, Stiglitz, Usai e Antona i segni non sono un mistero
Oristano. «Sino a prova contraria i nuragici non scrivevano e non utilizzavano la scrittura per comunicare. Altro discorso è l'acquisizione di segni e alfabeti di provenienza esterna e pensare che qualcuno li conoscesse e li sapesse usare. Esempio lampante le ceramiche nuragiche dell'ottavo secolo trovate da Valentina Porcheddu in un antico "emporio" a Villanova Monteleone con incisi, prima della cottura, segni alfabetici fenici e greci». Raimondo Zucca, tra i più autorevoli archeologi della generazione che ha raccolto la pesante eredità di Giovanni Lilliu, osserva dall'esterno l'acceso dibattito sulla scrittura nuragica. A riattivare un confronto che si trascina da anni è stato il blog del giornalista Gianfranco Pintore, sempre attento a segnalare novità sui grandi temi del sardismo e dell'archeologia. L'esistenza o meno di un alfabeto nuragico è uno di quelli che appassiona-no di più. Anche con toni, spesso, oltre le righe. Ma nel mondo dell'archeologia si muovono personaggi di ogni genere, dai compassati studiosi ai sanguigni aedi paladini di una civiltà mitica e autoctona. Ed ecco il dibattito sui ritrovamenti - veri o presunti, dipende da che parte li si vuol vedere - delle prime iscrizioni nuragiche: le tavolette bronzee di Tziricotu (Cabras), l’anello-sigillo di su Pallosu (San Vero Milis), i segni sulla pietra di una capanna a Pedru Pes (Paulilatino) e un'iscrizione su un blocco di un muretto nella campagna di Abbasanta (nuraghe Pitzinnu). Il padre degli studi sulla civiltà nuragica, Giovanni Lilliu, ha sempre negato l'esistenza di un alfabeto originale perché non si è mai avuto un riscontro sul campo. Ma nessuno, a cominciare proprio dall'ultranovantenne Lilliu, esclude un ripensamento di fronte all'evidenza di una prova avvalorata dai crismi della scienza. ZUCCA. «Tutto è possibile» sottolinea Momo Zucca: «Degli antichi abitanti della Sicilia, i Sicani e gli Elimi, si pensava che solo i primi conoscessero la scrittura: Poi 40 anni fa in un tempio di Segesta è stata trovata una grande quantità di vasi greci con iscrizioni elima che hanno fatto ricredere gli storici. Per quanto sappiamo oggi la cultura sarda è pro-fondamente orale: questo non e un mito perché nel mondo mediterraneo la scrittura viene elaborata dalle civiltà urbane, mentre la Sardegna esprime una civiltà contadina. Sino a oggi conosciamo villaggi nuragici, ma non città che nascono solo con l'arrivo dei fenici. Da quel momento (settimo-sesto secolo) convivono comunità distinte, ma ciò non esclude che gli autoctoni potessero aver acquisito o utilizzato alfabeti fenici». STIGLITZ. Le scoperte da più parti annunciante sulle presunte iscrizio¬ni nuragiche trovano puntuale smentita dagli esperti dell'Università e della Soprintendenza. Le misteriose tavolette di Tziricotu? L'archeologo Alfonso Stiglitz risponde con l'immagine di un reperto bizantino, un ornamento bronzeo di un fodero o di un altro oggetto: «La tavoletta è uguale. Le presunte iscrizioni nuragiche sono sono semplici decorazioni usate sino al medioevo. Di per se la tavoletta trovata a Cabras è molto importante perché è il primo esempio del genere rinvenuto in Sardegna. Ma poiché non è nuragico sembra disinteressare tutti. Il vero problema è questo: cerchiamo di valorizzare una civiltà che ci ha lasciato poco mentre trascuriamo altre di cui abbiamo abbondanti testimonianze». Stiglitz ribadisce un concetto ormai consolidato: «Un popolo che non ha la scrittura non viene più considerato barbarico, ma può essere comunque portatore di una grande civiltà. La scrittura nasce in contesti urbanizzati e con un potere centralizzato. Viene utilizzata per scopi amministrativi, burocratici e commerciali, serve per fare inventari. Ma in Sardegna mancano proprio quel¬le strutture sociali che in Oriente e in alcuni ambiti occidentali (etruschi, iberici, libici e italici) hanno dato via alle varie forme di alfabeti». DECORAZIONI. Nella maggior parte dei casi, quando si parla di presunte iscrizioni nuragiche, gli archeologi "ufficiali" chiamati a dare una valutazione scientifica arrivano ad altre conclusioni: «Si tratta di incisioni successive scolpite sul reperto originale oppure di semplici decorazioni scambiate per segni di lontane lingue orientali». Quelle che avrebbero influenzato la cultura dei mitici popoli del mare, gli Shardana, considerati da alcuni «padri dei nuragici». «Ma dov'è questa gente d'Oriente?» si domanda Alfonso Stiglitz: «Possibile che non abbiamo trovato alcuna traccia? Né tombe, né ceramiche, né armi. Eppure erano uomini che mangiavano e lavoravano come tutti. Mi stupisce che abbiano lasciato solo misteriose iscrizioni e neppure un segno del loro passaggio». LA PRISGIONA. Ad Arzachena, nella rinomata terra del vino Capichera, il villaggio nuragico detto La Prisgiona ha restituito numerose capanne e una quantità di ceramiche. Un bel vaso sicuramente nuragico -datato tra il 12mo e il decimo secolo- mostra delle incisioni che hanno fatto pensare alla scrittura. «L'ennesimo falso allarme» spiega l'archeologa Angela Antona che ha diretto lo scavo: «L'hanno visto diversi esperti e tutti hanno parlato di semplici motivi decorativi. Nessun dubbio». Momo Zucca ricorda ancora un esempio: a Huelva, in Andalusia, è venuto alla luce un blocco di 31 frammenti di ceramica nuragica insieme a vasi attici del periodo medio-geometrico (800-750 a. C). Tra questi reperti anche un'anfora vinaria sicuramente prodotta in Sardegna con due segni di alfabeto. «Cosa significa?», si domanda l'archeolo¬go oristanese: «È probabile che non sapessero scrivere, ma che utilizzassero segni di altri alfabeti per diversi scopi che non sono però quelli della scrittura così come la intendiamo noi». Una tesi che partendo da Lilliu e dai padri dell'archeologia nuragica (con qualche eccezione) si è consolidata nel tempo sulla scia di nuovi studi. E che i continui annunci di «clamorose scoperte» di un alfabeto tutto nuragico non scalfiscono di un pelo. USAI. «Che gli antichi sardi parlassero una lingua comune, da nord a sud dell'isola, è ormai una certezza grazie agli studi filologici sui toponimi e sui "relitti" linguistici. Ma sull'esistenza di un alfabeto e sull'uso della scrittura non abbiamo alcun documento scientifico» ribadisce l'archeologo della Soprintendenza Alessandro Usai, responsabile per il territorio di Oristano da dove sono partite le più recenti segnalazioni (tavolette e iscrizioni). «Abbiamo riscontro di segni singoli sui lingotti di rame "oxhide" (cioè disegnati come pelli di bue), trovati in abbondanza nel bacino mediterraneo. Attribuiti da diversi studiosi alla civiltà nuragica risultano invece di provenienza cipriota alle luce delle analisi isotopiche. Altri singoli segni su ceramiche sono segnalati in uno scavo a Villanova Monteleone e a Monte Prama, nella zona dei famosi guerrieri di pietra. I segni però si notano non sulle statue, ma su modelli di nuraghi, fatti con elementi componibili: quindi si può ipotizzare che si tratti di indicazioni per far combacciare [sic!] i singoli pezzi. Non si può escludere, proprio perché non ne abbiamo mai trovato traccia, che esempi di scrittura si possano trovare su materiale deperibile, come argilla cruda, legno, pelli o tessuti. Ma oggi dobbiamo attenerci alle attuali conoscenze». TZIRICOTU. Usai ha esaminato, per dovere d'ufficio, i casi di cui si discute vivacemente sul blog del giornalista Pintore, beccandosi anche ironici commenti. Ma una cosa è la di-scussione tra appassionati con incursioni di nomi di fama come il docente Giovanni Ugas che continua le sue ricerche sui popoli Shardana. Altro sono le pubblicazioni scientifiche che devono passare al vaglio degli esperti di università e Soprintendenze. Le tavolette di Tziricotu? «Non c'è dubbio, un reperto tardobizantino o medievale, torse persino della civiltà longobarda che in Sardegna ha lasciato molte tracce, non abbastanza pubblicizzate», risponde Usai. Spiega che molti siti nuragici sono coperti da stratificazioni di epoche successive: così reperti romani e medievali si possono mischiare a pezzi più antichi, confondendo -spesso in buona fede - i ricercatori meno avveduti. «Di molti reperti -conclude Usai- si parla, ma poi vengono tenuti nascosti per diversi motivi. In realtà chi cerca le prove dell'esistenza della scrittura nuragica guarda sempre in questa direzione e interpreta ogni segno a conforto della sua tesi. Ma i sardi nuragici erano un popolo contadino e non avevano bisogno di una scrittura per le necessità della loro vita».
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Tranquillo
Salottino
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Inserito il - 21/07/2008 : 14:09:17
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| Messaggio di Ammutadori
da L’Unione Sarda 12 luglio 2008 (Carlo Figari)
Per gli archeologi Zucca, Stiglitz, Usai e Antona i segni non sono un mistero
«Sino a prova contraria i nuragici non scrivevano e non utilizzavano la scrittura per comunicare. |
Per gli archeologi Zucca, Stiglitz, Usai e Antona:
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Alla faccia de "i Nuragici non scrivevano".......
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antas
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 21/07/2008 : 14:46:15
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| Messaggio di Ammutadori
da L’Unione Sarda 12 luglio 2008 (Carlo Figari)
Per gli archeologi Zucca, Stiglitz, Usai e Antona i segni non sono un mistero
…………………………………………Il padre degli studi sulla civiltà nuragica, Giovanni Lilliu, ha sempre negato l'esistenza di un alfabeto originale perché non si è mai avuto un riscontro sul campo. Ma nessuno, a cominciare proprio dall'ultranovantenne Lilliu, esclude un ripensamento di fronte all'evidenza di una prova avvalorata dai crismi della scienza. ZUCCA. «Tutto è possibile» sottolinea Momo Zucca: «Degli antichi abitanti della Sicilia, i Sicani e gli Elimi, si pensava che solo i primi conoscessero la scrittura: Poi 40 anni fa in un tempio di Segesta è stata trovata una grande quantità di vasi greci con iscrizioni elima che hanno fatto ricredere gli storici. Per quanto sappiamo oggi la cultura sarda è pro-fondamente orale: questo non e un mito perché nel mondo mediterraneo la scrittura viene elaborata dalle civiltà urbane, mentre la Sardegna esprime una civiltà contadina. Sino a oggi conosciamo villaggi nuragici, ma non città che nascono solo con l'arrivo dei fenici. Da quel momento (settimo-sesto secolo) convivono comunità distinte, ma ciò non esclude che gli autoctoni potessero aver acquisito o utilizzato alfabeti fenici»………………………………..
………………………………………Ma i sardi nuragici erano un popolo contadino e non avevano bisogno di una scrittura per le necessità della loro vita».
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Un vero scienziato non esclude niente, quindi l'ultima affermazione mi lascia alquanto perplesso. Non capisco perchè alcuni archeologi escludano a priori l'esistenza di una scrittura del periodo nuragico, sia pure, (perche no') con segni alfabetici stranieri, e invece si è pronti a sentenza come l'ultima di cui sopra. Elogio i dubbi dei prof. ri Lilliu e Zucca.
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