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calafuria
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 30/11/2007 : 09:41:49
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‘’L’oro nascosto ‘’
Una antica leggenda popolare vuole che in una galleria imprecisata della miniera di Masua si trova un carrello che veniva utilizzato per il trasporto del minerale stracolmo di oro recuperato in mare da un antico vascello affondato nei pressi del Pan di Zucchero. Fu cercato per secoli ma le già antiche gallerie che lo ospitavano franarono seppellendo per sempre il prezioso bottino.
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murta
Salottino
Utente Senior
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Inserito il - 30/11/2007 : 09:43:44
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maaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa massyyyyyyyyyyyyyy............................è finita cosiiiiiiiiiiiiiiii..........................o noooooooooooooo non c'è scritto continua
murta
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annika
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Inserito il - 30/11/2007 : 10:34:13
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Tratto dal libro : SARDEGNA- MINATORI E MEMORIE...
Una testimonianza.......
La nostra e' una famiglia di minatori da tre generazioni,mio padre era minatore,mio nonno minatore e i tre figli tutti minatori. Mio padre lavorava nella Miniera di S.Giovanni, e viaggiava tutti i giorni da Domusnovas,dove vivevamo io,i miei due fratelli maschi, le mie 5 sorelle e mia madre. Nel 1956,ci siamo trasferiti a S.Giovanni nella casa della miniera,all'interno del villaggio minerario. La casa assegnataci era piccola: 2 stanzette e la cucina, ci dovevamo arrangiare in dieci. La notte mettavamo delle brande pieghevoli in cucina e dormivo con i miei fratelli, le cinque sorelle in una stanza e nell'altra babbo con mamma. I bagni erano distanti 50 metri dalla casa ed erano comuni alle altre famiglie vicine. A 18 anni nel giugno del 1960,fui assunto in miniera. Ero magrolino e denutrito,in quel tempo era difficile anche per un minatore, che in proporzione aveva una paga piu' alta di altri operai...mantenere una famiglia numerosa come la mia. Facevo il manovale minatore,il mio compito era quello di recuperare dopo la "volata" il materiale abbattuto con "marra" e "paiolo" e gettarlo dentro un vagone. Quando il vagone era pieno,lo spingevamo fino ad un silos e lo rovesciavamo dentro. il minerale ra costituito da bario,piombo,blenda, tutti materiali molto pesanti. i vagoni erano di circa 0,60 metri cubi..e per raggiungere il minimo cottimo perche' venisse pagata la giornata,bisognava caricarne 15-20 in otto ore. Alla fine del turno,spingevamo nuovamente i vagoni e li mettavamo in una disceseria,fino al posto di lavoro distante circa 400 mt. I vagoni in discesa erano velocissimi e dovevamo faticare per frenare la loro corsa con un pezzo di legno. In salita dovevamo riportarli su spingendo in retromarcia con la schiena. Ricordo che una volta, portammo i vagoni pieni di argilla morbida che, durante i 400 mt. di percorso, si assestarono dentro il vagone lasciando scoperto il bordo. Arrivati alla ricetta,il sorvegliante ci contesto' che i vagoni non erano ben pieni,minacciando di non pagarci il cottimo. Dovette intervenire mio padre, sorvegliante anche lui, perche' non ci facesse rapporto. Lavoravamo 8 ore continuate, non c'era pausa per il pranzo. Era assolutamente vietato per motivi di igiene e sicurezza,mangiare durante il lavoro. Potevamo avere solo una bottiglia d'acqua....se per il caldo e la fatica l'acqua terminava, chiedavamo al sorvegliante il permesso di averne un'altra, ci rispondeva di NO, dovevamo stare attenti a gestircela meglio. Qualche minatore, di nascosto riusciva a mangiare un pezzo di pane, ma se veniva scoperto...rischiava il licenziamento. Spesso non mangiavo nulla perche' non ne avevo il tempo, e mangiavo solo a cena quando tornavo a casa. I compagni mi dicevano " Sei troppo gracile per questo lavoro ", ma io sapevo di non avere alternative e... stringevo i denti..andando avanti.
testimonianza di Silvestro Mocci.
Annika
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Marialuisa
Utente Master
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Inserito il - 01/12/2007 : 09:50:50
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Continuano i racconti , continuano le emozioni ... Vengo sempre in punta di piedi qua , mi ritrovo come se socchiudessi l'uscio con trepidazione e rispetto , infine mi abbandono alle sorprese che pare non finiscano mai . Grazie ad Annika e Calafuria - soprattutto - per quel modo particolare e discreto di far rivivere ricordi ed esperienze di un mondo che non dobbiamo mai dimenticare perchè è parte della nostra identità. L.
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annika
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Inserito il - 01/12/2007 : 17:15:52
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| Marialuisa ha scritto:
Continuano i racconti , continuano le emozioni ... Vengo sempre in punta di piedi qua , mi ritrovo come se socchiudessi l'uscio con trepidazione e rispetto , infine mi abbandono alle sorprese che pare non finiscano mai . Grazie ad Annika e Calafuria - soprattutto - per quel modo particolare e discreto di far rivivere ricordi ed esperienze di un mondo che non dobbiamo mai dimenticare perchè è parte della nostra identità. L.
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Grazie a te Marialuisa !!!
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calafuria
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 01/12/2007 : 19:00:52
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Anny grazie della testimonianza di S.Mocci, molto toccante.
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calafuria
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 01/12/2007 : 19:01:59
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| Marialuisa ha scritto:
Continuano i racconti , continuano le emozioni ... Vengo sempre in punta di piedi qua , mi ritrovo come se socchiudessi l'uscio con trepidazione e rispetto , infine mi abbandono alle sorprese che pare non finiscano mai . Grazie ad Annika e Calafuria - soprattutto - per quel modo particolare e discreto di far rivivere ricordi ed esperienze di un mondo che non dobbiamo mai dimenticare perchè è parte della nostra identità. L.
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Sei molto gentile Marialuisa, grazie.
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calafuria
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 01/12/2007 : 19:44:10
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Tipologia delle abitazioni dei minatori.
Dobbiamo innanzi tutto tenere in considerazione che i giagimenti di minerali non sono situati in ambienti dove l'uomo sceglie, paesaggisticamente parlando, di far nascere un paese. Questi villaggi minerari, venivano improvvisati là dove si richiedeva lo sfruttamento del giacimento. Fortunatamente la Sardegna è fantastica anche dove la natura viene meno, selvaggio ai nostri occhi può sembrare sinonimo di bello, forse lo era meno per chi doveva lavorarci.
....................continua.............
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annika
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Inserito il - 01/12/2007 : 19:49:09
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Proprio così.....
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calafuria
Salottino
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Inserito il - 02/12/2007 : 13:37:46
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Si dovette provvedere a costruire abitazioni per tutto il personale. Queste si differenziavano dalle case rurali in modo particolare per il tetto e la pavimentazione a differenza delle case rurali costruite con il pavimento in battuto e costruite con mattoni di paglia e fango. Queste costruzioni erano destinate alle famiglie e gli scapoli. Le abitazioni delle famiglie potevano comprendere più vani a seconda del nucleo familiare. Per gli scapoli vi erano i famosi cameroni. Ad esempio a Montevecchio fu costruito l'albergo per i minatori scapoli ''Francesco Sartori'' che poteva ospitare sino a 300 minatori. Più piccolo di dimensioni quello di Bacu Abis sino a 120 posti. Nelle miniere più piccole si costruivano dei cameroni che ospitavano dai 4 ai 6 minatori dotate di caminetto.
...........segue...................
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calafuria
Salottino
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Inserito il - 02/12/2007 : 13:48:39
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Gli alloggi delle famiglie erano riunite in gruppi, a volte erano delle vere e proprie palazzine sino ad 8 alloggi. Spesso vi era anche un giardinetto, i servizi igenici erano ubicati all'interno dell'alloggio oppure situate all'esterno in posizione idonea(latrine). Prima degli anni 20 le abitazioni dei minatori erano costituite da capanne costruite nei terreni in concessione della società mineraria. Molti di questi villaggi minerari, i più grandi, erano dotati di strade e acquedotti, grandi dispense, piccoli ospedali e luoghi di culto.
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Marialuisa
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Inserito il - 02/12/2007 : 16:28:43
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Vorrei - in questo contesto - ricordare la signora Rosina C. che all'età di 9 anni piazzava le cariche di dinamite a Porto Flavia e che ha lavorato in miniera fino a 27 anni . Vissuta a Masua , Iglesias , Carbonia , oggi dovrebbe avere circa 95 anni . La incontravo in città , sempre curata e arzilla , col sorriso sereno sulle labbra e pur non conoscendola la salutavo con grande piacere . Forse Dany e Calafuria sapranno spendere altre parole per questa donna , lei sì MITICA , che è conosciuta e stimata non solo in Sardegna ma anche in Europa . Asos.
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annika
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Inserito il - 02/12/2007 : 18:16:28
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per Marialuisa..
ROSINA CARTA
De su traballu fattu, non ti 'nde pentas mai ( Del lavoro fatto,non pentirti mai)
«I primi due anni ho lavorato allo sgombero di una discarica e dopo alla costruzione delle gallerie. Poi ho imparato a confezionare e detonare la dinamite. E così a 9 anni mentre mio padre faceva i fori per la volata, io piazzavo le cariche». Rosina Carta, quella bambina, proprio oggi compie 95 anni
Rosina Carta ha conosciuto la fatica del lavoro in miniera. Nata a Buggerru, cresciuta a Masua, trasferita prima ad Iglesias poi a Carbonia: ha vissuto il periodo d’oro della regione mineraria e anche il suo declino.
Il suo nome è legato a doppio filo a quello di Porto Flavia, l’attracco delle navi per il carico del materiale estratto dalle miniere di Masua. L’ha aiutato a nascere e là è ritornata all’età di 88 anni per difendere il diritto al lavoro dei figli dei minatori.
Rosina era la prima di sei figli. Quando il padre partì per la Grande guerra lei aveva solo due anni. La mamma, costretta a trasferirsi a Masua per lavoro, la lasciò a Buggerru con una zia che le poteva offrire solo una tazza di latte a colazione e a cena. «È per questo motivo che ho fatto un anno di finanza». Un anno di finanza? «Per sfamarmi, perché di fame si deve parlare, questo zio finanziere mi portava con sé in caserma. Dove venivo coccolata dai militari, che mi facevano trovare ogni giorno un pasto caldo».
Dopo un anno raggiunse la madre a Masua e dopo pochi anni di asilo, l’unica cosa che dovrebbero fare i bambini a quell’età, inizia a lavorare. La sua carriera scolastica si interruppe ben presto, perché la famiglia aveva bisogno di altre due braccia: «Anche se non ho frequentato la scuola, ho imparato a leggere e scrivere grazie all’aiuto della figlia del contabile delle miniere. La mia penna era un pezzo di carbone, il mio quaderno era il foglio di carta usato per avvolgere gli spaghetti che mia madre comprava sfusi in bottega».
Iniziò a lavorare all’età di sette anni. «In quegli anni era normale che i bambini andassero a lavoro così piccoli, soprattutto con un padre autoritario come il mio che doveva far quadrare i conti della famiglia». L’occasione si presentò quando il direttore della miniera chiese al padre di Rosina cercare un nuovo operaio per la costruzione di Porto Flavia, e lui portò con sé la figlia.
«Quando mio padre partiva la mattina per il lavoro, io aspettavo che mia madre mi preparasse il pranzo e poi lo raggiungevo. I primi due anni ho lavorato allo sgombero di una discarica e dopo lavorammo alla costruzione delle gallerie. Fu lui a insegnarmi a confezionare e detonare la dinamite. Così a 9 anni, mentre lui faceva i fori per la volata, io piazzavo le cariche». Una vera minatrice. «Prima di iniziare lo scavo della prima galleria, ricordo che mi mise su una scala e mi fece dipingere il nome Porto Flavia da lui già inciso sul cemento. Dopo otto anni di lavoro, le gallerie ed i silos del porto vennero terminati e venne caricata la prima nave di cui ricordo ancora il nome: Sebastiano Brindis».
Dopo Porto Flavia, all’età di 15 anni, lavorò prima come vagonista e poi in laveria, prima come crivellatrice e poi al frantoio. «La busta paga era di 5,25 lire al giorno per otto ore di lavoro. E anche la retribuzione non era la stessa per uomini, donne e bambini. Essendo una bambina prendevo meno di tutti. I soldi li consegnavo direttamente a mia madre, e quindi per me non restava niente. Oltre al mio turno di lavoro, andavo in discarica due ore al giorno alla ricerca di minerali e per questo “extra” prendevo altre due lire che usavo per comprarmi le calze». Ma la giornata lavorativa non finiva qui. «Dopo le 10 ore di miniera mio padre mi faceva lavorare anche la terra. Quando avevo 15 anni non lavoravo mai meno di 12 ore. Andavo in giro sempre scalza, le scarpe erano un lusso e le potevo usare solo nei giorni di festa. Ricordo che per la festa di Santa Barbara, mia madre mi comprò mesi prima una paio di scarpe. Quando arrivò il gran giorno le indossai ma non mi stavano più perché nel frattempo ero cresciuta così come i miei piedi».
Il lavoro in miniera non era solo fatica, ma anche paura. Per ben due volte Rosina vide letteralmente la morte in faccia. «La prima quando lavoravo ai crivelli: la cinghia di una macchina mi avvolse come una frusta e per poco non mi strozzo. Le mie compagne riuscirono a salvarmi la vita staccando la corrente e liberandomi dalla morsa della macchina». La seconda? «Quando lavoravo ai frantoi. Non mi accorsi che nel vagone, carico di materiale grezzo, era presente anche dell’esplosivo. Ho caricato la macchina con il materiale e poi sono andata a bere un bicchiere d’acqua. Ringrazio ancora la sete. Mi ha permesso di invecchiare».
I rischi erano sempre tanti. «Ho concluso il lavoro in miniera nel frantoio esterno dove il materiale veniva macinato prima ancora di essere inviato alla laveria. Anche questo lavoro presentava un grosso problema: la silicosi. Al frantoio si respirava la polvere che si alzava per via del vento. E un giorno in cui l’aria era irrespirabile mi costruii una mascherina, usando un pezzo di tela della sottogonna, che avevo inumidito con dell’acqua e delle foglie di malva per proteggere il naso». Dal giorno quella mascherina entrò a far parte stabilmente dell’”equipaggiamento” di lavoro di Rosina e delle compagne.
La sua attività a Masua terminò all’età di 27 anni, quando le miniere vennero chiuse e tutti i lavoratori dovettero cercare impiego in altri paesi. «A Masua ho lavorato per ben 20 anni. Poi io e la mia famiglia siamo stati costretti a spostarci ad Iglesias alla ricerca di nuovi impieghi. E là che ho conosciuto mio marito». Con il matrimonio cambiarono anche le priorità. «Una volta sposata ho scelto di dedicare interamente il mio tempo alle mie figlie. Ma senza dimenticare mai i sacrifici della mia infanzia e della mia adolescenza».
Forse per questo si è sentita chiamata in causa quando, nel 2000, ha visto i lavoratori occupare la miniera di Monteponi, per rivendicare il loro diritto al lavoro. «Ho pensato che il parco geominerario appartenga a loro, a me e alle sofferenze dei loro padri che hanno conosciuto la fatica del lavoro in miniera. Appena ho sentito la notizia che, durante l’occupazione, gli operai erano rimasti senza energia elettrica, ho chiesto a mia figlia di portarmi là». Così a 88 anni compiuti, insieme alle 5 operaie coinvolte in questa lotta, Rosina occupa Porto Flavia per ben 4 giorni. «Dopo due ore dalla nostra occupazione venne riallacciata la corrente alla miniera di Monteponi e venne poi firmato l’accordo per il Geoparco nel quale si affidava ai figli dei minatori la gestione del loro territorio».
Quello che la vita non le ha dato da giovane, Rosina lo vive a 95 anni. «Finalmente mi godo la vecchiaia tra mie figlie e miei nipoti. Non manca settimana che non vada al campo ad allenarmi. Ho vinto diverse medaglie nel lancio del peso». Non solo. «Ogni tanto vado a visitare le comunità dei sardi sparse in Italia, ed anche in Francia a Grenoble, per ricordare quello che ormai fa parte della nostra storia». Buon compleanno Rosina.
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Modificato da - annika in data 02/12/2007 18:26:03 |
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Marialuisa
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Inserito il - 02/12/2007 : 18:51:51
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Annika cara , ma dimmi una cosa : dove sono piovuta ? E' proprio Paradiso (la) ? Quando si dice nomen omen ! Basta parlare e zac !!! arriva il regalo . Grazie . Sai , spero proprio di incontrare presto signora Rosina , da parecchio non la incontro .. La saluterò e le dirò - tra me e me - "Un saluto da tutti i paradisolani". L.
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annika
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Inserito il - 02/12/2007 : 18:54:41
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| Marialuisa ha scritto:
Annika cara , ma dimmi una cosa : dove sono piovuta ? E' proprio Paradiso (la) ? Quando si dice nomen omen ! Basta parlare e zac !!! arriva il regalo . Grazie . Sai , spero proprio di incontrare presto signora Rosina , da parecchio non la incontro .. La saluterò e le dirò - tra me e me - "Un saluto da tutti i paradisolani". L.
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Marialuisa !!! Mi raccomando se la incontri dagli un bacio da parte mia !!!
ci conto ...ciao Carissima.....
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