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Adelasia
Moderatore
Penna d'oro
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Inserito il - 01/09/2008 : 20:45:00
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Parrebbe, e gli indizi sono tanti da non lasciare troppi dubbi, che Steven Spielberg si sia ispirato ai suoi versi per quell’indimenticabile immagine in "Schindler's list" nella quale, colorate come il vestito in un mare di scuro angosciante, spiccavano un paio di scarpette rosse: esattamente come le aveva descritte Joyce Lussu in una di quelle tante poesie che iniziò a scrivere da giovanissima, scomodando l’attenzione di Benedetto Croce.
Allora si chiamava Gioconda Salvadori: era nata a Firenze da ascendenti anglo-marchigiani e la sua casa era il mondo.
Per quanto mi riguarda non sono tanto le sue poesie che me l’avevano inizialmente fatta apprezzare, ma l’incondizionata riconoscenza per avermi permesso, grazie alla sua straordinaria traduzione, di conoscere Nazim Hikmet e i suoi giorni lieti dal profumo di melone, il mare dal sale azzurro, le foglie cadenti dei viali di ippocastani.
Poi ho letto “L’olivastro e gli innesti”, pubblicato per la prima volta nel 1982, e mi sono sentita totalmente coinvolta. L’olivastro e l’innesto perché, come spiega l’autrice nella storia di apertura, quella sua, dopo aver conosciuto Emilio Lussu lei, che non aveva radici in Sardegna, si è “innestata sulla Sardegna”, fiera di portare un nome che proveniva da un mondo che “era molto più mio che non quello della mia famiglia originaria”. E la Sardegna scoprì, prima attraverso il compagno e le letture, poi vivendoci e percorrendola anche da sola: “partivo da Armungia”, scrive” con le bisacce legate alla sella…e andavo da un ovile all’altro fino ai villaggi più isolati e deserti. Mi presentavo ai pastori nelle loro capanne di pietra.. ”.
“L’olivastro e gli innesti” è quindi una raccolta di storie ambientate nei paesi e nelle campagne della Sardegna degli anni ’40 e ’50, dalle quali traspare una forte denuncia sociale; storie di vite difficili da vivere, di miseria, di indifferenza, di disperazione, di fame , di infanzie negate, di soprusi, di malattie. Storie di una Sardegna che nulla ha di romantico, di vinti più vinti di quelli del Verga, storie prive di speranze che hanno costruito intorno a me, lettrice sempre più coivolta, quel senso dell’impotenza, dell’ingiustizia e della sofferenza che paragono ad alcune indimenticabili pagine di Beppe Fenoglio, quelle nelle quali si attendeva invano una Provvidenza che si era girata dall’altra parte.
Non aspettiamoci nessun lieto fine: nel libro della Lussu i buoni non vincono, e i nostri non arrivano; l’unico capace di rendere giustizia non è il dottorino che si dispera allorché vede morire i suoi pazienti perché non possono avere nè medicine nè pane quotidiano, bensì il cavallo che disarciona, uccidendolo, il prepotente amministratore di latifondi. La vita è una continua lotta per la sopravvivenza da quando si nasce: non è certo l’eccezione Beniamino, che lavora dall’età di 11 anni e il cui unico sogno è quello di poter dormire… e che dire dei i vecchi che, ormai scomparse le accabadoras, sono destinati a vivere senza sperare di morire “nei letti, con le lenzuola pulite e tutti i conforti”, ma “dove possono”, anche “nelle stuoie davanti a focolari spenti perché nessuno era venuto ad accendere il fuoco” . Le donne invece sfioriscono- ammesso che siano mai fiorite- sotto stracci e stenti , spaccando pietre nelle strade o nelle miniere raggiunte dopo ore di cammino.
Solo l’ultima storia, “Che cos’è un marito” addolcisce, diverte e regala il sorriso: è quella di Joyce e di Emilio Lussu, sposato solo quando apparve necessario formalizzare il loro solidissimo rapporto, che viene raccontata con passione, con una splendida ironia che altrove la scrittrice aveva ovviamente e diligentemente sepolto, con franchezza eppure con pudore.
Joyce era partigiana quando incontrò il già famoso Emilio: fu amore a prima vista, immediato e totale, il classico “colpo di fulmine dei romanzi dell’ottocento”, come racconta divertita. Un amore che cresce, che matura con l’ impegno per i progetti di una vita insieme, per quella che definisce “una costruzione bellissima, senza ombre”, alimentata da passioni e valori condivisi, con la certezza inossidabile che anche quando non stavano insieme erano in grado di comunicare comunque.
Racconta che veniva molto invidiata per cotanto marito, e che era certa di non annoiarlo mai anche grazie alle sue storie che lui apprezzava tanto. Erano davvero alla pari: neanche lui la annoiava, certo che no.
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Modificato da - Adelasia in Data 01/09/2008 20:47:36
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Marialuisa
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Inserito il - 02/09/2008 : 16:08:58
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Adelasia , con poche pennellate hai creato questo incantevole ritratto .
Ho sempre ammirato Joyce Lussu , prima di tutto come donna che ha attraversato il suo tempo riuscendo a mantenere quell'autonomia che la caratterizzava ; scegliendo di stare dalla parte dei più deboli , delle donne , delle battaglie civili ma anche della lotta politica impegnata che le procurò la medaglia d'Argento al valor militare per la sua partecipazione alla resistenza .
Attiva nel movimento femminile mai si lasciò irregimentare da movimenti femministi politicizzati nè si fece allettare dalle sirene del potere politico ( mi pare che in quel di Carbonia le offrirono una candidatura per la camera dei deputati che rifiutò ),cercò di essere indipendente anche come moglie e mal si adattava a essere considerata solo perchè moglie di Lussu .
Una donna di tale statura poteva non avere la sensibilità di cogliere emozioni di ordine superiore ? Oh no , ed eccola alle prese con la poesia , pronta a coglierne tutte le vibrazioni e spinta a cercarla dove affioravano sentimento ed emozione .
Adelasia cara , per quelle intese mute che sanno dialogare nel tempo e nello spazio , ecco dove sta l'incanto del ritratto che hai creato .
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Adelasia
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Inserito il - 03/09/2008 : 23:07:22
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Grazie, Marialuisa, per le tue belle parole: la tua firma sul commento- immagino tu lo sappia- per me è un valore aggiunto
Condivido, senza riserva alcuna, la tua ammirazione nei confronti di questa straordinaria donna che, come riporti giustamente tu, non si fece incantare "dalle sirene del potere politico": in effetti fuggì (utilizza proprio questo verbo) in Sardegna quando il marito entrò nei ministeri Parri e De Gasperi e lei iniziò a ricevere "fioriti biglietti d'invito per i salotti romani". Eppoi, sentirsi chiamare "la signora del signor ministro", era qualcosa che la irritava non poco....
Era molto felice della sua scelta di vivere in Sardegna: conoscere l'isola era un modo per essere vicina al marito, che peraltro approvava. "Ma" scrive Joyce Lussu " quando i compagni di Carbonia mi offrirono la candidatura e i voti di preferenza per la camera dei deputati (Emilio si presentava per il senato), capii che c'era un equivoco. Per quanto avessi un alto concetto dei miei meriti personali, era chiaro che una simile carriera si sarebbe basata sullo sfruttamento della posizione di Emilio. Mi allontanai dalla Sardegna, con rammarico..."
Bellissimo quel tirarsi indietro senza sacrificare se stessa, anzi... rivendicando e riaffermando le sue capacità, le sue risorse personali, la sua coerenza e la sua etica.
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Modificato da - Adelasia in data 03/09/2008 23:10:32 |
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Adelasia
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Penna d'oro
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Inserito il - 03/12/2012 : 21:52:17
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Quest'anno diversi eventi hanno celebrato i 100 anni dalla nascita di Joyce Lussu: l'ultimo che ho notato è stato un bel programma della Rai, il 1 dicembre. Joyce era nata infatti nel 1912, a Firenze, l'8 maggio. Vorrei ricordarla anch'io.
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Adelasia
Moderatore
Penna d'oro
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Inserito il - 03/12/2012 : 22:04:59
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EMILIO TI RICORDI (di J. Lussu)
Emilio ti ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta in una casa svizzera linda e lustra di cera e di tendine e già la sera stavamo abbracciati in un letto a una sola piazza e poi tanti decenni di cose fatte insieme e le assenze i viaggi lunghi e brevi tu partivi io partivo ci mandavamo cartoline fino all’incontro successivo
E a un certo punto sei partito per un viaggio più lungo un posto dove non ci sono uffici postali per mandar cartoline o negozi per comprare regali ma i pensieri arrivano lo stesso Che ne direbbe di questo? sarebbe contento? Gli sembrerebbe fatto male?
Forse se usassi bene gli occhi sotto le palpebre chiuse ti vedrei arrivare da dietro gli archi e i sempreverdi con un sorriso affettuoso e divertito per lo scherzo che hai fatto di non mandare notizie oppure prendo in mano un tuo libro e lo do a un giovinetto affinchè tu gli parli con le parole giuste e attendo io la risposta o anche ripeto qualche cosa che hai detto prima di partire e cade tanto a proposito da sembrare inventata in quel momento stesso
Non c’è niente di buio e di definitivo in questo tuo essere assente e il mio non è un aspettare ma nemmeno una perdita o una voragine in cui non sei più Perché sei sei dentro tante cose parole immagini idee sentimenti aspirazioni stimoli movimenti presenti.
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