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Agresti
Moderatore
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Inserito il - 18/10/2007 : 15:34:50
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L' agabbadora. La morte invocata
di Murineddu Giovanni
La morte invocata Nell’antica tradizione sarda, la femina agabbadora è colei che pone fine alle sofferenze di un malato terminale, su richiesta sua o dei suoi familiari. Un atto pietoso, se si considerano le atroci sofferenze del moribondo, e, allo stesso tempo, decisamente violento nella sua drammaticità. Il romanzo di Giovanni Murineddu, che ha ispirato una sceneggiatura cinematografica, ci presenta la figura di Ghjuanna Pisanu, agabbadora del paese di Muntigghjoni, e ne racconta la storia, intrecciandola a quelle delle persone che ne richiedono l’intervento. Povera gente o aristocratici che siano, tutti di fronte al male decidono di affidarsi alle sue parole e ai suoi riti, sperando così di donare pace eterna a chi ormai non potrebbe più averne. Una morte invocata che ancora oggi, e forse molto più di due secoli fa, si trova al centro di accese polemiche etiche, religiose o laiche e che non manca di far discutere ogni volta che viene affrontata.
dove trovarlo
Prezzo € 14,00 2007, 160 pag Editore Il Filo (collana Nuove voci)
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Modificato da - Agresti in Data 15/01/2008 12:46:23
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Adelasia
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Penna d'oro
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Inserito il - 18/10/2007 : 19:57:21
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Fonte inesauribile d'ispirazione, l'accabadora... Agrè, visto il titolo del post, inseriamo qui anche i testi già segnalati nelle varie discussioni? Facciamo un po' di ordine sulle storie e leggende intorno alla gentildonna???
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Nuragica
Moderatore
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Inserito il - 18/10/2007 : 19:58:10
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Grazie per la segnalazione Agresti... Eh ci voleva proprio un libro su questo argomento, che è stato trattato e ritrattato su paradisola.. Chissa' che non gli abbiamo dato noi l'ispirazione giusta!!
_________________________________________________ ... vegno del loco ove tornar disio
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Barbaricina
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Jana Ojos-de-Luche
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Inserito il - 18/10/2007 : 20:49:09
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Agrè...
dopo tanto sentir parlare dell'Agabbadora....aver visto il "malteddhu"...come si dice in Lurese... il libro alla prima occasione lo prendo...
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Agresti
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Inserito il - 19/10/2007 : 08:57:30
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| adelasia ha scritto:
Fonte inesauribile d'ispirazione, l'accabadora... Agrè, visto il titolo del post, inseriamo qui anche i testi già segnalati nelle varie discussioni? Facciamo un po' di ordine sulle storie e leggende intorno alla gentildonna???
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Certissimo Adelasia!!
La mia idea era proprio quella di mettere un pò di ordine e magari "scovare" qualche altro titolo sull'argomento, oltre a quello già segnalato di Bucarelli e Lubrano
Quindi se mi date una mano nella ricerca possiamo fare un bel lavoro..
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Modificato da - Agresti in data 19/10/2007 09:21:38 |
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Agresti
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Inserito il - 19/10/2007 : 09:15:58
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Eutanasia ante litteram in Sardegna. Sa femmina accabbadòra. Usi, costumi e tradizioni attorno alla morte in Sardegna.
di Alessandro Bucarelli e Carlo Lubrano
Stando all'ipotesi più accreditata, sas accabadoras erano le donne che intervenivano negli ultimi momenti di agonia inducendo i moribondi alla bona morte : una sorta di eutanasia ante litteram. Non si attribuisca all'aggettivo bona il significato di calma, amabile, propizia, bella o gradevole, bensì quello di utile, necessaria cioè ad alleviare un'estrema e altrimenti irrimediabile sofferenza. Indurre alla bona morte era considerato un atto pietoso ma al tempo steso egoistico, poichè neccessarioad "alleggerire" la vita di chi restava, soprattutto quando le condizioni economiche erano precarie.
dove trovarlo
Prezzo € 20,00 2003, 104 p., ill., rilegato Editore Scuola Sarda
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Modificato da - Agresti in data 19/10/2007 09:18:43 |
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Adelasia
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Penna d'oro
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Inserito il - 19/10/2007 : 22:36:17
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| Agresti ha scritto: La mia idea era proprio quella di mettere un pò di ordine e magari "scovare" qualche altro titolo sull'argomento, oltre a quello già segnalato di Bucarelli e Lubrano
Quindi se mi date una mano nella ricerca possiamo fare un bel lavoro..
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Agresti, posso applaudirti??? Per questa idea e per quella che hai avuto di collegare gli argomenti con le bibliografie ... ecco perchè il nostro forum è speciale!
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Agresti
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Inserito il - 20/10/2007 : 10:35:35
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Grazie Adelasia!! Ogni tanto arriva qualche buona ideuzza
Credo che i libri siano gli strumenti più adatti, per approfondire un argomento che ci interessa in particolar modo, anche perchè ormai, su certe cose, sul Web trovi solo "copia e incolla" di tutto e circolano sempre le medesime notizie...
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Agresti
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Inserito il - 19/11/2007 : 18:41:54
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Accabadora. Tecnologia delle costruzioni nuragiche
di Franco Laner
Accabadora è parola attualmente quasi sconosciuta in Sardegna, significa accoppatrice, finitrice. Compito delle accabadoras era dunque di donare la buona morte agli individui soggetti a lunga e dolorosa agonia. Eutanasia dunque. Eutanasia, in questo caso di molte, troppe, teorie sulle costruzioni nuragiche che nonostante la loro inconsistenza logica, storica e soprattutto costruttiva, non muoiono.
Il libro si occupa essenzialmente della costruzione dei nuraghi, pozzi e fonti, tombe di giganti... Ma è possibile occuparsi di atti tecnici senza conoscere gli atti mentali che li hanno provocati? È possibile distinguere il risultato di una pietra sopra un'altra pietra dal pensiero che le ha poste in opera?
Una cultura si esprime anche attraverso il suo ambiente costruito, così come dall'ambiente costruito si può risalire alla cultura che lo ha espresso anche se non è ora facile far parlare le pietre.
Le varie interpretazioni che le pietre dei monumenti nuragici hanno finora suggerito sono assai modeste, a cominciare dalle teorie che assegnano ai nuraghi - nonostante la risibilità degli assunti - funzione militare, provocando a catena distorsioni e fuorvianze, mortificando non solo nuovi studi e acquisizioni, ma soprattutto la stessa cultura storica sarda.
Accabadora soprattutto di ciò che non è sostenibile sul piano costruttivo, sulle tecniche e concezioni delle strutture, dove si perpetuano luoghi comuni e affermazioni acritiche, proprie di chi non ha il senso del grave e non percepisce l'incessante lotta e i contrasti artificialmente apposti affinché le pietre non tornino a terra.
Nelle costruzioni nuragiche sono congelate tecnologie costruttive assai raffinate, nonostante la rozzezza del materiale, che, disvelate, ci fanno apparire il Nuragico come un gigante.
Insomma troppe cose non convincono. È necessario ricominciare su altre basi. La prima è sicuramente quella di allargare il recinto degli scavi agli studiosi di altre discipline, non solo a parole o per atteggiamento. Il recinto degli scavi dovrebbe diventare il crocevia delle discipline della natura e dello spirito. Dovrebbero, in esso, trovar sintesi il pensiero e la materia.
Solo così il mondo nuragico ci potrà, verosimilmente, appartenere.
Franco Laner , docente di Tecnologia dell'architettura presso l'Istituto universitario di architettura di Venezia. La sua attività professionale si sviluppa principalmente nell'ambito della sperimentazione e controllo della qualità dei materiali e componenti in legno, laterizio e calcestruzzo. Svolge da anni attività di consulenza per ditte produttrici di lamellare, di laterizi, di sistemi solai misti. Su questi temi ha pubblicato Il legno lamellare, il progetto (1990), Il limite della dispersione (Angeli, 1994), I solai in legno (Angeli, 1996), Murature faccia a vista, patologie e rimedi (Angeli, 1997). Fa parte del Comitato di Redazione della rivista "Costruire in laterizio" e del Comitato scientifico della rivista "L'Edilizia". È membro della SC4 dell'UNI (strutture in legno) e della SC10 (murature) e del Consiglio scientifico dell'Istituto della tecnologia del legno del CNR di S. Michele all'Adige. È direttore della rivista "Adrastea" sul progetto e la tecnologia del legno e del legno lamellare.
Indice:
Accabadora, ovvero eutanasia di una inconsistente cultura archeologica dei nuraghi in Sardegna La costruzione dei nuraghi (Un sistema costruttivo chiamato nuraghe; Come sono stati costruiti i nuraghi?; La sacralità dell'atto costruttivo) Costruzione e simboli (Astrazione e materializzazione; Atti simbolici; I nuraghi e l'ordine cosmico; Archeoastronomia; Sardegna, crocevia culturale; Infine, cos'è un nuraghe?) Archeologia e dintorni (Conservazione e degrado; Manomissioni e distruzioni; Il degrado; Archeologia, risorsa anche economica?) Note (Attrito e coesione; Finestrella di scarico; Tecnemi e morfemi; Megaliti e costruzioni ciclopiche; Domus dell'Ariete; Analogie; Uomo dalle braccia alzate; Oh, che bel castello!)
prezzo: 14.50 2004 pag. 104 FrancoAngeli Editore
(preso da : www.francoangeli.it)
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Agresti
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Inserito il - 19/11/2007 : 18:58:07
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Pastori e banditi di Emanuele Domenech
traduzione e prefazione di R. Carta Raspi
Edizioni della fondazione il nuraghe, 1930
106 p., 16 p. di tav. : ill. ; 23 cm
si può consultare nelle biblioteche di Cagliari, Nuoro, Oristano e Sassari
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Agresti
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Inserito il - 19/11/2007 : 19:12:13
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BRUJAS Storie di streghe di Natalino Piras
Questo libro è fatto di molta “carne bruciata”: la storia di una singola bruja e di molte. Chi fossero le brujas e chi sono lo si potrà sapere leggendo una storia che in molti hanno già raccontato e su cui esiste sterminata bibliografia. In questo libro, però, si parla di streghe e prostitute con passione, ragione e con un orizzonte di ombre che man mano si avvicinano e chiedono al narratore che la loro cenere venga ricomposta, la loro carne rifatta, il loro spirito acquietato, se fosse possibile ricomporre, rifare e acquietare. In campo brujo Huizinga e Le Goff, storici del Medioevo, incontrano i fantasmi di Margherita Porete, Giordano Bruno, Menocchio, delle streghe di Triora, Nogaredo, Salem, di Julia Carta, Chiara Dominion, Tomea, Giggia, Gueneveu. E altre. E cento e mille anni di inquisizioni.
Prezzo €15.00 2006, 240 pag Editore Frilli
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Agresti
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Inserito il - 15/01/2008 : 12:36:35
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Recentemente è uscito un'ulteriore libro sull'argomento "S'Accabadora" dal titolo L'ultima agabbadòra di Sebastiano Depperu . E' il primo libro di un autore decisamente giovane (26 anni) , laureato in Lettere e collaboratore del museo Galluras di Luras, paese dove vive.
L’ULTIMA AGABBADÒRA
di Sebastiano Depperu
La figura dell’agabbadòra in Sardegna era molto conosciuta. Nel paese di Luras questo “mestiere” era svolto da Maria. La “Femina Agabbadòra”, colei che portava la “dolce morte”, colei che “sollevava” i malati terminali. Maria aveva imparato quel mestiere da sua madre che, a sua volta, lo aveva appreso da sua madre, e così via… Di generazione in generazione era perdurato, e quel martello, che poneva fine alle vite dei malati, era passato di mano in mano, portando fra le case il suo destino di morte. Una sera Maria venne chiamata in una casa per fare il suo lavoro. Entrata nella camera da letto, vide però ciò che non aveva mai visto prima: una bambina, di pochi anni, Gavinuccia. In quella situazione, per la prima volta la parola “sollevare” non rendeva bene ciò che stava facendo, ma il suo compito era quello, e dovette rispettarlo. Ciò accadde però dopo la decisione del governo italiano di rendere l’eutanasia illegale. Per questo Maria si ritrovò perseguitata per quelle stesse cose per le quali era richiesta. Da qui l’esilio, l’amore per Antonio, il ritorno e il giudizio, per conoscere alla fine quale sarebbe stato il destino dell’ultima agabbadòra.
13.00€ Il Filo Editore 57 pag.
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Modificato da - Agresti in data 18/01/2008 12:07:47 |
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Pier Paolo Saba
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Inserito il - 25/02/2008 : 22:32:23
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Agresti... Non avresti potuto far di meglio.... Straordinario .... Complimenti...
Il suggerimento del nostro amico Domenico.....non poteva essere più appropriato.
Aspetto una tua risposta come avevo chiesto, se possibile, visti i tempi strettissimi a cui sono legato, per la preparazione della presentazione al mio libro... Cosa dici.. è fattibile?
Grazie
Pier Paolo Saba
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UtBlocc
Utente Bloccato
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Inserito il - 22/04/2008 : 14:36:34
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Interessanto sono arrivata a metà libro
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Agresti
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Inserito il - 12/10/2008 : 19:30:04
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Prosegue inesorabile l'attenzione sulla figura dell'Accabadora. Questa volta abbiamo la possibilità di vedere e sentire la testimonianza, raccolta dalla studiosa Dolores Turchi, di una donna di novanta anni. Al libro è stato infatti allegato un DVD, in cui appunto si parla dell'eutanasia in Sardegna, dalla voce di una donna che ha assistito in prima persona.
«Ho visto agire S'Accabadora». La prima testimonianza oculare di una persona vivente sull'operato di S'Accabadora.
di Dolores Turchi Iris edizioni
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Modificato da - Agresti in data 12/10/2008 19:31:38 |
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Il Poetto dalla Sella del Diavolo
Cagliari
..un altro meraviglioso angolo di Sardegna
Libri Sardi - http://librisardi.blogspot.com Unisciti al gruppo di lettura de ""PAESE D'OMBRE" |
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Agresti
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Inserito il - 12/10/2008 : 22:47:58
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«Non moriva! Era da giorni che non riusciva a morire... gridava, ehh, voci che non ti dico. Era mia zia, quella, zia Tittia Piliedda». Poi è arrivata lei, la signora della morte, dell’eutanasia, in carne ossa, «s’accabadora», vestita di scialle come una qualunque madre di famiglia. Tzia Malleni la chiamavano nel circondario della Barbagia, «una donna anziana, femina pratica». È entrata in camera da letto e ha fatto quello che doveva fare. «E io l’ho vista con questi miei occhi» giura oggi Paolina Concas, seduta su una sdraio nella sua casa di Gadoni. Novant’anni, compiuti lo scorso 11 giugno. Ma è successo tutto a Seulo, il suo paese nativo, nei primi anni Quaranta, mentre gli uomini erano al fronte, a combattere la guerra. «Soltanto allora zia Piliedda è morta - riparte il racconto tenuto nello stomaco per una vita -, subito è morta, quando è arrivata tzia Malleni, minuti sono passati, non più di minuti: dopo che le ha ficcato quel piccolo giogo, lei è morta. Morta e basta». Paolina Concas è lucidissima e alquanto vivace. Parla a ruota libera, quasi sempre in limba sarda, davanti all’obiettivo della telecamera e a Dolores Turchi che l’intervista. Ci sono pure due accompagnatori che intervengono di tanto in tanto, Stefano Vacca e Mattia Porru, entrambi di Gadoni. Tutto registrato, su un dvd allegato adesso a Ho visto agire s’accabadora, il nuovo libro di Dolores Turchi, appunto, appena uscito con il marchio delle Edizioni Iris (130 pagine, 20 euro). «La prima testimonianza oculare di una persona vivente sull’operato de s’accabadora»: questo il sottotitolo del saggio. Un vero e proprio scoop per la studiosa di tradizioni popolari, da oltre trent’anni a caccia di testimonianze dirette, nella sua Oliena come nel resto dell’isola e dell’intero bacino del Mediterraneo. Autrice di numerose opere di grande successo, pubblicate con la Newton Compton, come l’intramontabile Leggende e racconti popolari della Sardegna. Ma quella di s’accabadora non è né una leggenda né un racconto popolare, e neppure un mito, come spesso si è creduto: «Non essendo in passato in possesso di testimonianze dirette, alcuni ne negavano l’esistenza, pertanto questa figura è rimasta per molto tempo alquanto controversa» dice Dolores Turchi. Ora, invece, c’è Paolina Concas che rompe il tabù del silenzio e conferma: «Io l’ho vista». E l’ha vista, s’accabadora, mentre metteva fine alla lunga agonia di una sua zia. «Noi eravamo lì, siamo andate, due nuore sono venute con me, eravamo tre, quattro - racconta la novantenne -. E gridava, la moribonda, c’era il prete che le aveva dato i sacramenti, poi quando il prete è uscito, hanno tolto tutto dalle pareti, i santi, tolti tutti, tutto tutto tutto... il sacramento le colava sulla testa e anche quello le hanno tolto». Così le donne del parentado hanno fatto strada alla signora dell’ultimo respiro, s’accabadora, tzia Malleni. S’accabadora: dallo spagnolo acabar, mettere fine. «Una donna chiamata per interrompere una lunga agonia che si protraeva per più giorni tenendo il moribondo tra le più atroci sofferenze - spiega la Turchi -. Erano i familiari a chiamare queste donne “esperte”quando volevano alleviare il loro congiunto da una simile pena, ma molto spesso, se l’agonizzante era cosciente, era egli stesso a richiedere l’intervento di queste persone che, a detta di molti, non lo facevano a cuor leggero». In altre parole: s’accabadora era la donna incaricata di staccare la spina. La spina cervicale, s’intende. Proprio come fece a Seulo con Tittia Piliedda. Soltanto così si spiega la morte istantanea procurata dall’accabadora. «Quella sera lì - continua Paolina Concas - non l’abbiamo vista quando l’ha tirato fuori, perché lo aveva nascosto sotto il grembiule questo jualeddu, ma doveva essere molto piccolo, quaranta centimetri, un piccolo giogo, simile al giogo grande che fanno per i buoi, di legno. Quando gliel’ha messo, alla moribonda, giusto qui, sotto il collo, quella è morta subito. Quando noi abbiamo visto questo ci siamo impaurite... ». Evidente che s’accabadora era femina pratica di anatomia umana: il pezzo di legno sistemato sotto la nuca, infatti, le serviva per spezzare la colonna cervicale con un colpo secco della mano sulla testa della persona in fin di vita. Un solo colpo, deciso, forte, senza tentennamenti, per una morte immediata. Altrimenti, s’accabadora, «poteva sollevare la testa dell’agonizzante ormai allo stremo delle forze e lasciarla ricadere contro su juale» spiega ancora Dolores Turchi, precisando che i sistemi usati dalle signore della morte, in fondo, erano tanti. «Ma tutte usavano su juale». Il giogo: simbolo sacro del dualismo anima e corpo, morte e rinascita. Concetti precristiani, propri del culto di Orfeo, diretta derivazione dei culti di Dioniso, praticati nella Tracia e diffusi in Grecia, a Creta, nell’Asia minore e nell’Italia Meridionale, già dal VI secolo avanti Cristo. Non a caso in Sardegna si credeva che la lunga agonia di chi non riusciva a morire, a passare nell’altro mondo, era dovuta a un sacrilegio. Per esempio: bruciare un giogo. La distruzione del giogo era considerato un peccato molto più grave dell’omicidio o dell’abigeato. In questi ultimi casi, infatti, l’offesa era indirizzata all’uomo; dare fuoco a su juale, invece, significava sfidare dio o comunque gli esseri superiori del regno dell’Aldilà. È così, allo stesso modo, che si spiega l’altra causa che porta l’uomo a scontare lunga e penosa agonia al momento del trapasso: spostare la pietra di confine. Simbolo del limite che passa tra il mondo dei vivi e il mondo delle anime. Spostare quella pietra era perciò un peccato gravissimo, un affronto diretto al dio Terminus, che aveva il compito di vigilare sulla inviolabilità dei confini dei campi. Compito sacro, soprattutto prima che l’editto delle chiudende, 1820, seminasse le lande di Sardegna di così tanti muretti a secco. «Non meraviglia dunque che fosse s’accabadora a intervenire nel momento cruciale - dice Dolores Turchi -. Era quello il momento in cui la famiglia chiedeva l’intervento dell’accabadora, che aveva il compito di porre fine alla sofferenza del moribondo, un’azione che nella mentalità del popolo veniva considerata come un gesto umanitario, fatto a fin di bene, per agevolare il trapasso». Per la Chiesa, però, le cose non andavano esattamente così. Nel suo libro, la Turchi, rifacendosi ad un prezioso lavoro di ricerca di Eliano Cau, Deus ti salvet Maria, riporta interi passi di alcune poesie di padre Bonaventura Licheri, il gesuita che a metà del ‘700 accompagnava il missionario piemontese Giovanni Battista Vassallo, impegnato nell’evangelizzazione della Sardegna centrale. « Sa bruja accabadora - denunciava Licheri parlando alla sua gente - / de Deus adultèra, / dimonia in terra vera, / mortale pesta. // De su corvu sa festa / faghen prima ‘e s’interru, / fizas sunt de s’ifferru / de mala sorte» («La strega accabadora, infedele a Dio, vera demonia in terra, è simile alla peste mortale. Fanno la festa del corvo prima ancora della sepoltura, sono figlie dell’inferno e della malasorte»). Facile, dunque, capire perché intorno alla femmina accabadora sia sempre rimasto un clima freddo e omertoso. Lo stesso Alberto Della Marmora, il primo autore che mise nero su bianco su questo tema particolarmente delicato, fu costretto a ritrattare le affermazioni riportate nel suo Voyage en Sardaigne, del 1826. Quando uscì la seconda edizione del libro, nel 1839, la notizia dell’accabadora era sì data, ma soltanto in forma dubitativa e non più come una certezza assoluta. Le polemiche, del resto, inguaiarono persino l’abate Vittorio Angius. Anche lui, quando compilò le voci sarde del Dizionario di Goffredo Casalis, tra il 1832 e il 1848, dovette fare i conti con i benpensanti che preferivano tacere sull’esistenza dell’accabadora. Ma l’uso del giogo continuò comunque, e i viaggiatori dell’Ottocento, dall’inglese William Henry Smyth fino ad Antonio Bresciani (anche lui abate gesuita), continuarono a parlarne quasi sottovoce. Oggi, invece, Dolores Turchi non solo scova una testimonianza oculare, clamorosa, quella di Paolina Concas classe 1918, ma trova tracce della «dimonia in terra» persino nei sinodi diocesani del XVI e XVII secolo. E ancora: trova i segni lasciati dalla «sacerdotessa della morte», come pure dal giogo, anche fuori dall’isola dei nuraghi, nell’Alpago, in Friuli, in Sicilia, e pure in Francia, nella regione del Perigord e in Sologne. Insomma: con il suo nuovo libro Ho visto agire s’accabadora, Dolores Turchi scava nella storia e nelle religioni precristiane, frantumando un tabù rimasto finora inviolato.
Tratto da La Nuova Sardegna
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