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francesco44
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 07/07/2007 : 00:31:13
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C'era una volta un bosco, non era un bosco come tanti se ne trovano in giro. Questo bosco era nascosto in una lunga valle contornata da monti scoscesi, rocciosi ed inesplorati, era percorso da una rete di ruscelli dalle acque bisbiglianti che scorrevano venendo da chissà dove e andando chissà dove, tra grandi rocce verdi di muschio, schivavando enormi tronchi di lecci antichi. Anche i suoni non erano quelli di un bosco qualunque. Gli uccelli che facevano il nido tra i rami più alti non cinquettavano a tutta gola, quasi riverenti nella maestosità della natura severa. Gli animali da preda si aggiravano silenziosi e silenzioso era il grido di morte delle prede. Ogni tanto si sentiva il sordo grugnito di un cinghiale e il rumore dei cespugli che lui scansava prudente. I soli sentieri che attraversavano il bosco e sarebbe meglio dire la foresta, erano quelli tracciati dagli animali per raggiungere l'abbeverata in qualche ansa di ruscello. Quel giorno, appena all'alba, quando ancora i refoli di nebbia accarezzavano addormentati il sottobosco, tra le radici marcite e verdi di muschio umido di un albero abbattuto da un fulmine, spuntò il muso rossiccio di una volpe. Il suo naso nero era fremente alla ricerca di odori, odori di pericolo e odori di preda. Gli occhietti neri, brillanti percorrevano avanti e indietro lo spazio davanti a sè, irrequieti, pronti a cogliere il minimo movimento tra le ombre delle foglie cadute e dei ciuffi d'erba. Era titubante. Tra sè pensava se avanzare o aspettare ancora. La zampa anteriore era alzata, ferma in attesa della decisione. ..........................
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Tranquillo
Salottino
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Inserito il - 07/07/2007 : 15:53:15
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Ma c'era qualcosa di strano nella'aria, indecifrabile anche per un animale abituato a cogliere ogni minima sfumatura, qualcosa di terribilmente misterioso. La sua astuzia, gli imponeva circospezione, e per una volta la sua sicurezza si era trasformata in titubanza. Gli occhietti si muovevano sempre più frenetici alla ricerca di una risposta a quella strana sensazione, naso e orecchie li seguivano, cercando di supportarli nell'inusuale quanto arduo compito. Ma nonostante questo immane sforzo, la risposta non arrivava. E mentre il dubbio cominciava a tramutarsi in paura, le orecchie captarono un suono sconosciuto provenire da lontano.
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cedro del Libano
Salottino
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Inserito il - 07/07/2007 : 16:15:11
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Ma il suo acume fermo' la sua ansia ,allungo' le orecchie e ascolto' piu' attentamente.Senti' solo un lieve scrosciare d'acqua che proveniva dall'interno del bosco a vegetazione piu' rada. I tumulti allo stomaco le fecero ricordare di non aver mangiato e presa dai morsi della fame ,penso' di andare in cerca della sorgente d'acqua che anche se non le avesse tolto quel languore allo stomaco le avrebbe almeno rinfrescato la gola secca. Fece per avviarsi quando un terribile rumore la spinse a rintanarsi nei cespugli piu' vicini. Fu allora che un'ombra le fece saltare il cuore in gola. Chi era quell'essere che non aveva mai visto e che le incuteva una sensazione mai provata prima? Si accuccio' su se stessa e stette in attesa.
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Modificato da - Nuragica in data 07/07/2007 22:53:06 |
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Nuragica
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Inserito il - 07/07/2007 : 23:23:12
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Il rumore divenne sempre piu’ forte e pur essendo terrorizzata, la volpe ebbe il coraggio di aprirsi un varco tra la vegetazione per poter osservare attentamente cio’ che stava accadendo. Vide quell ’essere strano avvicinarsi verso di lei ; era vestito di pelli e non portava calzature . Intorno a lui danzavano e cantavano delle piccole cogas* vestite con fili di seta , che battendo i loro fusi facevano un gran frastuono. Pian piano lo accerchiarono in modo che lui non potesse piu’ spostarsi in nessuna direzione. Ma ad un certo punto una coga cadde a terra e………….
*streghe ( esseri malvagi e demoniaci )
_________________________________________________ ... vegno del loco ove tornar disio
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Modificato da - Nuragica in data 08/07/2007 01:33:47 |
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Guevina
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Inserito il - 08/07/2007 : 10:41:28
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il suo sguardò andò ad incontrare gli occhi della volpe, dimentica del tutto, ormai, della sua fame. D'un tratto, il frastono dei fusi s'azzittì e parve farsi silenzio, rotto soltanto dagli incessanti canti della cogas. Senza mai distogliere lo sguardo, l'una dall'altra, la volpe riconobbe tra le pelli che fasciavano il corpo tozzo dello strano essere scalzo, una coda rossiccia e sontuosa, che pendeva di lato. Un brivido scosse la volpe acquattata, che disse tra sé: "Coraggio, pansa! Pensa in fretta... Sei o no una volpe?" La cogas mostrò i denti, in un ringhio terrificante, sfidando ancora gli occhi della volpe che inaspettatamente parve addolcire i suoi fin quasi a sorridere...
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cedro del Libano
Salottino
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Inserito il - 08/07/2007 : 12:56:54
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Il sorriso le si smorzo' sul nascere alla vista di quelle unghie lunghe come coltelli,non adatte alle carezze,ma solo a ferire chi si fosse trovato nella sua traettoria. L'odore nauseabondo dell'essere immondo le ricordo' il fetore delle carcasse morte. La luna,ormai al suo ultimo quarto splendeva in cielo come un sole timido appena abbozzato,le fiamme ormai alte dei fuochi accesi davano calore alla sua anima spaventata da cio' che i suoi occhi vedevano. Nel chiarore della notte un lieve gemito ,che man mano diventava piu' intenso e distinguibile dai canti attrasse la sua attenzione, Cosa era quel fagotto di coperta bianche,che sembrava fremere come un cucciolo agitato nei suoi sogni di luna piena?
Penso' ai suoi cuccioli soli nella tana in attesa del cibo che la loro dolce mamma avrebbe fatto trovare al loro risveglio. Un balzo in avanti ,dimentica del pericolo afferro 'con la sua bocca fremente il grave fagotto e via ,con, una corsa leggera e veloce corse,corse fino a che uno spazio ampio pose fine alla sua affannosa fuga Alberi di olivi secolari offrivano uno spettacolo tranquillo e sereno Si rifugio' in un incavo dell'albero piu' vicino ,poso' il fagotto e scaldodolo col suo corpo caldo.rimase in guardia fino a che il suo respiro man mano meno affannoso portava sollievo ai tumulti del suo cuore.
Uno scalpitio di cavalli e delle voci interrupero il silenzio della notte di luna piena che rendeva il paesaggio tetro ,ma allo stesso tempo simile ai paesaggi delle fiabe,dove i bimbi vivono felici e intonano dolci canzoni all'immensita' della loro vita gioiasa e spensierata.
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francesco44
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 08/07/2007 : 15:46:58
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C'era una volta un bosco, non era un bosco come tanti se ne trovano in giro. Questo bosco era nascosto in una lunga valle contornata da monti scoscesi, rocciosi ed inesplorati, era percorso da una rete di ruscelli dalle acque bisbiglianti che scorrevano venendo da chissà dove e andando chissà dove, tra grandi rocce verdi di muschio, schivavando enormi tronchi di lecci antichi. Anche i suoni non erano quelli di un bosco qualunque. Gli uccelli che facevano il nido tra i rami più alti non cinquettavano a tutta gola, quasi riverenti nella maestosità della natura severa. Gli animali da preda si aggiravano silenziosi e silenzioso era il grido di morte delle prede. Ogni tanto si sentiva il sordo grugnito di un cinghiale e il rumore dei cespugli che lui scansava prudente. I soli sentieri che attraversavano il bosco e sarebbe meglio dire la foresta, erano quelli tracciati dagli animali per raggiungere l'abbeverata in qualche ansa di ruscello. Quel giorno, appena all'alba, quando ancora i refoli di nebbia accarezzavano addormentati il sottobosco, tra le radici marcite e verdi di muschio umido di un albero abbattuto da un fulmine, spuntò il muso rossiccio di una volpe. Il suo naso nero era fremente alla ricerca di odori, odori di pericolo e odori di preda. Gli occhietti neri, brillanti percorrevano avanti e indietro lo spazio davanti a sè, irrequieti, pronti a cogliere il minimo movimento tra le ombre delle foglie cadute e dei ciuffi d'erba. Era titubante. Tra sè pensava se avanzare o aspettare ancora. La zampa anteriore era alzata, ferma in attesa della decisione.
C'era qualcosa di strano nell'aria, indecifrabile anche per un animale abituato a cogliere ogni minima sfumatura, qualcosa di terribilmente misterioso. La sua astuzia, gli imponeva circospezione, e per una volta la sua sicurezza si era trasformata in titubanza. Gli occhietti si muovevano sempre più frenetici alla ricerca di una risposta a quella strana sensazione, naso e orecchie li seguivano, cercando di supportarli nell'inusuale quanto arduo compito. Ma nonostante questo immane sforzo, la risposta non arrivava. E mentre il dubbio cominciava a tramutarsi in paura, le orecchie captarono un suono sconosciuto provenire da lontano.
Il suo acume trattenne l’ansia, allungò le orecchie e ascoltò più attentamente. Le sembrava di sentire solo il lieve scrosciare d'acqua che proveniva dall'interno del bosco tra la vegetazione più rada. I tumulti allo stomaco le fecero ricordare di non aver mangiato e presa dai morsi della fame, pensò di andare in cerca della sorgente d'acqua che, anche se non le avesse tolto quel languore allo stomaco, le avrebbe almeno rinfrescato la gola secca. Fece per avviarsi quando esplose un terribile rumore rullante che la spinse a rintanarsi col pelo ritto nei cespugli più vicini. Tra le luci fioche dell'alba un’ombra oscurò il cespuglio dove era nascosta e le fece saltare il cuore in gola. Chi era quel essere che non aveva mai visto e che le incuteva una sensazione mai provata prima? Si accucciò su se stessa e stette in attesa, fremente e con i denti scoperti in un silenzioso ringhio.
Il rumore rullante intanto si faceva sempre più forte e vicino; pur essendo terrorizzata, la volpe ebbe il coraggio di aprirsi un varco tra la vegetazione per poter osservare attentamente ciò che stava accadendo. Vide quel essere strano avvicinarsi verso di lei; era vestito di pelli e non portava calzature. Intorno a lui avanzavano danzando e cantando alcune piccole cogas vestite con fili di seta , che battendo i loro fusi facevano un gran frastuono. Lentamente lo accerchiarono in modo che lui non potesse più spostarsi in nessuna direzione. Ad un certo punto una coga cadde a terra e
il suo sguardò andò ad incontrare gli occhi della volpe, dimentica del tutto della sua fame. D'un tratto, il frastono dei fusi s'interruppe mentre le cogas iniziavano un canto dai suoni agghiaccianti. La cogas caduta s'era intanto rialzata e s'era unita alle altre, cantando anch'essa come un'invasata, mentre con un occhio continuava ad osservare la volpe. Questa senza mai distogliere lo sguardo dalla scena, vide tra le pelli che fasciavano il corpo tozzo dello strano essere, una coda rossiccia e sontuosa, che pendeva di lato. Con raccapriccio riconobbe quella coda fulva dal ciuffo finale nero. Era la coda di suo fratello, scomparso da tempo. Istintivamente le si drizzò il pelo sul dorso, e digrignò i denti aguzzi con odio verso l’assassino misterioso, ma l’orrore e l’odio si accompagnavano alla paura e all’indecisione.
Un brivido scosse la volpe acquattata, che disse tra sé: "Coraggio, pensa! Pensa in fretta... Sei o no una volpe?" La cogas nel frattempo, senza interrompere il canto selvaggio mostrò i denti alla volpe, in un ringhio terrificante, sfidandola e perforando gli occhi dell'animale che inaspettatamente parve addolcire i suoi fin quasi a sorridere; ma,
il sorriso le si smorzò sul nascere alla vista delle unghie della congas, lunghe come coltelli, non fatte per carezzare, ma solo per ferire chi si fosse trovato nella loro traiettoria. L'odore nauseabondo di quegli esseri immondi le ricordò il fetore delle carcasse morte. La luna,ormai impallidiva alla luce crescente del sole che stava per superare le cime delle montagne, dando calore allo spirito atterrito della volpe. Nel chiarore dell’alba tra le grida di quegli esseri indemoniati la volpe percepì un lieve gemito, che man mano diventava più intenso e distinguibile dai canti. Cosa era quel fagotto di coperta bianche, che sembrava fremere come un cucciolo agitato nei suoi sogni di luna piena? Pensò ai suoi cuccioli soli nella tana in attesa del cibo che avrebbe dovuto portare al loro risveglio. Con un balzo in avanti, dimentica del pericolo, afferrò con la sua bocca fremente il grave fagotto e via, in una partenza precipitosa e silenziosa, corse e corse fino a che sbucò in uno spazio ampio, con un sottobosco basso e alcuni olivastri dal tronco secolare, che pose fine alla sua affannosa fuga. Si rifugiò in un incavo dell'albero più vicino; posò il fagotto e si accucciò ansante, scaldandolo col suo corpo. Rimase in guardia fino a che il suo respiro, finalmente meno affannoso, portò sollievo ai tumulti del suo cuore.
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Modificato da - Nuragica in data 09/07/2007 23:12:50 |
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francesco44
Salottino
Utente Medio
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Inserito il - 18/07/2007 : 04:40:32
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Sembra che tutti e tutte si siano appisolati. Facciamo finta allora di stare attorno al fuoco, in una bella serata di luglio, con le stelle che ci guardano incuriosite e, per distrarci dai duri compiti del creare una favola, narriamo un'altra favola che nulla c'entra. Tanto per passare il tempo, una favola per "bambini" di una certa età.
C’era una volta un bruco saggio ovvero, quando i bruchi erano bruchi davvero
C’era una volta un bruco, era un bruco saggio ma non aveva la barba lunga dei bruchi saggi, né saliva in cima ai funghi per pontificare, tanto meno si metteva a scorrazzare tra i bruchini dicendo “questo non va, quello è sbagliato”, beh anche se avesse voluto farlo, ma non lo voleva di certo, non avrebbe potuto. E già, era un bruco saggio che aveva perso metà delle sue gambe scampando all’attacco di un ragnaccio nero e schifoso che però gli aveva strappato metà delle zampette. Il bruco saggio, malconcio ma indomito, non si era scomposto più di tanto e, rimediate non si sa come, una cospicua serie di stampelle, saltellava qua e là come nulla fosse, suscitando l’invidia dei bruchini più giovani che ancora facevano confusione con le loro ventotto zampine, inciampando e capitombolando ad ogni passo. Tornando al bruco saggio, questa disavventura che lui sapeva passeggera, in attesa di diventare una meravigliosa farfalla, non gli impediva d’essere saggio. Anzi, sembrava quasi che più gambe avesse perso e più saggezza avesse acquistato, con grande sconcerto di tutti i bruchini, che avrebbero voluto brucherellare allegramente senza tanta saggezza. Bastava che lui, saltellando allegramente sulle sue quattordici zampe alternandosi con le sue quattordici stampelle, si avvicinasse ai bruchini che tutti questi si acquietavano e si mettevano in circolo sapendo che era ora di ascoltare e stare zitti zitti. Il bruco saggio, allora, si schiariva la gola con un rumore di caverna, che faceva tremare tutti i peli dorsali dei bruchini più giovani, e…stava zitto. Allora i bruchini si accorgevano che dalle foglie attorno spuntavano i bruchi loro fratelli maggiori che zitti zitti anche loro si mettevano in circolo con le schiene belle dritte e le zampe ben angolate, con l’aria di chi sa come si deve fare. Qualche bruchino che si era un po’ scomposto con qualche zampina di qua e qualche zampina di là, con il dorso arruffato ed arcuato, subito si ricomponeva cercando di imitare i fratelli maggiori e di mettere ordine a tutte le ventotto zampine anche se non sempre riusciva ad ordinarle tutte e ventotto. Tutti ora guardavano con i loro occhioni gialli il bruco saggio che incominciò a …stare zitto. Si sentì un lieve fruscio e dalle foglie più alte incominciarono a scendere i vecchi bruchi, lenti e maestosi, sicuri nel loro avanzare con tutte le zampe che si muovevano in perfetta sincronia e il suono di tutte quelle zampe che perfettamente si muovevano sembrava il ronzio sordo della primavera che nasce. Anche i vecchi bruchi con le loro lunghe barbe, chi d’argento e chi d’oro, si accomodarono con disinvolta compostezza nel cerchio più esterno, quasi a voler proteggere tutti. Il bruco saggio diede un colpo forte col suo primo piede e con voce ferma e sonora disse: “zitti tutti!” anche se nessuno aveva fiatato fino a quel momento. “Si può incominciare!” disse il bruco saggio e negli occhioni gialli di tutti i bruchini comparve la domanda “A fare che?”. Il bruco saggio aggiunse “Qualcuno vuol proporre un tema?”. Uno dei vecchi bruchi che aveva la barba d’argento alzò cinque delle sue zampe per chiedere la parola che gli fu subito concessa“ Oggi potremmo parlare della differenza tra la foglia da brucare e la foglia brucata”. Qualche bruchino vacillò su almeno dieci zampine, ma con un elegante movimento del dorso riuscì a ricomporsi. Era la decima o centesima volta, non ricordavano più, che sentivano la faccenda della foglia da brucare e quella brucata. I loro peli dorsali incominciarono ad abbassarsi impietosamente, ma un rapido sguardo circolare del bruco saggio fece raddrizzare i peli dorsali dei bruchini in un patetico tentativo di composto interesse. Uno dei vecchi bruchi che però era meno vecchio e lo si poteva vedere dalla sua barba d’argento che incominciava appena a spuntare alzò rispettosamente quindici zampe rischiando di capitombolare su se stesso e disse “Oggi si potrebbe parlare del senso mistico del gambo della foglia brucata”. Un silenzio sepolcrale cadde su tutti e dieci bruchini stramazzarono al suolo, mentre un bruco maggiore fu preso dalle convulsioni e incominciò a cambiare colore ogni dieci secondi. Lo scapaccione di un altro vecchio bruco lo salvò da un attacco isterico in technicolor. Il bruco saggio tossicchiò e si diede un contegno incominciando a pestare colpi con almeno dieci stampelline. L’ordine fu rapidamente ricomposto. Il bruco saggio con la sua voce stentorea quanto cavernosa disse: “Mi sembra che per oggi la discussione sia stata ampia e proficua. Perciò chiudo la discussione e do inizio al convivio rituale!” Non aveva finito di terminare la frase che con un convulso scatto di reni e un abile incrociarsi di zampe e stampelle, si voltava ad afferrare tra le frenetiche fauci la prima foglia a disposizione. I bruchini si guardarono tra di loro insicuri, mentre venivano calpestati dai ben più avvertiti vecchi bruchi che balzarono sulle foglie più tenere seguiti dai bruchi maggiori che si appropriarono delle foglie di mezzagiornata. Mentre il bruco saggio con le ganasce piene di succosa polpa libava con un calice di nettare e contemporaneamente ruttava e inneggiava come una falena ubriaca alla squadra del cuore, tutti i bruchi tentavano di partecipare al banchetto. Ben presto la canizza assunse le dimensioni di un pasto orgiastico degno delle peggiori tradizioni bruchesche. Invano il bruco dagli assilli mistici tentava di dare un po’ d’ordine alla situazione chiedendo ai bruchi più anziani un conforto nell’organizzare un pasto consono all’importanza della riunione. I bruchi anziani ignorandolo impietosamente si rotolavano su rami e ramoscelli completamente ubriachi di linfa e nettare, cantando licenziose canzonacce da stercorari e sghignazzando volgarmente e commentando trivialmente le lascive barzellette sulle mantidi e sulle vedove nere. I bruchini un po’ intimiditi da tali inverecondi comportamenti e un po’ incitati dagli anziani si lasciavano andare a rutti e pernacchie. I vecchi bruchi notando i patetici tentativi dei bruchini di darsi un tono si lanciavano in una gara ancora più fragorosa e tracotante d’innominabili rumori emessi da opercoli innominabili. La festa, se tale può essere chiamata, durò a lungo. Ad un certo punto, uno dei bruchi più anziani si alzò, o meglio tentò di alzarsi sulle ultime otto zampe e, con tono sussiegoso, propose un brindisi, subito seguito da un ululato di rutti e schiamazzi dei suoi colleghi anziani che proposero non un brindisi ma una batteria di brindisi. Tra tanto discutere, su a chi brindare e in che sequenza e con quali rituali, i bruchini arraffavano i rimasugli di foglie, steli e fiori avanzati. Mal gliene incolse, una batteria di scapaccioni li rimise subito al loro posto. Nel frattempo i bruchi maggiori con aria disinvolta e fintamente indifferente si erano impossessati degli avanzi abbandonati dai bruchini e li divoravano in un composto silenzio. Il bruco più anziano dai barbigli d’oro si alzò sulle traballanti dodici zampe e propose un brindisi all’intangibile supremo capo della brucheria universale. Il silenzio cadde come una vespa morta sulla congrega. Qui non c’era da scherzare. Tutti, dal bruchino appena arrivato al bruco più anziano, si ricomposero. Il bruco anziano si lisciò la sua barba d’oro, si aggiustò la palandrana d’ordinanza dandogli il suo colore violaceo più bello ed innalzò il fiore carico di nettare al cielo gridando LUCE! Tutti i bruchi d’ogni ordine grado innalzarono i loro fiori gridando con unica voce LUCE! “Fermi tutti!!” gridò il bruco saggio, scagliando dodici stampelle in faccia ai bruchi più vicini, che si scansarono facendo sbattere le stampelle sul muso dei bruchini meno lesti. “Fermi tutti!” ripeté. “Non è stata comandata la batteria!”. Il bruco anziano dai barbigli d’oro vacillò ammettendo, tra i fumi del nettare, la sua dimenticanza e addebitandola alla sua veneranda età invece che ai litri di nettare che aveva indecorosamente ingurgitato. Lo sguardo di compatimento di tutti i bruchi d’ogni ordine e grado aleggiò, come una tarma istupidita dalla canfora, sulla congrega. Qualcuno fischiettò per darsi un contegno, subito azzittito dai vicini. Il bruco saggio con gesto elegante ricompose i quattro peli sulla testa e con tono pacato chiese al vecchio bruco dai barbigli d’oro di comandare la batteria di brindisi che subito fu predisposta. S’incominciò con una serie di sconclusionati zampettii a destra e sinistra, di sopra e di sotto, davanti e dietro, tanto che i bruchini ruzzolavano dai ramoscelli ed il bruco dalle smanie mistiche si era tutto intorcinato attorno alle proprie zampe. Ricomposta la squadra si ricominciò riuscendo ad arrivare alla fatidica batteria di colpi delle prime sette zampine di destra contro le seconde zampine di sinistra, seguita da una seconda batteria di colpi ritmati tra le prime tredici zampine centrali di destra contro le prime tredici zampine di sinistra e poi da una salva finale delle seconde tredici zampine di destra contro le tredici zampine centrali di sinistra. Il silenzio che avrebbe dovuto seguire la salva di colpi fu invece rotto dai colpi inconsulti e scoordinati di non si sa quante e quali zampe del bruco dalle smanie mistiche. Il silenzio cadde sulla combriccola di bruchi rotto solo dal metafisico rumore dell’ultimo piede sinistro del bruco mistico che sbatteva con lo stesso ultimo piede sinistro. Il silenzio perdurò crudelmente accusatorio per qualche istante ancora, quando fu interrotto dal sonoro russare del bruco anziano dai barbigli d’oro. La sua palandrana violacea aveva preso il colore del cielo notturno e riluceva solo una medaglia d’argento che portava sul petto come la luna d’agosto. I bruchi anziani silenziosamente si voltarono avviandosi alle foglie più alte. Il bruco anziano dai barbiglio d’oro si avviò spedito o almeno così credeva, mentre sbandando da un rametto ad un ramo, gridava gioioso che doveva tornare a casa subito perché doveva portare a far pipì la sua vecchia pulcetta adorata. Intanto, qualche bruco maggiore tentava di aiutare il bruco saggio che, continuando a schiamazzare ubriaco come una tarantola e sbattendo zampe e stampelle su tutti quelli che gli capitavano a tiro, veniva portato di peso verso la sua foglia dove la sua bruchina lo attendeva spazientita e con negli occhioni d’oro uno sguardo che non capivi se di rimprovero o d’amoroso sollecitudine, mentre picchiettava ritmicamente il terzo piede anteriore destro assieme al primo piede ante-riore sinistro, mostrando così tutto il suo disappunto per lo stato del Suo bruco saggio. Il bruco saggio, facendo finta di nulla, farfugliò alla bruchina che veniva da un consesso di bruchi filosofi e che aveva fatto un gran figurone con un discorso su… non si ricordava più che cosa. I bruchi maggiori se la squagliarono per non assistere ad un inverecondo spettacolo coniugale, raggiungendo i bruchini che intanto avevano messo tutto in ordine spazzolando ad otto ganasce tutti i rimasugli di cibo. Tutti andarono a dormire dandosi delle gran pacche sulle prime spalle posteriori e congratulandosi per la serata perfettamente riuscita e ripromettendosi di riunirsi ancora ed ancora a brindare nel modo appena brindato. Nel silenzio che era caduto si udì un lieve fruscio ed il bruco appena saggio, quello con le smanie mistiche, uscì da sotto una foglia e si avviò barcollando verso il suo ramo, farfugliando, tra un singulto nettarilico e l’altro, tra sé: “Che meravigliosa festa metafisica, sembrava proprio di stare in un’osteria di stercorari d’altri tempi! Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei divertito tanto! Non pensavo proprio che il vecchio bruco saggio sapesse concludere in modo così … sì, proprio farfallesco, in una apoteosi di fraterna bruchitudine, un convivio rituale. VIVA I CONVIVI RITUALI, se sono tutti così! ”.
dedicato ad Alessandro I il Terribile (lui sa che mi riferisco a lui)
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