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Utente Medio
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Inserito il - 20/06/2016 : 14:36:30
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Era nato nel 1921 ed è morto nel 2001. Era cugino in primo grado di mia madre.
BAINZU TRUDDAJU, BOGHE MANNA ‘E ZARAMONTE E DE “BALDEDU” di Antonio Canalis
Cantas boltas in sonnu t’apo ‘idu
e t’ido d’ogni tantu, ‘Aldedu caru,
pulidu in sos chizolos, nettu e giaru
coment’e un’abrile fioridu...
Sardegna terra di poesia. Quasi che le immense distese e l’abitudine a misurarsi quotidianamente con la natura e a carpirne (con fatica) gli stentati frutti, risveglino negli uomini una capacità straordinaria di meditazione e di introspezione. E questo è vero (o è stato vero) per quasi tutte le contrade dell’Isola. La poesia è un denominatore comune che lega ed appiana tutte le diversità. Di mentalità, di linguaggio, di usi e consuetudini.
Ma questo è profondamente vero, soprattutto, per l’area logudorese e dell’Anglona, che vantano nomi illustri che la memoria degli uomini ricorda e tramanda nel tempo. Un’abitudine che risente dell’avanzare inesorabile della modernità molto meno di altri settori della vita della nostra comunità di Sardi.
Chiaramonti è terra collinare e spesso impervia, ricca di boschi, con alle spalle un passato di storia e di tradizioni, ancora leggibili come un libro aperto sui muri delle case del suo centro antico e dei “carruggi”, che si snodano ai piedi dei resti del castello dei Doria. Chiaramonti, aldilà dell’attuale momento di difficoltà che non è solo suo, ma di tutta l’economia tradizionale interna della Sardegna, ha certamente conosciuto tempi migliori e senz’altro più esaltanti, incidendo in maniera non marginale nella cultura isolana.
La poesia in particolare, e l’oralità, hanno qui trovato un ambiente fertile e aperto. Numerosi i cultori della musa, alcuni dei quali hanno poi raggiunto una notorietà che travalica di gran lunga i confini comunali. Altri, non molti però, hanno lasciato forte impronta di sé addirittura oltre mare.
Qui nacque nel 1921, nella contrada rurale denominata “Baldedu”, il poeta–contadino Bainzu Truddaju. Uno dei più significativi esponenti del mondo poetico sardo, vissuto a cavallo tra l’oralità e la “poesia a taulinu”. Una voce genuina che si è sempre distinta per coerenza e per originalità, senza mai ripudiare quel mondo che lo aveva generato e alimentato nei tempi della fin troppo breve infanzia e quindi maturato, anzi tempo, nell’impegno lavorativo della campagna e nelle assolate solitudini di “Baldedu”, la “cussorgia” di famiglia.
La vena poetica di “tiu ‘Ainzu”, in lui innata e fertile, prese ulteriore impulso dall’ascolto delle gare in piazza di poesia improvvisata, allora in auge e dall’apprendimento delle più belle ottave “cantate” sui palchi dai più noti “cantadores”. Nel milleottocentonovantasei, infatti, la gara poetica in sardo si fece occasione di pubblico confronto tra i cultori di quella che fu un’arte antichissima, fino ad allora relegata a cuiles, magasinos e domos in festa pro affidos e battijamos.
La poesia improvvisata affonda le sue radici nel passato classico e non è solo una caratteristica della Sardegna, ma di tutto il mondo. Qui da noi, però, la pratica della poesia orale ha raggiunto - in certi periodi - livelli di grande attesa e ampia diffusione popolare. Tant’è che molta gente ricorda ancora a memoria, e cita, le ottave de sos mazores, cioè dei poeti che si sono distinti per la loro abilità nel comporre e cantare a bolu le loro rime sugli argomenti più disparati, a tema libero o a tema imposto. La poesia estemporanea, che la critica ufficiale ha spesso sottovalutato, si è caratterizzata come una branca importante dell’arte poetica e siamo ancora oggi di fronte ad una decisa e rinnovata presa di coscienza dell’interesse, non solo letterario, che essa ha rivestito nella cultura popolare.
Nella gara poetica, infatti, ogni concorrente è allo stesso tempo poeta, cantante e attore. Lo sviluppo degli argomenti passa dai sentimenti più alti e profondi al vivere quotidiano, ai grandi temi universali che sono gli interrogativi di ogni essere umano. Talvolta, anzi per lo più, i protagonisti non risparmiano, in linea con la tradizione di questo spettacolo di autentico teatro popolare, le schermaglie verbali e le reciproche punzecchiature.
Dalle allusioni ironiche iniziali, alle garbate provocazioni poi ed ai classici colpi di punta, piatto e fendente, talvolta conditi di sana cattiveria, ma più spesso signorilmente mirati, il passo è breve.
Il tutto, naturalmente, nell'assoluto rispetto della rima, della metrica, dei modelli poetici più seguiti, del canto e del buon gusto.
La diffusione delle gare in tutta la Sardegna divenne ben presto uno degli spettacoli più richiesti nel contorno dei festeggiamenti delle tradizionali sagre paesane. La gente si trasferiva in massa in piazza, sotto i palchi dei poeti ormai beniamini delle folle, portandosi le seggiole da casa. Gli argomenti e le ottave venivano trascritti con la tecnica dei due scrivani e del verso alternato, per essere comunque registrati nella memoria popolare, in assenza del magnetofono. Molte persone, peraltro, erano in grado di mandare a memoria decine e decine di ottave e di ripeterle con il ritmo cantilenante de sos traggios di ognuno dei protagonisti.
Per un periodo lungo e imprecisato del dopoguerra, Bainzu Truddaju si misurò, con buon successo, con molti degli “improvisadores” che andavano allora per la maggiore.
Nel frattempo però, altri contesti e altre esperienze si affacciavano all’orizzonte della poesia sarda. Nel 1949 il poeta Anzeleddu ‘Ettori di Bonorva fondava la rivista letteraria “S’Ischiglia”, sulla quale in breve apparvero le composizioni “a taulinu” dei cultori della poesia “in limba”. Bainzu Truddaju fu assiduo e valido collaboratore della rivista, ed ebbe così l’occasione di confrontarsi e di fare conoscenza con altri poeti-contadini di tutta la Sardegna, tra i quali particolare amicizia ed affetto dedicò al pattadese Antoni Palitta e ai due nughedesi Foricu Seche e Sevadore Corveddu “Grolle”.
Nel ‘cinquantasei si registra la nascita del Premio di Poesia Sarda Città di Ozieri. In quei primi anni del dopoguerra, vissuti tra privazioni, sacrifici e speranze, si affacciò l’idea che un Premio Letterario in limba sarda potesse contribuire non poco alla rinascita culturale della Sardegna tutta.
Erano tempi in cui parlare e soprattutto scrivere in sardo non erano considerate attività qualificanti, e non solo a livello di società organizzata: anche gli intellettuali dell'epoca erano compiutamente contrari a dare dignità letteraria ad una lingua da trattare, al di più, alla stregua di un dialetto. E poi, ancora, muri e contrade risuonavano dell'eco dell’imperativo “Parla italiano!” del discusso ventennio fascista.
La risposta massiccia all’appello del fondatore Tonino Ledda da parte dei poeti di tutta l'Isola, e anche dai luoghi dell’emigrazione, fece intuire quanto fosse grande l’interesse a far sentire la propria voce intima da parte di un popolo legato alla poesia da sempre.
Contadini, pastori, operai, artigiani... Qualche raro “acculturato”. Per la maggior parte, però, fautori e ostinati difensori di una tradizione poetica legata all’oralità e ai modelli del passato, ormai superati e inattuali. I fasti dei poeti improvvisatori, che avevano avuto grande notorietà in tutta la Sardegna esercitavano ancora un irresistibile richiamo per i rimatori ad oltranza. Che però iniziavano a dare maggior peso e credito anche al componimento a taulinu, fino ad allora tenuto in scarsa o nulla considerazione e relegato ad attività poetica secondaria e di qualità inferiore da parte dell’opinione comune.
Bainzu Truddaju partecipò all’”Ozieri” con una certa frequenza. Nel 1974, nella Sezione Narrativa, conseguì il 1° Premio con il racconto “Disamistades antigas”. L’anno successivo bissò il successo con il racconto “Su codice sardu”.
Nel periodo immediatamente seguente e fino a tutti gli anni ‘novanta, “tiu ‘Ainzu” partecipò a vari concorsi letterari nati sulla scia dell’”Ozieri”, ricevendo costante apprezzamento e lusinghieri successi.
E’ straordinario come un’alta percentuale di poeti, nella vita, facesse l’artigiano, più raramente il pastore o il contadino. Numerosi e agguerriti i fabbri, ma anche i falegnami e gli ebanisti-intagliatori erano ben rappresentati. Bainzu Truddaju era un coltivatore della terra. Proprio come nel coltivare la sua vena poetica, fu attento ad utilizzare sempre toni semplici e di alta e squisita umanità, cogliendo però con estrema abilità i più succosi frutti della sua sensibile ispirazione. Il suo paese e le vicende quotidiane, la famiglia, il lavoro, la religiosità, l’amicizia, la natura, la vita, la bellezza, l’amore, la maternità, la morte. Temi cari al poeta, sempre trattati con misura e con un sottofondo di tenerezza che era proprio del carattere di “tiu ‘Ainzu”, allo stesso tempo umile e gentile con tutti i suoi interlocutori. La sua poesia, che a tratti viene espressa in versi liberi, è però ispirata e fortemente influenzata e caratterizzata dai canoni della tradizione e della poesia orale, di cui il poeta era buon cultore ed estimatore.
Dalla sua “Baldedu”, che gli consentiva un contatto quotidiano con la natura, sviluppò i temi di una poesia dolce e malinconica, quella più nota e pubblicata. Ma sapeva anche essere pungente e satirico, all’occorrenza, e sferzare impietosamente i difetti di qualche compaesano troppo ammanicato col potere o con la politica. Quest’aspetto è meno noto. Così, pure, “tiu ‘Ainzu”, era pervaso dalla dote di una ironia pacata ed affettuosa, come dimostrano alcuni lavori.
Un esempio di questa allegra bonomia è la poesia con la quale “tiu ‘Ainzu” ottenne il premio “Remundu Piras” alla prima edizione del Premio “Romangia”, nel 1978:
SU BALLITTU CADENZADU
Su ballittu cadenzadu/ ballade, comare mia:/ milli grascias dare dia/ a chie l’hat inventadu.
Ischirighìa! Comare/ no nde tenzedas birgonza,/ ca preideru cun monza/ custu lu poden ballare!/ No est ballu ‘e matt’a pare,/ est ballu chena peccadu!/ Santos l’han haer balladu/ cando fin in custu mundu./ Millu, mi’ su ballu tundu,/ su ballittu cadenzadu./ “Tundu su ballu, perdeu!”/ che-i s’arzola ‘e su trigu!/ Millu mi’ su ballu antigu/ chi balleit giaju meu,/ pro render grascias a Deu/ e cun giaja in cumpagnia!/ Custa sì ch’est poesia/ de s’antiga zente onesta!/ Custa sì ch’est sarda festa:/ ballade, comare mia!/ Senza irgonza peruna/ ballade, giovanas bellas!/ Goi ballan sas istellas/ subra s’arzola ‘e sa luna;/ goi ballat sa fortuna/ cun coas de fantasia!/ Ajò, bella, ischirighìa!/ Che cando fimus minores/ ballemus. A sos mazores/ milli grascias dare dia./ Custu motu, risu e paghe/ de s’onestade est baldoria:/ goi sa zente antigoria/ balleit in su nuraghe./ Custu santu faghe-faghe/ pro sos frutts de s’aradu,/ pro tusorzu e porchinadu/ beniat postu in parùsu./ Da-e su ballu ‘e su fusu/ lu ten haer inventadu?
Nel 1992 pubblica, per i tipi di TAIM di Cagliari e a cura di Gavino Maieli, il suo unico libro “Rosas e ispinas de Baldedu”, nel quale raccoglie settantaquattro poesie e cinquantasei sonetti, scelti tra le migliaia di composizioni ancora inedite. Nella copia donata alla biblioteca del suo paese, il poeta, già avanti negli anni, riporta con scrittura appena incerta, una dedica:
“A sa Biblioteca de ‘idda mia.
Frades, leggide sos iscrittos mios
chi cun umilidade si presentan
e gai issos bos ammentan
de cando fia coronadu ‘e brios.
Bainzu Truddaju, cun totta s’istima.
Giulio Paulis, nella prefazione, sottolinea che “... E’ la poesia perciò il mezzo col quale i sardi attuano una sorta di Resistenza all’assalto portato dall’esterno al loro patrimonio linguistico. Testimonianza di ciò è il gran numero di autori che si cimenta in questa forma di espressione, in diretta continuità peraltro con una tradizione poetica orale che ha sempre rappresentato il riferimento più importante dell’intera cultura sarda. E’ a questi lavori che bisogna rifarsi quindi non solo per far conoscere, ma per approfondire e “salvare” la tradizione linguistica sarda.
Bainzu Truddaju, con Rosas e ispinas de Baldedu, dà il suo prezioso contributo in questo senso, sia per la ricchezza linguistica dei suoi versi, che offrono allo studioso materiali di lavoro e di ricerca interessanti, sia perché, rappresentando una Sardegna reale nei suoi umori agro-pastorali, egli si pone in rapporto di continuità con la tradizione poetica sarda, aiutando a comprenderla e a riconoscerla, e proponendo nel contempo valori culturali e “popolari” che possono essere anche punto di partenza verso la modernità e il nuovo”...
Gavino Maieli, il curatore dell’opera, nella sua presentazione, rimarca la statura del poeta: “Gavino “Bainzu” Truddaju è sicuramente una delle figure più rappresentative della poesia popolare in lingua sarda della seconda metà del secolo scorso. Cresciuto poeticamente alla scuola di “S’Ischiglia”, ... è l’ultimo esponente di quella schiera di poeti che ha consentito una crescita poderosa della poesia in lingua sarda, rendendo possibile un felice passaggio dalla poesia “antica”, arcaica, alla poesia”moderna”, attuale, che non sarebbe stata possibile senza il lavoro di questi autori”...
Riportiamo il sonetto “Su sonajolu”, dedicato a “S’Ischiglia” e ivi pubblicato negli anni ’50:
Mizas de oltas, in sa pizzinnia/ brincaia pensende a tie solu:/ ti leaia da’ unu chizolu/ e in d’un’atter’oru ti frundia./ Cando sas baddes cun sa melodia/ mudaias, o ruzu sonajolu,/ non mi nd’ammento, ca su disconsolu/ t’at postu da-e meda in agonia./ Pero m’ammentas continuamente/ de cudd’antiga pinnetta a cubone/ (chi pariat piramide ‘e s’Egittu),/ cand’in sos seros de frearzu frittu/ a intr’a issa chissà canta zente/ animaiat unu fogarone.
E, per chiudere, un richiamo diretto alla cara Baldedu, il piccolissimo angolo di mondo nella campagna di Chiaramonti cui “tiu ‘Ainzu”, sicuramente, volse la mente e gli occhi del cuore nel giorno della sua dipartita :
... Bois est chi m’azis dadu
ispinas longas e rosas
a mattuladas pienas...
Antonio Canalis
SAS TANCAS DE SU CHELU Sas tancas de su chelu isconfinadas, ite mannas chi sunu: mi' sa luna in paragone ínsoro paret una sìndria furriada in mesu chelu. Est frizida sa notte e-i su gelu attrighinzit sas bamas fadigadas. Est una notte fritta de frearzu, simmai si nd'hat bidu atteras frittas: sas tancas de, su chelu biaittas sun bombittende astrau da-e sas benas, ca sas abbas arressas e serenas sun beladas e duras che-i s’attarzu.
Non si pesat ne frina e ne sisia, incantada, sa luna cun s’arzola est girende sas tancas sola sola in mesu a unu campu isconfinadu, essere non s'intendet animadu chi movat innu sutta sa 'iddia. Aradu non bi nd'hat ne messadorza istanotte in sas tancas de su chelu e ne mancu si notat unu velu ne làcanas ne muros de tramesu: est unu padru mannu estesu estesu, tott’un immensa,infnita cunsorza.
In cussas tancas den esser in festa
ca b' est sa luna cun s'arzolat manna sas istellas che gìaos in sa gianna
sun sìzidas appare o, poi b'hada unu trainu a piena falada
chi rujat de su chelu sa foresta.
Ite bellas chi sunu cussas tancas, mancari chi su frittu siat grae no lu turbat su risu de cuddae chi tenen in sas laras sas istallas ca sun che nie càndidas e bellas, incantadoras,lùzzigas,biancas.
Ma su frittu est troppu: ah, est biancu su logu, paret covacadu ‘e nie! Si sighit goi fin’a fagher die
sos terrinos den parrer de cimentu! A ue trabentadu si est su ‘entu
chi no frusciat ne fozas movet mancu?
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