Autore |
Discussione |
|
Barigadu
Nuovo Utente
|
Inserito il - 28/01/2011 : 15:50:59
|
Mi piacerebbe apprendere come si prepara al meglio, esemplificando possibilmente tipi e quantità di ingredienti da utilizzare. La tecnica può essere utilmente impiegata per la sola carne di maiale od anche per la carne di cavallo, manzo...? Per quanto tempo le carni si possono conservare immerse nel vino? Quali operazioni è necessario porre in atto quando poi si vuole procedere alla consumazione della pezza imbinada? Dopo quanti giorni si può iniziare a consumare? E' meglio prepararla in tegame, arrosto....? Quella che ho provato a prepararmi e che dopo gg.10 di imbinamento ho preparato, soffriggendola in tegame, mi ha dato l'impressione che fosse eccessivamente amarognola per troppo vino. Grazie anticipate per i suggerimenti che vorrete esprimermi.
|
|
|
Regione Sardegna ~
Messaggi: 6 ~
Membro dal: 27/11/2008 ~
Ultima visita: 29/12/2014
|
|
|
Google Sardegna
Pubblicità
|
|
|
Incantos
Salottino
Utente Virtuoso
|
Inserito il - 28/01/2011 : 18:49:56
|
Ciao Barigadu il maiale ma anche delle belle bistecche di manzo si possono preparare con questo procedimento. La carne va tenuta in un contenitore immersa nel vino rosso aromatizzato con cipolla, alloro rosmarino e bacche di ginepro, per circa una settimana. Andrebbe tenuta fuori dal frigo ovviamente questo dipende molto dal periodo, se fa caldo è meglio tenerla in frigo, il vino va rabboccato ovviamente perchè evapora. Trascorso il periodo di marinatura la carne va cotta esclusivamente alla brace.
|
|
La Giara
Gesturi (Mc)
..un altro meraviglioso angolo di Sardegna |
|
Regione Liguria ~
Messaggi: 4160 ~
Membro dal: 05/10/2007 ~
Ultima visita: 27/10/2024
|
|
|
Barigadu
Nuovo Utente
|
Inserito il - 29/01/2011 : 12:56:41
|
Grazie Incantos per le informazioni fornite. In effetti, causa l'ignoranza che volevo colmare, non ho utilizzato alcuno degli aromi suggeritimi. Ho usato solo sale e vino rosso. Sicuramente potrà andare meglio una prossima volta. Ancora molte grazie.
|
|
|
Regione Sardegna ~
Messaggi: 6 ~
Membro dal: 27/11/2008 ~
Ultima visita: 29/12/2014
|
|
|
milly73
Salottino
Utente Mentor
|
Inserito il - 29/01/2011 : 18:06:51
|
la mia bisnonna la preparava con l'aceto fatto bollire con dell'aglio, poi aggiungeva, pepe, noce moscata,anice,chiodi di garofano,saporita e cannella, per le dosi in quel periodo si andava a "occhio" una volta pronto lasciavano insaporire la carne anche per una settimana. Qualche volta mia madre la prepara ancora oggi.
|
|
Pro tue fortuna chi onzi notte t'isplenda sa luna, chi no appa mai dolore, onzi die t'illumine su sole...
|
|
Regione Sardegna ~
Città: .................. ~
Messaggi: 3255 ~
Membro dal: 22/04/2009 ~
Ultima visita: 08/11/2023
|
|
|
Barigadu
Nuovo Utente
|
Inserito il - 30/01/2011 : 12:57:19
|
Grazie Milly 73. Farò tesoro di quanto mi hai comunicato. A presto
|
|
|
Regione Sardegna ~
Messaggi: 6 ~
Membro dal: 27/11/2008 ~
Ultima visita: 29/12/2014
|
|
|
maurizio feo
Salottino
Utente Master
|
Inserito il - 16/02/2011 : 16:00:08
|
Perché s'iniziò a imbinare sa petza? Probabilmente, per due motivi: 1) togliere il sapore di "selvatico" troppo forte e non gradito (che è anche il motivo per cui lo si fa oggi con la cacciagione, ovunque in italia: lepri, cinghiali, caprioli etc); in questo caso, si definisce "frollare" il processo di lasciare esposta (non troppo, però! lontano da animali opportunisti, protetta da insetti, rigorosamente all'ombra etc) la cacciagione sventrata, in modo che perda un po' del sapore troppo forte. Ogni cacciatore ha le sue ricette preferite, mi risulta: il tempo è certamente dipendente dalla temperatura. Tanto più breve quanto la temperatura è alta. Qualcuno usa un po' di acqua ed aceto, invece del vino, che poi invece utilizzerà nella cottura. 2) conservare più a lungo la carne, evitando che marcisca (questo è stato il motivo più antico per iniziare la pratica d'imbinare sa petza): anche in questo caso, quindi, si trattava di togliere alla carne un sapore spiacevole, indice di un'iniziale decomposizione da parte dei microorganismi. Era certamente il periodo in cui ancora non esisteva la catena del freddo. I metodi di conservazione erano la salatura (copertura con il sale e conseguente disidratazione: vedi il baccalà, gli altri pesci e le carni conservate), la salamoia (conservazione in acqua salata: vedi le olive e tutti i formaggi, meno su casaghedu, appunto). E probabilmente l'uomo si abituò ai sapori salati ed ancora oggi aggiunge sale ai propri cibi per questa abitudine. Il vino permise un prolungamento della conservazione ed unapiacevole "mascheratura" per tempi più brevi, di pezzi di carne che iniziavano ad andare a male. (Molto tempo dopo arrivò l'aggiunta di zucchero per fermare l'azione batterica, con le marmellate: oggi abbiamo il congelamento, il surgelamento e la liofilizzazione). Oggi si fa un uso misto della catena del freddo e del vino: il che significa che le antiche ricette sono ormai molto modificate ed ognuno le attaglia al proprio gusto personale, inclusa l'aggiunta di erbe eromatiche, bacche etc. Il vino rosso tende a "scurire" ancora di più la carne scura del selvatico, che è di per sé poco grassa in partenza e quindi necessita dell'aggiunta di grasso animale (guanciale, o pancetta, o altro) considerato l'effetto litico che l'alcool del vino ha sul grasso.
Se volessimo ricostruire una ricetta "nuragica", probabilmente non dovremmo usare spezie che arrivarono molto più tardi, anche se oggi sono quelle "tradizionali" più usate in Sardegna. I Romani antichi per molti anni usarono il mirto al posto del pepe (che non esisteva ancora nel mondo Occidentale). Era molto in auge una salsetta piccante ed agrodolce che - oggi - farebbe inorridire qualunque ufficio d'igiene! Si chiamava Garum ed era a base d'interiora di pesce salato lasciate andare a male e mescolate con acqua, (talvolta) vino, miele ed erbe varie e che veniva filtrata ed aggiunta a quasi tutto nel mondo antico: non veniva mai buttata via, ma semplicemente veniva rabboccata la poltiglia con aggiunte periodiche (un po' quello che si fa oggi con l'aceto balsamico, ultimo erede di quella pratica). Non ho certezze circa l'uso in Sardegna di questa cosa, ma nutro solo qualche sospetto positivo. Le erbe e le bacche che venivano usate erano quelle spontanee ed antiche della Sardegna: quindi, oltre al mirto, non escluderei neanche le olive e l'interno del baccello del carrubo (anche se - originariamente - nessuno dei due è nativo del Mediterraneo), il timo, il rosmarino, la santolina sarda (che oggi è semmai un antielmintico naturale, in disuso). Forse, più che l'aglio, si usava il bulbo di quella specie di giglio sardo della spiaggia (che non si può raccogliere oggi perché è flora protetta e a rischio estinzione). Credo che si usassero anche vari tipi di cardo selvatico ed una pianta ormai estinta: il silfio. Sperando di non avervi annoiato.
|
Modificato da - maurizio feo in data 16/02/2011 16:04:03 |
|
Beni: ti naru unu contu... |
|
Regione Emilia Romagna ~
Città: Roma ~
Messaggi: 2962 ~
Membro dal: 11/01/2008 ~
Ultima visita: 23/03/2012
|
|
|
casapuddu
Nuovo Utente
|
Inserito il - 30/05/2011 : 10:35:55
|
Credo che anche in Sardegna si "gustasse" il Garum. (ce ne vuole, di coraggio, per gustarsi quella poltiglia !!)
Era una ricetta così diffusa e così comune che sembra difficile immaginare che un popolano isolano (il Garum dervia dal pesce, o meglio dalle sue interiora) non lo conoscesse, sebbene atavicamente i Sardi siano un popolo di pastori piuttosto che navigatori.
|
|
|
Regione Lazio ~
Prov.: Roma ~
Città: Roma ~
Messaggi: 32 ~
Membro dal: 10/05/2011 ~
Ultima visita: 15/07/2011
|
|
|
|
Discussione |
|
|
|