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CodicediSorres
Utente Medio
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Inserito il - 04/02/2009 : 17:46:29
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Oggi tramite questa discussione ho imparato un nuovo termine e un nuovo concetto, cioè "attittu". Quando ero bambino, negli anni 70, mi ricordo che era morta una persona giovane, il figlio di due coniugi che i miei genitori conoscevano. Ed eravamo andati nel paese del morto, in Barbagia, per esprimere la nostra costernazione per tale triste evento. E mi ricordo ancora il defunto, li nel letto, e le donne che piangevano in un modo "strano", con lamentazioni a me indecifrabili, a momenti quasi intonando specie di cantilene. E poi era arrivato il padre, insieme a altri parenti, ed erano arrivati a cavallo da un loro terreno. Erano stati appena avvisati. Già tale fatto che ancora non aveva visto il figlio morto mi aveva turbato. E dopo avevo visto alcune donne sedute in terra, in circolo, parlando a bassa voce, non ho capito se tra di loro. Sedute in terra, e non sulle sedie! Mi aveva colpito anche tale fatto. Insomma, tutto ciò mi aveva impressionato un pò. Certo che i barbaricini avevano "strane" usanze fino agli anni 70. È possibile che ciò a cui avevo assistito fosse proprio la antica pratica descritta più sopra in riferimento al Muto di Gallura?
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Modificato da - CodicediSorres in data 04/02/2009 17:50:12 |
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Pia
Salottino
Utente Mentor
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Inserito il - 04/02/2009 : 17:53:45
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| babborcu ha scritto:
pia: direi che puoi.. possiamo essere soddisfatti, scongiuri facendo,, la discussione è davvero stimolante... sai che avevo perplessità, vista la riuscita del mio mato canne al vento,, mi rimangio tutto! avevi pienamente ragione,,, certo è una fortuna avere dei testimoni quasi diretti dei fatti come ampuriesu... e poi probabilente i fatti narrati risultano più vicini a noi delle mattane delle dame pintor!!
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..non dimentichiamo però Grazia...vi prego!!!
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Pedra Longa
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Pia
Salottino
Utente Mentor
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Inserito il - 04/02/2009 : 18:06:37
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A proposito di attittu e di lamentazioni funebri. Ricordiamoci che nell'antichità erano diffuse queste pratiche, spesso a pagamento. Sono le prefiche dell'antichità. La Sardegna ha conservato questa tradizione, che risale al periodo nuragico, fino a pochi decenni fa.
da wikipedia: La prefica (dal latino praefica) era una donna pagata per piangere ai funerali nell'antichità classica. Le prefiche venivano nel corteo funebre precedevano il feretro dietro i portatori di fiaccola, con i capelli sciolti in segno di lutto e cantavano lamenti funebri e le lodi del morto, accompagnate da strumenti musicali, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli.
L'uso citato già da Omero, venne proibito, nei suoi eccessi, a Roma dalla legge delle XII tavole. Si mantenne tuttavia anche in epoca cristiana, sebbene combattuto dalle gerarchie ecclesiastiche (l'uso venne condannato in un'omelia di Giovanni Crisostomo) ed era praticato ancora in tempi recenti nell'Italia meridionale.
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Pedra Longa
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cedro del Libano
Salottino
Utente Mentor
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Inserito il - 04/02/2009 : 18:11:09
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| CodicediSorres ha scritto:
Oggi tramite questa discussione ho imparato un nuovo termine e un nuovo concetto, cioè "attittu". Quando ero bambino, negli anni 70, mi ricordo che era morta una persona giovane, il figlio di due coniugi che i miei genitori conoscevano. Ed eravamo andati nel paese del morto, in Barbagia, per esprimere la nostra costernazione per tale triste evento. E mi ricordo ancora il defunto, li nel letto, e le donne che piangevano in un modo "strano", con lamentazioni a me indecifrabili, a momenti quasi intonando specie di cantilene. E poi era arrivato il padre, insieme a altri parenti, ed erano arrivati a cavallo da un loro terreno. Erano stati appena avvisati. Già tale fatto che ancora non aveva visto il figlio morto mi aveva turbato. E dopo avevo visto alcune donne sedute in terra, in circolo, parlando a bassa voce, non ho capito se tra di loro. Sedute in terra, e non sulle sedie! Mi aveva colpito anche tale fatto. Insomma, tutto ciò mi aveva impressionato un pò. Certo che i barbaricini avevano "strane" usanze fino agli anni 70. È possibile che ciò a cui avevo assistito fosse proprio la antica pratica descritta più sopra in riferimento al Muto di Gallura?
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si era l'attitu . Esisteva anche in Campidano fino a 40 anni fa. C'erano delle donne chiamate Attitadoras che venivano pagate per questa funzione.Spesso ricevevano solo prodotti naturali,sopratutto pane Il cosi' detto pane del morto. S'attitu serviva per creare un ambiente molto triste pieno di dolore in modo che tutti si commovessero e sembrassero disperati,anche se qualche volta non lo erano affatto
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Modificato da - cedro del Libano in data 04/02/2009 18:12:46 |
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Petru2007
Moderatore
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Inserito il - 04/02/2009 : 21:09:31
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La parte relativa all’uccisione del giovane Michele dal momento del suo assassinio fino a quello del lamento funebre è stata ben rappresentata dal Costa, anche se ci ha aggiunto molto di suo. Il giovane Mamia che canta una delle canzoni più famose di Don Baignu Pes è molto inverosimile; anche ammesso che la conoscesse, cosa molto improbabile, un aggese non canterebbe mai le canzoni di un poeta tempiese. Tuttavia il Costa raggiunge il massimo nella descrizione della lamentazione funebre, che, assumendo toni di notevole drammaticità, coinvolge il lettore in maniera globale. Conosceva bene le tradizioni aggesi, anche se usanze simili sono comuni a tutta la Sardegna. Una particolarità, credo tutta gallurese, è quella dell’attittu in rima anche da parte delle donne; nella regione vignolese, dal quale provenivano i Mamia, era abbastanza frequente. Del resto l’usanza di “poetare” era molto viva fra i pastori degli stazzi, durante tutte le loro azioni quotidiane. A questa tradizione non si sottraevano le donne; un esempio di tale usanza era quella praticata nei “graminatogghji”. Non parla di prefiche a pagamento, quindi direi che è da escludere la loro presenza. Tale attività, da fonti certe, si sa che ai primi del Novecento nella zona non esisteva; però non so se fosse altrettanto al tempo del Muto.
Il poeta Dettori, visto che è stato citato, non fa che ripetere quello che scrisse il Costa; cambia solo il linguaggio...
E veniamo ai fatti... così come è stato possibile ricostruirli... Il giorno di ferragosto 1850, i due Mamia, padre e figlio, dovevano rientrare ad Aggius, dalla zona di Viddalba. Già dal mattino, lungo la strada che avrebbero dovuto percorrere secondo logica, un apposito comitato di accoglienza era stato organizzato dai Vasa, con in prima fila lo stesso Pietro, ormai completamente ristabilito, dopo il ferimento di qualche mese prima. Il bersaglio era ovviamente Antonio Mamia. Tuttavia sulla strada dove erano appostati transitò solo il giovane Michele. Pare che uno dei Vasa, disattendendo gli ordini di Pietro, abbia sparato convinto di colpire il vecchio. Una tragica fatalità... Michele Mamia fu ucciso in prossimità degli stazzi di Gambaidonna (Viddalba), più o meno dove si diparte il crocevia che conduce alla borgata rurale di Tungoni. Il vecchio Mamia invece fece la strada di Cugurenza, fermandosi nello stazzo di Badas dove abitava una sorella sposata con uno della famiglia Mureddu, da sempre residenti in quella località. Infatti fu necessario andare a chiamarlo. Il Costa descrive poi mirabilmente l’atteggiamento sereno del Mamia padre, davanti al cadavere del figlio... una calma che presagiva tempesta... In queste fasi non nomina mai gli altri componenti della famiglia Mamia... a parte la madre di Mariangela, che quando fu ucciso il figlio Michele, era in stato di avanzata gravidanza... quindi non era certo vecchia... (così come non lo era la madre del Vasa... quando fu uccisa aveva solo 50 anni)... Mariangela aveva all’epoca un fratello più grande di lei, un altro fratello e una sorella più giovani; un terzo, più giovane era deceduto due anni prima per malattia. Il Costa in questo senso si rifà a quanto descritto nella cerimonia dell’abbrazzu, quando per inserire il lettore nella tragedia che sarebbe stata presentata nel seguito del romanzo, ci fa quella bella rappresentazione del quadretto a tre fra il Muto, la madre di Pietro e il giovane Michele, tralasciando tutto il resto... Almeno la descrizione del menu del pranzo... la poteva fare...
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Nuraghe Succuronis
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Petru2007
Moderatore
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Inserito il - 04/02/2009 : 22:27:23
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Un esempio di attittu, in gallurese, da parte di una madre che piange il suo giovane figlio assassinato...
La dì chindizi d’austu Agghju autu l’assustu Uhi, Uhi, lu me’ fiddolu dunosu! L’alburu fruttuosu Tantu caru e priziosu! Uhi, uhi la prenda di lu me’ cori.
No v’à più gran dulori D’un fiddolu chi mori Uhi, Uhi, poara svinturata La trai minn’è falata Proppiu la trai almata Uh, uhi lu me’ fiddolu stimmatu...
Lu briu t’àni truncatu E di la ‘ita priatu! Uhi, uhi, lu fruttu di li me’ peni... La summa di li me’ beni Commu fozzu senza teni? Uhi, uhi, la senda di casa mea
Pastu di fultuna ‘rrea La me’ ‘ita aba’ m’è grea Uhi, uhi disgraziata solti Moltu di mala molti No v’ha dulori più folti La lizza manna è caduta; Lu lampu l’à abbattuta Candu era più frunduta! Uhi, uhi lu me’ d’oru fiddolu
Eu campàa pal te solu E se’ ‘sparutu in un bolu Uhi, Uhi fiddolu chi disgustu! La dì chindizi d’austu Ghjà l’àgghj’autu l’assustu! Uhi, uhai lu me’ fiddolu! Uhi, uhai lu me’ fiddolu!
(Ripreso da: Azara M., Tradizioni popolari di Gallura)
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Pia
Salottino
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Inserito il - 05/02/2009 : 09:12:30
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Stiamo per ultimare questa seconda parte di lettura ed Agresti ci propone la terza parte. Permettetemi solo di fare riferimento al capitolo Il battesimo del muto. Perchè considero che questo sia il vero capitolo che ci introduce nel cuore del dramma.
Nel capitolo Odio vince amore le ultime parole di Mariangela:"E chi ti dice che non l'apporti?!" sono di femminile preveggenza.
Sento che incominceremo ad addentrarci all'interno di una storia connotata da forti avvenimenti drammatici. Dalle tinte fosche.
Il battesimo del muto sono pagine forti. Pagine di una letteratura ottocentesca forse distante da noi ma molto pregnanti. Un "battesimo" che scardina i valori e i principi di una società ottocentesca moralistica e benpensante. Sono gli anni del libro Cuoro e dei valori post-unitari, per intenderci.
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Pedra Longa
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Marialuisa
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Inserito il - 05/02/2009 : 10:16:14
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Sì , Pia , leggiamolo e scrutiamolo - come stiamo facendo - con quell'attenzione che merita , senza storcere il naso ( parlo per me , che a volte lo faccio , confesso ). Cogliamolo senza riserve , nelle sue ombre e nelle sue luci Come per tutta la letteratura sarda , ricordiamoci che quale che essa sia è un ritratto del popolo sardo , del suo sentimento d'identità , del suo tenace desiderio di voler rimanere se stesso nonostante i cataclismi della storia l'abbiano non poco confuso . E' la nostra letteratura ,non aspettiamo che altri vengano a decantarne la bellezza per poi meravigliarcene , così - ci piaccia o no - almeno potremmo dire di conoscerla e rispettarla .
Ps:Buon proseguimento a tutti noi .
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Modificato da - Marialuisa in data 05/02/2009 10:17:21 |
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babborcu
Salottino
Utente Virtuoso
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Inserito il - 05/02/2009 : 11:19:50
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anch'io spesso storco il naso marialui', ma consorso con te,,, è interessante e apre molti percorsi di comprensione del nostro passato-presente--
petru : l'attittidu che riporti è tale e quale, per struttura metrica e immagini, a quelli logudoresi,,, l'attittidu in tutta la sardegna, non solo in gallura è compito femminile... ioso un frammento di un attittidu di calangianus ( perdona il mio gallurese) la madre piange il figlio
ca vi l'a ditu a deu chi aia un fiddolu eu? sarà stata sant'anna la ruffiana manna
traduzione per callas et alii : chi lo ha riferito a dio.. che avevo un figlio io?? sarà stata sant'anna ,, la grande spia..
gli dei invidiano i beni dei mortali e li sottraggono!!
codice, quel che tu riferisci si chiama su teju... o su curruttu.. e l'insieme delle donne sedute una accanto all'altra si chima sa ria..
l'attittidu che si faceva per i bimbi era detto pipinu o pipiu.. tanto per citare un'area legata alla gallura in corsica era usatissimo ed era detto vocero... come in sardengna oltre al dolore vi si esprimevano le qualità del morto e, se ucciso, si attizzava la vendetta.. ciau..
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