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Albertina
Salottino
Utente Mentor
Poetessa Paradisolana
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Inserito il - 14/07/2006 : 22:27:28
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Non so se vi sia mai capitato di conoscere una persona, di trovarvi bene con lei e di sentirla amica. La prima cosa che fate, quando entrate in confidenza, è di raccontarle di voi, della vostra vita, del vostro passato. Vi succede? E quanto più questa persona vi è amica, più andate lontano nel tempo, quasi a ricostruire in lei il vostro stesso vissuto. Bene, cari amici del forum, se vi fa piacere, vi racconto qualcosa di me, della mia infanzia, vissuta in un mondo agro pastorale con tutte le antiche tradizioni, i lavori del tempo, le storie tramandate. Magari vi potete inserire anche voi con i vostri ricordi e così congiungiamo le storie per farne un'unica grande e bella: la nostra storia. Vi va? Allora comincio io? Voi seguitemi.
Piccolo mondo antico tutto in me racchiuso dove la mia casa non aveva confini, dove le altre case si aprivano alla mia, dove io ero davvero io in ogni angolo, in ogni strada, dove in ogni discorso ero sempre accolta e le mie parole nascevano nell’innocenza del dire, dove vedevo il fare nell’autenticità della vita, dove io mi sentivo libera, vera, felice.
C’è un angolo nella memoria dove il pensiero sempre torna, come a una musica dolce di un’antica canzone. In questo pezzo di mondo sottratto alla contingenza ci sono i ricordi vagliati nelle storie del tempo, rimasti al setaccio come i chicchi del grano maturo. E più passa il tempo e più ci si rende conto che quello è il luogo della vita vera. Vera non perché fatta di pensieri o gesti straordinari, ma perché fatta di noi stessi, protagonisti autentici della nostra vita. Perché noi non sempre siamo autentici. Fin troppe volte assumiamo atteggiamenti che non sono i nostri e creiamo pericolose fratture tra il nostro sentire e il nostro operare. Fin troppe volte diciamo una cosa e ne pensiamo un’altra e tradiamo noi stessi nell’intimità più profonda. Non così al tempo della nostra infanzia, quando c’era trasparenza tra il dire e il fare e respiravamo felici a pieni polmoni, perché ci sentivamo in pace con noi stessi e il mondo. Questa serenità interiore ci rendeva capaci di godere delle bellezze della natura e di cogliere in maniera immediata, senza diffidenze, tutti i messaggi che ci provenivano dal mondo esterno, ai quali sapevamo rispondere con semplicità di cuore, senza paurosi raggiri. Ed ecco perché i ricordi dell’infanzia sono sacri: perché appartengono a quel mondo incontaminato e pulito dove tutti quanti ci possiamo specchiare. Questo passato preme nella coscienza e si sente il bisogno, quasi morale, di trasmetterlo. E’ con questo spirito che ho ricostruito “ il mio piccolo mondo antico” insieme alla vita dei personaggi che costellavano il mio raggio d’azione. Non si tratta di contrapporre un tipo di cultura a un’altra, e nemmeno di prediligere un certo modo di rapportarci con i nostri vicini, ma piuttosto quella di recuperare un mondo che costituisce una risorsa per l’esistenza. Oggi noi viviamo in una società sempre più aperta verso il mondo, alla ricerca della cooperazione fra i popoli, che cerca di costruire su basi più solide e sicure i diritti di ogni uomo. I mezzi di trasporto e di comunicazione annullano sempre più le distanze e favoriscono le relazioni e gli scambi. Ci sentiamo sempre più “cittadini del mondo”. E tutto questo è certamente una grande conquista. Ma quanto più questo slancio verso il mondo è grande, tanto più è forte dentro di noi il bisogno di salvaguardare la nostra identità culturale, che è la linfa vitale del nostro esistere e ci caratterizza nella nostra specificità. Noi siamo figli di un mondo agro pastorale e questo mondo vive dentro di noi. A questa fonte tante volte abbiamo attinto, quando ci siamo sentiti sperduti. Tornare a questo mondo è stato come tornare a casa dopo un lungo viaggio, dove abbiamo imparato e visto tante belle cose, ma poi abbiamo sentito il bisogno di tornare a noi, alla nostra gente, fra quelli che ci conoscono e ci comprendono, che sanno di noi, del nostro passato, delle nostre antiche ed attuali sofferenze. Questo mondo fa parte organica con noi e in noi vuole vivere e crescere nella strada della vita che, con tutto quello che ci riserva, ci conduce a una meta dove ogni esperienza trova senso in una composizione che si fonda sulle radici del nostro patrimonio culturale.
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Albertina
Salottino
Utente Mentor
Poetessa Paradisolana
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Inserito il - 16/07/2006 : 15:30:24
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Beh, non mi segue nessuno? Non avete nullada dire in proposito? Allora cosa faccio? Continuo? O chiudiamo il discorso? Dai...volevo scrivere un libro insieme a voi! Appena potete inseritevi, d'accordo?
Il nostro vicinato, un tempo popolato da un’infinità di persone, è oggi diventato silenzioso. Siamo rimasti in pochi e ci siamo fatti lontani gli uni dagli altri. Le attività lavorative che svolgevamo un tempo ci assorbivano e coinvolgevano in continue occasioni d’incontro; quelle che svolgiamo ora, al contrario, ci separano e ci orientano verso mondi completamente diversi. La strada, che un tempo era quasi un’estensione naturale della casa e parte integrante di essa, è ora solamente un luogo di passaggio, che ci offre al massimo la possibilità di scambiarci un saluto. Però…se capita di ritrovarci un poco a parlare delle cose passate, dentro di noi scatta qualcosa, e nei volti che ci sembravano diventati estranei riappare la luce e l’amore di un tempo. Basta un nome per sintonizzarci, un modo di dire comune solamente a noi, un’espressione particolare e tutto riappare come allora, come quando ci sentivamo tutti figli della stessa era, allevati in strada, sotto lo sguardo vigile dei vecchi e i continui richiami dei grandi, accomunati dalle stesse gioie e dagli stessi dolori, partecipi della vita della natura nell’abbondanza dei suoi frutti, dove il domani era sicuro, come l’oggi, come la primavera che avrebbe rinverdito gli alberi e fatto sbocciare i fiori; come l’estate che era come un fiume in piena di messi e di frutti. L’autunno sarebbe arrivato tracciando lunghi solchi nei campi e in quella stagione ancora si sarebbe seminato il grano per il pane del domani. E l’inverno, certo anche l’inverno sarebbe tornato, con le sue giornate uggiose, fredde, dove solo in cucina si stava bene, accanto al fuoco, dove il babbo raccontava le storie dei suoi vecchi con rinnovate esperienze di vita, dove noi pure ci sentivamo protagonisti, insieme ai grandi, come quando, dopo cena, uscivamo a prendere il fresco e la notte era carica di stelle, misteriosa, tutta per noi.
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Nuragica
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Inserito il - 16/07/2006 : 18:20:29
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Albertina.. la tua padronanza di linguaggio nello scrivere non è comune a tutti... Forse questo ci blocca un po'.. in piu' ci si aggiunge il caldo che non facilita certo l'ispirazione poetica!! Ma tu continua.. prima o poi qualcuno ti segue!! Vedrai!!!
____________________________________________________________ ... vegno del loco ove tornar disio
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Albertina
Salottino
Utente Mentor
Poetessa Paradisolana
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Inserito il - 16/07/2006 : 22:45:42
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D'accordo, Nurà, io continuo. Voi appena trovate qualche racconto o qualche storia che vi riporta indietro nei ricordi, inseritevi. E' un progetto a cui tengo tantissimo. Dai, aiutatemi a realizzarlo!!!
Anche se ogni stagione aveva la sua bellezza e il suo fascino, l’estate era certamente quella che noi ragazzi preferivamo. Essa giungeva al tempo delle messi e passava riversando in ogni luogo abbondanza di ogni bene. Le giornate erano cariche di incontri. Dopo cena c’erano tre o quattro gruppi di persone nella nostra via: si sedevano a prendere il fresco. Noi ragazzini giocavamo tutti insieme, ma poi, a una certa ora, zia Luisa prendeva una canna e minacciandoci dava il segnale della ritirata, perché c’era gente vecchia e malata che aveva bisogno di riposare la notte. E così noi ci inserivamo a piacere nei gruppi, dove eravamo sempre accolti volentieri. Si raccontavano un’infinità di storie antiche, sempre nuove per noi, sempre piene di umorismo, di terrore e di fascino insieme, che non ci facevano dormire la notte, ma che nonostante tutto volevamo sempre sentire. Raccontavano che a mezza notte in punto, in su una collina che si trova a Nord Ovest del paese chiamata “Su Cuccuru de sant’Antiogu”, si riunivano le streghe. Accendevano il fuoco e si sedevano intorno. Nell’oscurità della notte le fiamme lambivano il cielo e dal mezzo di esse usciva il diavolo. Intorno a lui le streghe ballavano e davanti a lui si prostravano chiedendogli poteri magici e ricchezza. Il diavolo era fatto di tizzoni ardenti e dalla bocca e dalle orecchie gli uscivano vampe di fuoco. Aveva sempre un tridente, corna grandi, coda e piedi d’asino. Quando il diavolo se ne andava e la brace scendeva, le streghe mangiavano pane abbrustolito e fave arrosto, poi decidevano in quale casa andare e quali bambini prendere. Per non farle entrare a prendere i loro bambini, le mamme rovesciavano sedie e oggetti e così le streghe scappavano e i bambini nemmeno li vedevano.
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