V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
robur.q |
Inserito il - 20/12/2009 : 11:17:44 Che cosa è una lingua e cosa un dialetto? Abbiamo sentito spessissimo usare questi termini soprattutto in relazione al sardo, ma non solo, e le idee non sembrano essere sempre del tutto chiare. Questo perchè i due termini hanno avuto un'evoluzione storica e perchè sulla materia linguistica si discute utilizzando punti di vista talvolta linguistici, talaltra sociolinguistici. Il linguista Einar Haugen diceva che una lingua non è altro che un dialetto con un esercito e una flotta. In effetti per la linguistica moderna non esiste alcuna differenza tra i due termini: qualunque “dialetto” è una lingua, nel senso che è un codice di comunicazione potenzialmente completo. Si preferisce usare altre definizioni come “varietà” di una lingua. Ma queste varietà possono essere di vario tipo: diatopiche, legate al territorio, diastratiche, legate allo strato sociale, diacroniche, nel tempo, diafasiche, legate alla situazione d'uso, diamesiche (lingua scritta contro lingua parlata). Facciamo un esempio legato all'italiano: conosciamo, per averle studiate, le varietà diacroniche dell'italiano da Dante ad oggi; abbiamo abbastanza chiare le differenze tra l'italiano scritto e parlato, tra l'italiano parlato da chi ha un'istruzione superiore e chi non ce l'ha, tra la lingua parlata in casa e quella parlata in un'aula di tribunale o universitaria, molto più controllata. E le varietà diatopiche? Il napoletano, il veneto, il genovese, il corso sono varietà territoriali dell'italiano? La risposta è no! Questi “dialetti” sono storicamente fratelli dell'italiano, non figli! Tuttalpiù sono figli del latino. L'italiano è l'evoluzione dotta di uno di questi idiomi: il toscano. Per classificare in qualche modo questi “dialetti” che sembrano avere molte cose in comune e garantire un certo livello di intercomprensione, si usa la definizione di “sistema linguistico”. La vedremo meglio dopo. Ma allora, quali sono le varietà diatopiche dell'italiano? Quando un sardo parla in tv, lo riconosciamo subito: quale che sia il suo livello di istruzione, la fonetica (l'accento o cadenza) ce lo fa individuare immediatamente; poi la sintassi e anche il lessico sono tipici nella nostra regione, e non sempre l'influenza deriva dal sostrato, cioè dal sardo: non so se si usi ancora, ma fino ad alcune decine di anni fa, almeno a Cagliari, la tuta da ginnastica veniva chiamata “canadese”; questa parola non è stata certo mutuata dal sardo, ma non era compresa con questo significato in nessuna altra parte d'Italia! Questo è “l'italiano regionale di Sardegna” ed è una varietà diatopica dell'italiano. Ovviamente c'è la varietà romana, quella siciliana, quella milanese ecc: le riconosciamo facilmente. Il principio fondamentale con il quale la linguistica cerca di classificare sistemi linguistici a vari livelli è la “differenziazione”. E' un concetto di facile comprensione ma di non altrettanto facile canonizzazione. Le lingue neolatine sono un gruppo ben definibile di idiomi all'interno del gigantesco gruppo indo-europeo. Ma all'interno del loro gruppo, le suddivisioni non sono così facili, perchè in realtà esisteva un continuum linguistico nel quale le varietà gradualmente si modificavano da un territorio a quello accanto. Questo fino alla contemporainetà, nella quale l'istruzione obbligatoria, il servizio militare obbligatorio e i moderni mezzi di comunicazione di massa hanno diffuso le lingue ufficiali dei singoli stati, interrompendo il continuum. In alcune zone la diffusione delle lingue di prestigio è iniziata parecchi secoli prima per il prestigio e la comodità dell'uso delle lingue delle corti monarchiche. Così il francese e lo spagnolo soprattutto, che hanno la loro origine nelle varietà diastratiche superiori delle varietà diatopiche dell'Ile de France e della Castiglia. Sono lingue d'origine “cortigiana”. In questo panorama il sistema linguistico sardo è sempre emerso per le sue particolarità che lo hanno sempre differenziato dal resto delle lingue romanze; ciò era evidente sia per i sardi che per i non sardi. Il sardo è un sistema linguistico autonomo, sulla base del principio della differenziazione, su questo non ci sono dubbi. Ma dal punto di vista sociolinguistico? Facciamo un esempio col basco: il basco non è un idioma romanzo, anzi, non è un idioma indo-europeo, è un sistema linguistico isolato, perchè nonostante tutti i tentativi, non si è riusciti a trovare delle affinità con nessuna altra lingua al mondo. Che le varietà basche (peraltro di difficile intercomprensione reciproca) costituiscano un sistema linguistico autonomo, non c'è dubbio. Ma, dal punto di vista della percezione che i suoi stessi locutori hanno da sempre, il basco non è una lingua di prestigio, è un dialetto. Durante la dittatura di Franco non veniva insegnato e non aveva alcun riconoscimento ufficiale, la sua posizione dialettale nella società basca era obbligatoria. Oggi che il governo regionale basco attua delle energiche politiche di reintroduzione della lingua (la prima delle quali è stata la scelta di un modello standard intermedio tra le varietà più lontane), la lingua è conosciuta da un numero sempre maggiore di persone, insegnata spesso come prima lingua ai bambini, utilizzata come lingua ufficiale e di comunicazione amministrativa; eppure, nonostante questo impegno, sostenuto dall'opinione pubblica a larga maggioranza, i risultati sostanziali sono mediocri: si è impedito il declino ed addirittura l'estinzione, ma alla fine la maggior parte della popolazione basca, benchè felice di conoscere il basco e di poterlo parlare, continua nella sua vita di tutti i giorni a parlare spagnolo. Perchè il basco è lingua di identità ma non di comunicazione e di prestigio per la maggior parte delle persone. Il basco continua ad essere sociolinguisticamente “dialetto”. Invertire questi processi sociali è estremamente difficile, a meno che non siano sostenuti da una fortissimo senso identitario (vedi ebraico) o da politiche coercitive. Gli altri esempi europei sono sulla stessa strada del basco: catalano, gallego, irlandese, scozzese, gallese, romancio, frisone, occitano ecc. La situazione del sardo è assai simile a quella del basco (solo che noi lo standard ancora non lo abbiamo), ciò nonostante io credo che l'implementazione dell'uso del sardo sia una grande sfida culturale e politica per tutti noi: la perdita della nostra lingua storica sarebbe una menomazione gravissima del nostro patrimonio culturale, e della nostra identità di comunità politica. Ovviamente si può vivere senza lingua sarda, ma sarebbe una vita culturalmente molto più povera ed interromperebbe gran parte del legame che abbiamo con la nostra terra e il nostro passato. Il primo passo non può essere che la scelta di un modello che abbia una qualche probabilità di essere percepito come prestigioso, ma anche che goda di una certa equidistanza linguistica tra le varietà estreme che sono anche varietà “antropologiche”. Qualsiasi altra scelta sarà legittima ma sostanzialmente velleitaria e avrà scarsissime possibilità di successo.
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15 U L T I M E R I S P O S T E (in alto le più recenti) |
Thilikar |
Inserito il - 01/06/2010 : 00:48:21 cosi' sia,Turritano.. |
Turritano |
Inserito il - 31/05/2010 : 20:37:29 Mi fa piacere che ci siano persone ottimiste come te, sul futuro della Lingua Sarda, scoprire che nel forum c’è un altro amante della Nostra lingua Però, visto che in questa discussione, basata sulla differenza tra “lingue” e “dialetti”, non è quella più adatta per discutere lo stato di salute della Lingua Sarda, io mi permetto di spostare questo interessantissimo discorso su un 3d più consono Spero non ti dispiaccia Turritano
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Thilikar |
Inserito il - 31/05/2010 : 00:41:42 non sara' una LSC a mettere freno a quello che tu vedi come un abbandono della lingua sarda...hai fatto un esempio dei giovani e delle donne in genere,che non parlano in sardo,forse nelle grandi citta' sara' cosi'..ma nei piccoli centri ,ti garantisco,che il sardo viene parlato correntemente un po' da tutti,e chi magari e' restio ad esprimersi in sardo,lo capisce comunque benissimo. voglio farti un esempio io..la citta' di carbonia,creata negli anni '30 dal regime fascista,come tu ben saprai,si riempi' di minatori provenienti da tutta italia,cio' porto' in breve tempo ad un confronto tutt'altro che positivo dal punto di vista sociale..per anni e anni ci furono furibonde risse tra gli abitanti della citta' con genti dei paesi limitrofi..i sardi venivano presi in giro per la lingua ,le abitudini,i mestieri..il tempo ha lenito queste diatribe,e oggi ti posso dire che figli di toscani,siciliani,campani,abruzzesi,laziali,etc.etc..parlano in sardo.sara' una controtendenza,non lo so,rispetto a quello che tu dici..ma e' anche questa realta' dei fatti...comunque ,proviamo anche questa..noi il sardo gia' lo parliamo,se poi lo addottano anche nell'apparato amministrativo pubblico,ben venga..poi tireremo le somme...alla faccia del prof menagramo e de kinni si oiri mali |
Turritano |
Inserito il - 30/05/2010 : 23:23:16 | musthayoni ha scritto:
. Turritano .. Robur .. Donovan .. Giuseppe .. avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .. classificata secondo le diverse varianti linguistico-dialettali esistenti nell'isola .. per conoscerne meglio l'incidenza distributiva ? .. è probabile che ne abbiate già parlato .. ma io al momento non ne ho conoscenza .. grazie e ciau ..
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Scusa il ritardo, Mustha, ma la mia risposta è negativa. Comunque dovresti essere più preciso: con la domanda "avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .." ti riferisci ai sardofoni o ai residenti totali delle varie zone della Sardegna? io posso darti i dati approssimativi della provincia di Sassari, Gallura e zone limitrofe ma, se vuoi sapere la percentuale di parlanti sardo, la questione si fa più delicata. Ti avviso che, in genere, questa percentuale è molto bassa fra i giovani (specialmente donne), ciò significa che sa Limba è in effettivo pericolo di estinzione e l'ottimismo in proposito mi sembra fuori luogo. Inutile cullarci sul passato: i tempi cambiano e le usanze pure. "Nanneddu meu, su mundu e gai, a sicutera no torra mai" Dobbiamo darci da fare e subito, se vogliamo invertire la tendenza di questo abbandono e l'unico rimedio è il riconoscimento de l Sardo come lingua ufficiale, in regime di bilinguismo in Sardegna, ma per far ciò si deve lavorare per un codice unitario per tutti i Sardi. Altrimenti l'uso del Sardo alla pari dell'italiano negli atti ufficiali, è impossibile, cioè si ritorna a parlare all'uso indispensabile di una LSC, che peraltro è già stata codificata e, senza voler sopraffare nessuno: è già tranquillamente in uso, con buona pace di chi non ne vede l'utilità e si illude che se ne possa fare a meno senza nefaste conseguenze. Mi accorgo di aver deragliato un pochino e di essere andato OT. Invito perciò, a parlare di LSC, nella discussione apposita: forse qualcuno non sa di preciso come sia organizzata e discuterne fa sempre bene Turritano |
Thilikar |
Inserito il - 30/05/2010 : 18:53:35 coraggio,ragazzi,che le campane a morto sono ben lungi dall'essere suonate per la nostra amata lingua sarda,nonostante a qualche anonimo campanaro prudano le mani..! asserire che,all'incirca fra un secolo da oggi,il "sardo"scomparira' dalla faccia della terra e' un'ipotesi alquanto azzardata,non essendoci i presupposti fondamentali affinche' cio' avvenga. il prof e' stato un po' riduttivo nel dire che tutto cio'che inizia ha poi un termine,sopratutto se parla di lingue(faceva miglior figura a non dire che era glottologo). innanzitutto.chi parla la lingua sarda? i sardi,ovviamente. una lingua viene definita morta( o estinta,fate voi)quando non viene piu' parlata da nessuno.praticamente il prof in questione stabilisce che i sardi,all'incirca 2 milioni,fra residenti nell'isola,e quelli sparsi per il mondo)si estingueranno,e anche in breve tempo! ricordo al prof che la nostra lingua e' antichissima ,da perdersi nella notte dei tempi..un linguaggio portato da popolazioni di origine sumero-accadica(ed ancora ben radicato nel linguaggio odierno). un linguaggio,che col passare del tempo aggiunse variazioni su variazioni,man mano che nell'isola si sovrapponevano altre popolazioni con le loro culture e le loro lingue proprie. i fenici(semiti)..e poi i fenicio -punici(cartaginesi),che crearono il loro sostrato culturale e linguistico. poi giunsero i romani,che trasformarono la sardegna in provincia,depauperando il suo territorio e vessando le sue popolazioni.non ci fu mai amore fra questi 2 popoli(infatti i sardi non soffrivano della sindrome di stoccolma!),ma a differenza di quanto si pensi,i romani non imposero MAI il latino come lingua ufficiale..percio' per alcuni secoli ancora i sardi continuarono a parlare la loro lingua quasi originale. fu ,invece,durante il periodo della cristianizzazione,in epoca successiva,che,favorite anche dalla conversione di molti capitribu',le popolazioni locali,abbandonarono i loro riti ancestrali,pagani a favore di quelli cristiani,cosi addottando e addattando anche il latino alla lingua sarda. rimane ben poco dell'epoca bizantina( se non a livello architettonico) o dell'egemonia araba sulle coste. poi giunsero pisani e genovesi che portarono il loro"italiano",ma a parte il cognome"pisano",peraltro molto diffuso,se non a livello architettonico ,come i bizantini,non lasciarono altre tracce nella lingua sarda. rimase praticamente tutto immutato fino all'avvento dei catalano -aragonesi,che per quasi 400 anni dominarono in lungo e in largo.oltre ad aver imparato bene dai romani l'arte dello sfruttare il popolo,loro imposero la loro lingua,tant'e' che molte sono le parole di origine iberica, ma limitate se si pensa al lungo periodo di dominazione e che la grammatica sarda e' rimasta pressoche' la stessa ,alla pari del suo stesso alfabeto. col regno di sardegna si ando' avanti attraverso una forma di bilinguismo,sardo e spagnolo..ma le cose peggiorarono con l'unita' d'italia.gia' dopo la grande guerra,nel periodo del ventennio fascista,venne fatto un grande storpiamento di nomi,cognomi e toponimi sardi,giusto cosi',per dare un tocco di italianita' a quel popolo di barbari! oggi,siamo in regime di bilinguismo..che dire ,di non esserci e' meglio che ci sia,non sono pero' daccordo con chi parteggia per una lingua unica,non si puo' snaturare cio' che e' sopravissuto alle intemperie del tempo,e quanto ne e' passato! per concludere,il sardo e' una lingua viva(evviva tutte le sue forme e variazioni)oggi piu' che mai,sara' sempre in evoluzione,questo si'e mutera' col passare del tempo e delle situazioni storiche.ma il prof che e' anche glottologo questo la sa benissimo. e' cosi' anche per il suo "italiano" a cui tanto agogna. ecco,s'impegni di piu' ad insegnare la lingua di dante(anche se del fiorentino di dante,l'italiano di oggi e' una vistosa evoluzione),anche perche',nonstante i suoi sforzi,io ho visto che,essendoci stato per lavoro,in emilia,marche,lombardia,veneto,la gente comune e non continua a parlare attraverso slang dialettali.. direi di piu',se per miracolo,oggi,ci potessimo teletrasportare nel futuro,all'incirca fra 200 anni,son convinto che in sardegna si parlerebbe ancora sardo,mutato si,ma sempre sardo..e che magari l'italiano sara' soppiantato da altri dialetti locali(tanto e' gia' cosi')..o da lingue straniere come l'arabo o il cinese(..eheheh)
ciao a tutti. |
Turritano |
Inserito il - 03/05/2010 : 18:43:22 Ragazzi, mi sembra che il discorso abbia abbandonato il solco originario per spostarsi in un altro. Cioè in questa discussione si dovrebbe parlare di "Lingue e dialetti", ma ora stiamo parlando del Sardo come Lingua in tutte le sue varietà e, in particolare de sa Limba Sarda Comuna. Perciò io proporrei, se siete d'accordo, di riportare il tutto (e di continuare questo discorso) nella discussione più attinente: LSC 2 Turritano |
Giuseppe |
Inserito il - 03/05/2010 : 11:44:28 | Nugoresu ha scritto:
Boh... no appo cumpresu una tzicca.....
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Io ho fatto il possibile. Il testo completo (e più leggibile) lo trovi, credo, su internet (cartine e tabelle comprese). Per me, è difficile e riservato agli specialisti. Spero che siano loro a farmelo capire. Saluti. Giuseppe |
Nugoresu |
Inserito il - 03/05/2010 : 11:17:13 Boh... no appo cumpresu una tzicca..... |
Giuseppe |
Inserito il - 03/05/2010 : 10:44:39 Salvo errore, questo è il "rapporto Bolognesi".
La limba sarda comuna e le varietà tradizionali del sardo Rapporto finale a cura di Roberto Bolognesi 0. Introduzione Con la delibera del 18 aprile 2006, n. 16/14 la Regione Autonoma della Sardegna ha deciso di adottare la Limba Sarda Comuna (LSC) “accanto all’italiano, [...] come lingua della propria Amministrazione e intraprendere questo cammino avviandone l’uso con l’aiuto di alcune norme di riferimento sperimentali per la lingua sarda scritta in uscita. Fermo restando che intende valorizzare, valorizza e sostiene tutte le varietà linguistiche parlate e scritte in uso nel territorio regionale, la Regione ha ravvisato la necessità, dopo discussioni e confronti sulla lingua sarda durati molti anni, di sperimentare l’uso del sardo per la pubblicazione di atti e documenti dell’Amministrazione regionale. [...] La finalità che la Regione intende perseguire con la predisposizione delle norme linguististiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale è quella di avviare un processo graduale mirante all’elaborazione di una Limba Sarda Comuna, con le caratteristiche di una varietà linguistica naturale che costituisca un punto di mediazione tra le parlate più comuni e diffuse e aperta ad alcune integrazioni volte a valorizzare la distintività del sardo e ad assicurare un carattere di sovramunicipalità e la semplicità del codice linguistico. La Limba Sarda Comuna intende rappresentare una “lingua bandiera”, uno strumento per potenziare la nostra identità collettiva, nel rispetto della multiforme ricchezza delle varietà locali.” Nel corso dei mesi che sono seguiti alla pubblicazione della delibera sono apparsi sulla stampa e sugli altri mezzi di comunicazione diversi interventi a favore della proposta, come anche diversi interventi contrari. Come succede sempre in questioni che riguardano la lingua (non solo quella sarda), un po’ tutti si sono sentiti coinvolti e hanno sentito l’urgenza di esprimere il proprio parere. Questo è non solo comprensibile, ma anche bello: la lingua è una di quelle cose che riguardano effettivamente tutti ed è giusto esprimere il proprio parere su una questione di interesse collettivo. Ma naturalmente questo non significa che tutti siano in grado di giudicare in maniera obiettiva se la LSC abbia effettivamente centrato l’obiettivo dichiarato di costituire una mediazione naturale tra le diverse varietà del sardo. Per farlo occorre avere a disposizione strumenti culturali, metodologici e tecnologici adeguati. Altrimenti le opinioni espresse non vanno oltre il livello dell’impressione personale e del giudizio emotivo. Lo scopo di questo studio è appunto quello di verificare fino a che punto la mediazione linguistica proposta mediante la LSC sia riuscita. Per affrontare questo problema di per se carico di valenze anche emotive, si è fatto ricorso agli strumenti metodologici e tecnologici sviluppati nell’ambito della Dialettologia Computazionale. Per poter stabilire la misura in cui le diverse varietà del sardo sono rappresentate dalla LSC, è stata eseguita un’analisi comparativa tra le varietà linguistiche interessate, sulla base di un metodo statistico obiettivo. È stata operata una selezione randomizzata di parole dal lessico del sardo, provenienti da un corpus molto esteso, e in seguito sono state raccolte e trascritte foneticamente le traduzioni di queste parole in una serie rappresentativa di dialetti sardi (77 dialetti). Le trascrizioni fonetiche sono state comparate per mezzo di un programma informatico specificamente sviluppato. I risultati dei confronti e delle analisi effettuati permettono di verificare il grado di rappresentatività e di naturalezza della LSC. Questa relazione è organizzata nel modo seguente: il Capitolo 1 contiene la presentazione della metodolgia impiegata; il Capitolo 2 contiene un’analisi computazionale della variazione dialettale nell’area linguistica sarda; il Capitolo 3 presenta l’analisi mirata ad individuare le varietà più rappresentative del sardo; il Capitolo 4 contiene l’analisi del rapporto tra LSC e le varietà “storiche” del sardo; il Capitolo 5 mostra l’analisi dei fattori che determinao la rappresentatività della LSC; il Capitolo 6 offre un’analisi della “naturalezza” della LSC e, infine, il Capitolo 7 contiene un’analisi della possibilità di apportare dei miglioramenti alla LSC. 1 La metodologia impiegata 1.0 Introduzione In questo capitolo si illustrerà la metodologia impiegata per stabilire le distanze strutturali reciproche tra i dialetti del sardo e individuare quindi le varietà della lingua. Per questa ricerca abbiamo scelto di determinare la distanza strutturale tra 77 dialetti sardi. La nostra ricerca si limita ad investigare le conseguenze fonologiche, morfologiche e lessicali delle differenze tra queste lingue, visto che queste sono le uniche differenze che si possono misurare sulla base della distanza fonetica. La determinazione quantitativa delle distanze tra strutture sintattiche è ancora al di fuori della portata delle attuali tecniche di ricerca linguistica. I processi diacronici che hanno portato alla differenziazione dei dialetti sardi costringono a porsi delle domande come le seguenti: “Quante parole di una lingua sono coinvolte dei processi di mutamento linguistico? Quanto è cambiata la struttura di queste parole? Quanto è grande la distanza strutturale tra le varietà di questa lingua che risultano da questi processi?” Per poter rispondere a queste domande si dovrebbero, in linea di principio, analizzare tutte le parole in tutte le varietà in questione, e per di più con tutte le loro possibili derivazioni morfologiche. Necessariamente, deve aver luogo una selezione preventiva dei dati. Una simile selezione, però, costringe a determinare a priori e in modo soggettivo ciò che è rilevante per la ricerca, a meno di non impiegare un metodo statisticamente giustificato (Kessler 2001). Un’altra fonte di soggettività da evitare è costituita dal fatto che il calcolo della distanza strutturale tra due lingue (o due varietà della stessa lingua) è praticamente impossibile da effettuare senza ricorrere a tecniche computazionali (Nerbonne & Heeringa 1998). Ogni parola selezionata in ogni lingua (o fase della lingua) deve essere confrontata con ogni parola corrispondente nell’altra lingua (o fase) per poter stabilire le rispettive distanze fonologiche. Senza un approccio computazionale, l’esecuzione di questi calcoli costituisce un’impresa irrealizzabile. Attraverso la tecnica stastistica della campionatura randomizzata dei dati (random sampling) si può però effettuare una selezione oggettiva dei dati. Ricorrendo alle tecniche sviluppate all’interno della Dialettologia Computazionale (Kessler 1995; Nerbonne & Heeringa 1998), si può fra l’altro determinare quantitativamente il mutamento di una lingua, come conseguenza di evoluzioni fonologiche e/o morfologiche, o del contatto con altre lingue. 1.1 La selezione delle parole e delle varietà linguistiche La distanza strutturale fra le varietà che si sono comparate è stata determinata sulla base della Distanza Levenshtein (si veda § 1.4) di 200 parole selezionate at random e tradotte nelle diverse varietà linguistiche. Le parole in questione provengono da un corpus di 257.000 parole che compongono una serie di testi scritti in diverse varietà del sardo contemporaneo. I testi consistono di romanzi, traduzioni, articoli di giornali, presentazioni su Internet, i quali erano disponibili in formato elettronico. Questi testi si possono considerare rappresentativi del sardo scritto moderno. Le 200 parole selezionate sono anche indirettamente rappresentative della frequenza delle parole nel sardo scritto, dato che le parole che più spesso sono presenti in un testo hanno anche maggiori probabilità di essere selezionate. Mediante l’uso di uno specifico programma informatico, è stata effettuata la selezione randomizzata di 400 parole. Questa prima selezione è stata successivamente ridotta alle prime 200 parole che rispondevano ai seguenti requisiti: (i) la presenza nel dizionario più comprensivo della lingua sarda (Puddu 2000); (ii) non costituire una variante grafica o dialettale di una parola già selezionata in precedenza. Le 200 parole selezionate che costituiscono il campione da comparare sono presentate nell’Appendice 1. Tutte le parole sono state tradotte nelle diverse varietà linguistiche contemporanee, cosa questa che in taluni casi ha comportato l’uso di costruzioni perifrastiche. In alcuni casi, le parole selezionate sono probabilmente soltanto delle parole grafiche che consistono di un verbo e dei pronomi enclitici che li seguono (per es. apporrindeli ‘porgendogli/ porgendole’; apprettandelos ‘assillandoli’). Il loro status di parole fonologiche e morfologiche cambia da lingua a lingua, ciononostante abbiamo scelto di considerare queste strutture come delle unità in quanto in ciascuna delle lingue in questione si usano le stesse convenzioni grafiche per la rappresentazione di queste costruzioni. Abbiamo anche scelto di mantenere nel nostro campione forme diverse degli stessi verbi (per es. tenner/tenes/tentu ‘avere-INF/3 SG/PP’), in modo da far contare nelle misurazioni delle distanze strutturali anche la morfologia verbale.1 1.2 I dialetti sardi Le 200 parole selezionate sono state proposte a parlanti di 77 dialetti sardi. Agli informatori è stato chiesto di tradurre e pronunciare le suddette parole nel loro dialetto. Le pronunce attestate sono state trascritte nell’alfabeto fonetico X-Sampa (un sistema in cui i simboli API vengono sostituiti da caratteri ASCII). Eventuali differenze nelle convenzioni grafiche tra le diverse varietà non hanno quindi giocato alcun ruolo. La scelta dei dialetti è stata in parte dettata dalla necessità di rappresentare le principali varietà del sardo. In parte, invece, è stata la disponibilità di parlanti a determinare la scelta di un dato dialetto locale, anziché un altro. Le diverse varietà sono state individuate sulla base dell’Atlante Dialettologico della Sardegna (Contini 1987), sulla base della descrizione dei dialetti meridionali contenuta in Bolognesi (1998) e sull’analisi quantitativa della variazione dialettale in Sardegna contenuta in Bolognesi & Heeringa (2005). I dialetti della Sardegna centrale sono abbondantemente rappresentati per poter esaminare nel miglior modo possibile la transizione dai dialetti meridionali a quelli centrosettentrionali. La lista dei dialetti esaminati non è certo esaustiva, nemmeno per quanto riguarda le sub-varietà, ma è sufficientemente estesa per il tipo di ricerca condotto in questa sede. Le caratteristiche delle diverse varietà sono ben rappresentate, come anche i contrasti fra esse, e la loro distribuzione geografica. I 77 dialetti vengono presentati nella seguente cartina (Cartina 1), in cui è indicata anche la loro distribuzione geografica .1 Questa scelta ha comportato ovviamente una certa ridondanza del nostro campione. I seguenti verbi sono rappresentati diverse volte in forme diverse: andai ‘andare (3 volte), ponni ‘mettere’ (3 volte); tenni ‘avere (3 volte), domandai ‘chiedere, domandare’ (2 volte), ai ‘avere-AUX’ (2 volte), fai ‘fare’ (2 volte), perdi ‘perdere’ (2 volte), essi ‘essere’ (2 volte), biri ‘vedere’ (2 volte). 7 dei 9 verbi sono però irregolari e mostrano una grande variabilità che porta a risultati molto diversi nelle varie lingue. Cartina 1 Agli informatori è stato chiesto di fornire per ciascuna parola tutte le forme della cui presenza e uso nella loro comunità dialettale essi fossero a conoscenza. Se in un dialetto era presente più di una forma di una parola della lista (per es. la parola sarda originaria e il corrispondente prestito dall’italiano), oppure se una data parola corrisponde a più parole o a più significati, sono state indicate tutte le forme presenti. Il confronto fra più forme della stessa parola ha luogo nel modo seguente. Supponiamo che si voglia determinare per una certa parola la distanza fra due dialetti, e che in uno o in entrambi di questi dialetti siano state fornite due o più forme. In questo caso vengono appaiate le forme dell’uno e dell’altro dialetto in modo tale che la media delle distanze fra le coppie di parole sia minima. Perciò se in un dialetto si trovano le forme A e B di una parola, e in un altro dialetto la forma C, la distanza tra i due dialetti sarà data dalla media delle distanze tra A e C e B e C. 1.3 La misurazione delle distanze fonologiche tra lingue Esistono diversi algoritmi per misurare le distanze tra dialetti sulla base di trascrizioni. In Hoppenbrowers & Hoppenbrowers (2001) viene presentato il Metodo della Frequenza dei Tratti (MFT), e la sua applicazione ai dialetti olandesi. Per ogni dialetto si determinano le frequenze dei tratti fonologici distintivi presenti in un una determinata trascrizione. L adistanza tra due dialetti viene determinata tramite il confronto tra le frequenza dei tratti. Un approccio diverso è stato applicato ai dialetti irlandesi da Kessler (1995). I dialetti vengono paragonati tra di loro misurando la distanza tra parole corrispondenti tramite l’algoritmo di Levenshtein. Una descrizione delle applicazioni di questo algoritmo sui dialetti olandesi si trova in Nerbonne & Heeringa (1998), mentre l’applicazione a vari dialetti sardi è presentata in Bolognesi & Heeringa (2005). Per questa ricerca si è fatto ricorso all’approccio di Levenshtein. Questo approccio presenta due vantaggi sul primo, per la precisione, il fatto che una parola viene trattata come un’unità linguistica, e l’altro fatto che l’algoritmo tine conto dell’ordine lineare dei segmenti che compongono una parola. Qui sotto viene descritto l’uso della Distanza-Levenshtein (§ 1.4), e i miglioramenti apportati all’algoritmo tramite l’introduzione delle distanza graduali tra segmenti (§ 1.5). 1.4 La Distanza-Levenshtein Attraverso la Distanza-Levenshtein, le lingue vengono comparate mediante la comparazione di una parola di una lingua con la parola corrispondente in un’altra lingua. La comparazione si effettua trovando il modo più semplice per trasformare una data parola in un’altra attraverso l’inserzione di suoni, la loro cancellazione o la loro sostituzione. Nella forma più semplice dell’algoritmo tutte le operazione menzionate hanno lo stesso costo, per esempio 1. Supponiamo che la parola usare/impiegare in un dialetto sardo sia pronunciata impr#56256;#56321;ar#56256;#56321;, mentre in un altro dialetto sia pronunciata imp#56256;#56321;rai. Il passaggio da una variante alle altre si effettua nel modo seguente: [impr#56256;#56321;ar#56256;#56321;] cancella [r] 1 [impr#56256;#56321;a#56256;#56321;] sostituisci [#56256;#56321;] con [#56256;#56322;] 1 [impr#56256;#56321;ai] cancella [r] 1 [imp#56256;#56321;ai] inserisci [r] 1 [imp#56256;#56321;rai] #56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324; #56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324; #56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324; #56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324; 4 Per determinare questa distanza attraverso l’algoritmo di Levenshtein, le parole vengono allineate una sotto l’altra, in modo da poter stabilire quali segmenti di una parola corrispondono ai segmenti di un’altra. Il risultato viene chiamato Allineamento. La forza dell’algoritmo di Levenshtein consiste nel fatto che questo trova sempre quella specifica distanza che è calcolata sulla base di un allineamento in cui la corrispondenza tra segmenti è scelta in modo tale che il costo dell’operazione risulta minimo. Nel nostro esempio l’allineamento si presenta nel modo seguente: i m p #56256;#56323; r #56256;#56321; a r #56256;#56321; i m p #56256;#56321; r #56256;#56323; a #56256;#56323; i #56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256; #56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324; #56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256; #56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324; #56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324;#56256;#56324; 0 + 0 + 0 + 1 + 0 + 1 0 + 1 + 1 = 4 Confrontando in questo modo due parole, la distanza tra parole più lunghe sarà mediamente maggiore di quella tra parole più brevi. Più lunga è la parola, maggiore è la probabilità che esistano differenze rispetto alla parola corrispondente in un altro dialetto. Poiché questo contrasta con l’idea che le parole costituiscano delle unità linguistiche, indipendentemente dal numero di elementi che le compongono, la Distanza Levenshtein viene divisa per la lunghezza dell’allineamento (la lunghezza elaborata delle parole). Come si vede la lunghezza dell’allineamento è uguale a 9 unità. La distanza strutturale fra le parole è adesso perciò uguale a 4/9 = 0.44. Spesso sono possibili più allineamenti che, oltre a comportare le stesse lunghezze, comportano anche un costo uguale per le operazioni impiegate. In tal caso si divide la distanza per l’allineamento più lungo, dato che questo comporta sempre il maggior numero di abbinamenti. Si parte anche dal presupposto che l’allineamento più lungo costituisca la miglior approssimazione del modo in cui gli umani percepiscono la differenza tra due parole. Una volta stabilita la lunghezza dell’allineamento più lungo, diventa anche possibile esprimere la distanza tra due parole in termini percentuali. In tal caso la somma dei costi delle operazioni eseguite va divisa per il prodotto della lunghezza dell’allineamento più lungo moltiplicato per il costo più alto possibile, moltiplicando poi il quoziente che ne risulta per 100. In questo esempio, tutti i costi hanno un valore uguale a 1. Espressa in percentuale, la distanza è adesso uguale a [4/ (9*1)]*100 = 44%. Poiché il confronto fra varietà linguistiche diverse avviene sulla base di 200 parole, dai confronti fra due lingue si ottengono 200 Distanze Levenshtein espresse in percentuali. La distanza espressa in percentuale tra due varietà è quindi uguale alla media delle 200 Distanze- Levenshtein espresse in percentuale, e si calcola dividendo la somma delle 200 Distanze- Levenshtein espresse in percentuale per 200. Si può vedere che applicando la Distanza- Levenshtein non solo si tiene conto dei confini di parola, ma si prende in considerazione anche l’ordine lineare dei suoni di una parola. Questo approccio è stato utilizzato in tutto il resto del lavoro Visto che si confrontano 200 coppie di parole corrispondenti tra di loro in tutte le coppie che si possono formare dalla 60 varietà linguistiche, in totale si calcolano [((60*60)-60)/2] * 200 =354.000 distanze tra parole. È chiaro che effettuare a mano tutti questi calcoli richiederebbe dei tempi enormi. Un approccio quantitativo alla linguistica implica perciò necessariamente l’uso del computer, e per questo viene anche definito approccio computazionale. Dato che uno degli scopi di quest’articolo è quello di presentare i vantaggi dell’introduzione della Distanza Levenshtein nello studio del contatto linguistico, è necessario anche essere espliciti rispetto ai suoi limiti. Innanzitutto, il sistema misura le distanze tra parole sulla base delle rappresentazioni segmentali della loro pronuncia. Caratteristiche suprasegmentali come l’intonazione e l’accento vengono sistematicamente tralasciate. Il nostro ‘appello’ a favore della Distanza Levenshtein non va però assolutamente preso come un invito a trascurare quelle differenze linguistiche che non possono essere analizzate in modo soddisfacente sulla base di questo metodo. Per questo tipo di analisi occorre utilizzare altri metodi. Un secondo limite è costituito dal fatto che occorrono le trascrizioni fonetiche delle pronunce delle stesse parole in molte località diverse. Il fatto che il sistema possa elaborare una gran mole di dati costituisce naturalmente un grosso vantaggio, ma una gran mole di dati è anche necessaria per poter raggiungere dei buoni risultati. 1.5 Distanze graduali tra suoni Quando si confrontano le lingue sulla base di trascrizioni effettuate mediante simboli fonetici non si tiene conto del fatto che certi suoni sono molto simili e altri molto diversi tra di loro. Per esempio i suoni che compongono la coppia [b,p] sono molto più simili di quelli che compongono la coppia [a,p]. Inoltre, nei confronti basati sui simboli fonetici non si tiene conto dei segni diacritici. Confrontando per esempio una [a] con una [a#56256;#56321;], diventa molto difficile stabilire quanto i due suoni differiscano. In questi casi occorre operare una scelta drastica: considerare i due suoni come completamente uguali, oppure considerarli come completamente diversi. Dato che le similitudini tra suoni che sono distinti solo da segni diacritici sono sempre maggiori delle dissimilitudini, in precedenti lavori si era scelto di ignorare queste ultime. Una [a] e una [a#56256;#56321;] venivano quindi considerate identiche. Per di più, con questo sistema è impossibile esprimere il fatto che, per esempio, se un’epentesi consiste dell’inserzione di una vocale bassa, questa debba pesare molto di più che non l’inserzione di un quasi inaudibile colpo di glottide. Tali problemi si possono risolvere rappresentando ciascun suono come una serie di caratteristiche distintive e sostituendo il simbolo fonetico con una matrice (feature matrix) che contiene le varie caratteristiche distintive. Ciascun tratto distintivo si può considerare come una caratteristica fonetica (generalmente articolatoria) che può fungere da elemento distintivo e/o classificatorio per tutto il fonema. Una matrice contiene per ciascuna caratteristica distintiva un valore che indica la misura in cui questa proprietà la caratterizza. Rappresentando i suoni per mezzo di tali matrici si può tenere conto anche dei segni diacritici, rappresentando anche a questi per mezzo di caratteristiche distintive e attribuendo ad esse corrispettivi valori. Per esempio, la caratteristica lunghezza ha come default il valore 0. Se però un suono viene specificato come semilungo, allora gli viene attribuito il valore 1, mentre se il suono è indicato come lungo il valore della lunghezza e 2. La distanza può essere calcolata come la radice quadrata della somma dei quadrati delle differenze fra matrici corrispondenti (Distanza Euclidea). Per poter stabilire anche il costo graduale delle inserzioni e delle cancellazioni di un suono, è necessario definire anche il ‘silenzio’ in termini di caratteristiche distintive. Dato però che il ‘silenzio’ consiste appunto dell’assenza di qualunque caratteristica distintiva, la sua introduzione all’interno di questo quadro teorico ne impone una definizione artificiosa. Inoltre, anche se l’approccio basato delle caratteristiche distintive può condurre a dei risultati soddisfacenti nella misurazione delle distanze strutturali tra lingue, i sistemi di caratteristiche distintive non sono basati su delle misurazioni reali. Le differenze qualitative tra caratteristiche distintive rimangono in fondo intrinsecamente impossibili da misurare. Questa problemi, ma in particolare quello della definizione del ‘silenzio’ si possono risolvere ricorrendo al confronto tra gli spettrogrammi dei suoni. Il ‘silenzio’ si può perciò definire come assenza dell’intensità per tutte le frequenze di tutti gli spettri di un suono. Durante il processo di acquisizione del linguaggio, i bambini non hanno bisogno di apprendere di apprendere esplicitamente le caratteristiche articolatorie dei suoni che gradualmente imparano a produrre. Il segnale acustico del parlato contiene tutte le informazioni necessarie ai bambini per imparare a padroneggiare il sistema fonologico della lingua alla quale sono esposti. Il segnale acustico contiene perciò anche informazioni sufficienti sulle caratteristiche articolatorie usate normalmente per descrivere i suoni del parlato nella letteratura fonetica e fonologica. Uno spettrogramma costituisce la rappresentazione visiva del segnale acustico di un suono. Così come il segnale acustico è sufficiente a distinguere un dato suono da qualunque altro suono prodotto in circostanze simili, lo spettrogramma di un suono costituisce una rappresentazione unica e non confondibile con quelle di altri suoni. Le differenze visive tra spettrogrammi rispecchiano le distanze acustiche tra suoni. In questa ricerca si è fatto uso dei suoni registrati da John Wells e Jill House nella cassetta The Sounds of the International Phonetic Alphabet, pubblicata nel 1995. In questa registrazione le consonanti sono talvolta precedute e sempre seguite da una [a]. Queste vocali sono sempre state eliminate dagli spettrogrammi. Successivamente, per entrambi i parlanti, è stata stabilita l’altezza media del tono per mezzo del programma Praat.2 L’altezza media del tono è stata stabilita sulla base di un campione contenente 28 vocali concatenate. L’altezza media del tono della voce di John Wells è apparsa uguale a 127.9929 Hertz, mentre quella della voce di Jill House è apparsa uguale a 191.5735 Hertz. Sono stati quindi monotonizzati tutti i campioni di John Wells e Jill House sulle loro rispettive altezze medie di tono. Successivamente, utilizzando il programma Praat, è stato prodotto lo spettrogramma di ciascuno dei suoni pronunciati da entrambi i parlanti. Abbinato a Praat, si è scelto anche di filtrare gli spettrogrammi con il Bark-filter, il quale costituisce un modello plausibile della percezione umana per via delle seguenti proprietà: (i) Si fa uso di una scala di frequenza più o meno logaritmica. Di conseguenza si tiene conto del fatto che la distanza fra toni bassi viene percepita come maggiore di quella fra toni alti. Per stabilire la scala di frequenza, in Traunmüller (1990) viene presentata la seguente formula: Bark = [ (26,81 * Hertz)/ (1960 + Hertz)] – 0.53. 2 Questo programma può essere scaricato gratis all’indirizzo: http://www.fon.hum.uva.nl/praat/. (ii) Nel caso delle ampiezze (le intensità delle frequenze) si utilizzano i loro valori logaritmici. Di conseguenza si tiene conto del fatto che i toni bassi non vengono percepiti come più intensi, malgrado in realtà essi lo siano. Le altre caratteristiche distintive che è stato possibile introdurre nelle misurazioni grazie all’adozione degli spettrogrammi sono quelle rappresentate dai segni diacritici della nasalità vocalica (per es. [ã]) e dell’apicalità delle fricative [s#56256;#56322;] e [z#56256;#56322;]. Non essendo disponibili i campioni relativi, né nella cassetta di John Wells e Jill House, né altrimenti, per poter introdurre queste caratteristiche si è proceduto nel modo seguente: (i) la distanza prodotta dalla nasalità tra una vocale non nasale 1 e un’altra vocale nasale 2 è stata calcolata come media della distanza fra la vocale non nasale 1 e la versione non nasale della vocale 2, e la distanza tra la vocale 1 e la consonante nasale [n]; (ii) la distanza prodotta dall’apicalità bei confronti delle altre consonanti è stata calcolata come media della distanza tra una data consonante e le fricative non apicali (a) sorda ([s]) e (b) sonora ([z]), e tra la stessa consonante e le fricative alveo-palatali (a) sorda ([#56256;#56321;]) e (b) sonora ([#56256;#56323;]). Per poter esprimere la distanza tra parole in termini percentuali occorre stabilire il valore del costo massimo che risulta dal passaggio da una forma all’altra di una parola (si veda il § 7.3.1). La distanza massima è quella attestata tra lo spettrogramma della vocale [a] e quello del ‘silenzio’. Nei calcoli, perciò, si considera la differenza tra [a] e il ‘silenzio’ come uguale al 100%, per cui le distanza tra tutti gli altri suoni saranno inferiori. Dai risultati raggiunti si è visto che le liquide e le nasali sono molto simili alle vocali. Per poter tenere conto delle combinazioni tra suoni che si verificano all’interno della struttura sillabica è stato necessaria una piccola revisione dell’algoritmo di Levenshtein. L’algoritmo è stato modificato in modo da allineare, in due forme diverse di una parola, le vocali esclusivamente con le vocali e le consonanti esclusivamente con le consonanti. Date le loro caratteristiche intermedie, l’algoritmo tratta però le vocali [i], [u] e schwa sia come vocali che come consonanti, mentre le semivocali [j] en de [w] vengono trattate sia come consonanti che come vocali. Sono stati integrati nella Distanza-Levenshtein anche i seguenti tratti suprasegmentali: extrabreve, semilungo e lungo. Questi valori della lunghezza sono stati integrati adattando le trascrizioni prima delle misurazioni. Nelle trascrizioni i segmenti privi di indicazioni sulla lunghezza vengono raddoppiati, i segmenti semilunghi vengono triplicati e quelli lunghi quadruplicati. Il confronto tra i risultati ottenuti usando i tratti distintivi e quelli ottenuti con gli spettrogrammi ha mostrato che questi ultimi concordano maggiormente con ciò che è lecito attendersi in base alla distribuzione geografica dei dialetti, da un lato, e dai risultati della dialettologia tradizionali, dall’altro. La scelta di basare le misurazioni sugli spettrogrammi è quindi non solo basata sulla necessità di una metodologia più accurata, ma anche su risultati empiricamente più soddisfacenti. 1.6 Classificazione delle varietà linguistiche Quando si comparano fra di loro 77 varietà linguistiche, le Distanze-Levenshtein possono essere ordinate gerarchicamente in una matrice che consiste di 77 righe e 77 colonne. La tabella è paragonabile a una tabella delle distanze in chilometri tra città. In questo modo si possono mettere in evidenza strutture che altrimenti rimarrebbero nascoste. Si è fatto uso di due diversi metodi di classificazione che si integrano a vicenda: l’analisi mediante clustering (§ 1.7; § 2.9) e la scalatura multidimensionale (§ 1.8; § 2.8). Il risultato dell’analisi mediante clustering comporta una suddivisione netta delle varietà linguistiche in gruppi, mentre il risultato della scalatura multidimensionale mette bene in evidenza il rapporto tra le diverse varietà, anche quando queste appartengono a gruppi diversi. 1.7 Analisi gerarchica tramite Clustering Il clustering è una tecnica di uso corrente nelle discipline storiche, ma viene applicata anche alla psicolinguistica. Lo scopo del clustering è quello di identificare raggruppamenti rilevanti all’interno di strutture complesse. Quando un cluster (o ‘agglomerato’) fa parte di un supercluster (e questo a sua volta di un supersupercluster) si può osservare che esiste un rapporto gerarchico fra cluster, e si parla di analisi gerarchica tramite Clustering. L’algoritmo si può spiegare più agevolmente usando un esempio. Supponiamo che si abbia la matrice seguente Lodé Luras Gesturi Iglesias Portoscuso Lodé 0 17,997 32,958 33,624 34,311 Luras 0 30,095 31,101 32,963 Gesturi 0 11,843 12,692 Iglesias 0 4,876 Portoscuso 0 In questa matrice le cifre indicano le distanze reciproche tra cinque varietà diverse. Il valore di ciascuna cella (i,j) è naturalmente uguale a 0 (la distanza di una lingua da se stessa). Poiché la matrice è simmetrica non occorre rappresentare nuovamente i dati della metà in basso a sinistra della matrice. Il clustering costituisce un processo iterativo. In ogni passaggio del processo si individua la distanza più piccola nella matrice e le lingue tra cui esiste questa distanza vengono riunite in un cluster. Successivamente si determina la distanza tra il cluster formato e le altre lingue. Ai fini di questa ricerca, l’algoritmo che ha fornito i risultati più soddisfacenti (cioè, più logici) si è rivelato quello che prende in considerazione la media delle distanze. La distanza di k da un nuovo cluster [ij] è costituita dalla media delle distanze tra i e k e tra j e k. Per ogni k si effettua quindi il seguente calcolo: Nella matrice delle distanza presentata qui sopra, la distanza tra Iglesias e Siniscola si rivela la più piccola. Dopo aver raggruppato le due località in un cluster, si calcolano le distanze tra il nuovo cluster e gli elementi rimasti. Per esempio, la distanza tra il dialetto di Lodé e quelli ci Iglesias e Portuscuso si calcola nel modo seguente: dk (ij) = dki + dkj 2 Lodé (Iglesias,Portoscuso) = dLodé,Iglesias + dLodé,Portoscuso 2 = 33,6+ 34,3 2 Dopo aver calcolato la distanza tra il dialetto di Lodé e la media di quelli di Iglesias- Portoscuso, Luras e Iglesias-Portoscuso e Iglesias-Portoscuso e Gesturi si ottiene la matrice seguente matrice (i nuovi valori sono rappresentati in grassetto, mentre quelli introdotti in precedenza sono rappresentati con caratteri normali): Lodé Luras Gesturi Iglesias & Portoscuso Lodé 0 17,9971 32,9584 33,95 Luras 0 30,095 32,03 Gesturi 0 12,26 Iglesias & Portoscuso 0 Il processo in cui ad ogni iterazione si effettua la riduzione di due lingue a un cluster si ripete fino a quando non è più possibile formare un nuovo cluster. Il risultato finale costituisce un raggruppamento gerarchico completo delle varietà linguistiche, che può essere visualizzato sotto forma di un dendrogramma: un albero in cui le foglie corrispondono alle singole varietà e la lunghezza dei rami rappresenta le distanze fonetiche. Il dendrogramma che risulta dal clustering di tutte le 77 varietà prese in esame è presentato in § 2.9. 1.8 Scalatura multidimensionale Le distanze reciproche tra una serie di località si possono determinare sulla base delle loro coordinate. È anche possibile effettuare il procedimento contrario: a partire dalle distanze reciproche è possibile stabilire un sistema ottimale di coordinate che contiene quelle delle località in questione. Questo procedimento è reso possibile da una tecnica matematica conosciuta come scalatura multidimensionale. La scalatura multidimensionale è una tecnica matematica paragonabile all’analisi fattoriale (Kruskal & Wish 1984). Sulla trama di una scalatura multidimensionale, le lingue fortemente correlate vengono collocate le une vicine alle altre, mentre le lingue dissimili vengono distanziate. Nei nostri esperimenti si è fatto uso delle Multidimensional Scaling-routines nel modulo statistico R, versione 1.3.0 (per informazioni e download: http://www. r-project. org/), il quale è stato applicato alla tabella che contiene le distanze tra i 77 dialetti sardi. Il modulo offre tre forme di scalatura multidimensionale, per la precisione: Classical Multidimensional Scaling, Sammon’s Non-Linear Mapping, e Kruskal’s Non-metric Multidimensional Scaling. La correlazione maggiore fra le Distanze-Levenshtein originarie nella tabella e le distanze euclidee misurate tra i punti della scalatura multidimensionale (0.99) è stata trovata facendo uso del Kruskal’s Non-metric Multidimensional Scaling. Il risultato della scalatura multidimensionale ottenuto sulla base dei 77 dialetti sardi si può trovare al § 2.8. Per poter valutare meglio il significato di entrambe le dimensioni della scalatura, si sono determinate separatamente le distanze euclidiche di entrambe le dimensioni tra le varietà, come riportato nella scalatura. Queste distanze sono correlate separatamente alle distanze-Levenshtein di ciascuna delle duecento parole. Da ciò risulta che la prima dimensione (la coordinata y nella scalatura) è quella maggiormente correlata con le distanze- Levenstein della parola bandai ‘andare’: r=0.93. Le varianti più importanti sono [a#56256;#56324;#56256;#56323;a#56256;#56325;#56256;#56321;] (dialetti settentrionali), [anda#56256;#56325;#56256;#56321;] (dialetti centrali) e [andai] (dialetti meridionali. La seconda dimensione (la coordinata x della scalatura) è maggiormente correlata con le distanze-Levenstein della parola cosa ‘idem’. Le varianti più importanti sono [k#56256;#56326;za] (dialetti settentrionali, occidentali e meridionali) e [k#56256;#56326;z#56256;#56322;a] (dialetti centro-orientali). 2 La variazione dialettale in Sardegna 2.0 Introduzione Negli oltre 2000 anni seguiti alla sua introduzione in Sardegna, il Latino Volgare è evoluto in una serie di gruppi dialettali che fonologicamente si differenziano fortemente fra di loro. Le differenze mofologiche e, soprattutto, quelle sintattiche sono molto più limitate (si veda, per tutti, Jones 1993) In questo capitolo verrà stabilito il modo in cui la misura delle distanze strutturali fra i dialetti sardi permette di arrivare a definire obiettivamente le diverse varietà in cui è suddiviso il sardo. Per poter stabilire la la distanza reciproca tra dialetti e quindi arrivare a una definizione delle varietà del sardo, è di cruciale importanza assumere un punto di vista che vada oltre l’attenzione (selettiva) per i fenomeni puramente qualitativi. Occorre operare un’analisi quantitativa. Nei paragrafi seguenti si mostrerà come un approccio computazionale renda possibile effettuare dei confronti quantitativi, i quali permettono di determinare le distanze strutturali fra le varietà prese in esame e quindi di determinare nel modo più obiettivo possibile quali sono le varietà della lingua sarda. 2.1 Variazione dialettale e fattori storico-culturali In Sardegna esiste una grande variazione dialettale. Questo comunque non significa che, come vorrebbe un diffuso luogo comune, la variazione dialettale in Sardegna sia più grande che altrove. La “frammentazione dialettale” del sardo è un fenomeno comune a tutte le lingue naturali e la situazione che esiste nell’isola è comune a quella di qualunque altra terra in cui una data lingua introdotta in un certo momento della storia abbia avuto tempo sufficiente per evolvere e differenziarsi in centinaia di dialetti locali. La cartina sequente illustra la situazione della variazione dialettale in Olanda e nelle Fiandre: un territorio con un estensione complessiva di circa un terzo più grande della Sardegna, ma con una popolazione di circa 20 milioni di abitanti. Cartina 2: Cartina dialettologica dell’area linguistica neerlandese, da Heeringa (2004) Si tenga presente che la situazione in Olanda, dove si trovano 16 dei 19 gruppi dialettali identificati come rilevanti, è stata attestata tra la fine del 1800 e i primi decenni del 1900: cioè dopo oltre tre secoli di coesistenza delle varie regioni olandesi nella stessa entità statale. Questo fatto illustra, fra l’altro, la non esistenza di una relazione diretta tra unità politica e unità linguistica. Questo non deve sorprendere, dato che il concetto di “lingua nazionale”, necessariamente unitaria, è stato coniato da pensatori giacobino-romantici in seguito alla rivoluzione francese e non corrisponde, né è mai corrisposto, alla realtà linguistica di alcun paese. 2.2 Due capi linguistici? Non esiste neppure alcuna relazione precisa, puramente linguistica, tra variazione dialettale e diversità culturale. Questo significa che, come vedremo, la variazione dialettale non corrisponde alla tradizionale suddivisione della Sardegna nei due “capi” culturali: cabu ‘e susu e cabu ‘e jossu. La cartina seguente, generata dal computer sulla base delle distanze tra i vari dialetti, illustra in modo chiaro l’apparente suddivisione linguistica della Sardegna in cabu ‘e susu e in cabu ‘e jossu. Cartina 3 . In questa cartina generata dal computer si può vedere come ciascuno dei 77 dialetti presi in considerazione sia collegato a ciascun altro mediante delle linee più o meno scure. Quanto più una linea è scura, tanto più piccola è la distanza fra i due dialetti. Quando la distanza fonetica supera un certo limite, la linea diventa bianca e perciò invisibile. Dalla cartina possiamo vedere che i dialetti sardi si possono suddividere in tre gruppi principali: (a) un gruppo nordoccidentale che comprende i dialetti logudoresi; (b) un gruppo centro-orientale collegato al gruppo nord-occidentale da linee di intensità intermedia; (c) un gruppo meridionale collegato agli altri due gruppi da linee meno scure. A prima vista, quindi, il luogo comune che vuole la Sardegna divisa anche linguisticamente in due capi viene in parte confermato: le linee più scure (e più una linea è scura, più simili sono i dialetti uniti da questa linea) non attraversano il confine ideale tra cabu ‘e susu e cabu ‘e jossu. È anche vero però che le linee più scure in assoluto non uniscono neppure i dialetti “ logudoresi” e quelli “nuoresi”. La cartina seguente, proveniente dall’Atlante Dialettologico della Sardegna (Contini, 1987) mostra comunque che la zona di linee meno scure tra i due capi non coincide con la distribuzione delle isoglosse che delimitano la diversa distribuzione dei fenomeni fonetici nelle diverse varietà del sardo. Le isoglosse sono delle line ideali che dividono un dialetto dall’altro sulla base della presenza di un dato fenomeno in uno dei dialetti e la sua assenza nell’altro. Come si può vedere dalla Cartina 4, se nella Sardegna occidentale è possibile individuare un qualche “confine” tra varietà meridionali e settentrionali (ma i confini proponibili sono almeno 4!), la cosa diventa impossibile quando ci si sposta verso la costa orientale. A partire dal centro dell’Isola la distribuzione delle isoglesse è totalmente caotica. Molto più regolari sono invece i fasci di isoglosse che separano i dialetti nuoresi da quelli logudoresi, sia logudoresi comuni che settentrionali. Cartina 4: Cartina dialettologica con isoglosse, da Contini (1987) Questo significa che a determinare la distanza quantitativa tra dialetti meridionali e settentrionali è un gruppo ristretto di fenomeni che ricorrono frequentemente e in associazione reciproca. L’apparente confine linguistico appare dovuto al fatto che alcuni fenomeni fonetici sono sovrarappresentati: per esempio, 14 delle venti parole che contribuiscono maggiormente alla distanza fonologica totale fra i dialetti sardi presentano una [#56256;#56321;] finale nei dialetti settentrionali e una [i] in quelli meridionali. Dato che la maggior parte di queste parole è costituita dagli infiniti dei verbi(es.: girare vs. girai), vediamo che la riduzione della [#56256;#56321;] a [i] è accompagnata dalla caduta della [r]. Cosa questa che auimenta automaticamente la distanza tra dialetti che contrastano ripetto a questi due fenomeni. La stessa cosa accade, per esempio, con i participi passati dei verbi (es.: domandados vs. domandaus). Anche in questo caso, la riduzione della vocale media è accompagnata dalla caduta di una consonante. Nell’Atlante Dialettologico di Contini si può vedere come questi fenomeni producono isoglosse all’incirca parallele. La divisione più rilevante fra “Logudorese” e “Campidanese” è quindi marcata, anche se non interamente determinata, da un unico fenomeno fonologico: la Riduzione delle vocali medie a vocali alte (#56256;#56321; #56256;#56322; i; #56256;#56322; #56256;#56322; u) in fine di parola. Ovviamente ci sono anche altre isoglosse che passano all’incirca all’altezza di quelle della Riduzione Vocalica, ma la loro incidenza quantitativa è molto meno rilevante. La presenza di numerose vocali medie in posizione finale di parola e il fatto che le vocali finali vengono reduplicate dalla paragogia postconsonantica3, quando le parole che le contengono si trovano in posizione finale di frase (es. domos[o] vs. domus[u]; panes[e] vs. panis[i]). La paragogia raddoppia, nel caso delle persone dei verbi che terminano con una consonante e dei plurali di sostantivi e aggettivi, il numero di vocali medie presenti alla fine di una parola. Ovviamente, nei dialetti meridionali questo porta alla presenza di un numero ugualmente alto di vocali alte nelle stesse posizioni. Data questa situazione di “sovrabbondanza” di vocali diverse in parole per il resto (fondamentalmente) identiche, si ha che la pronuncia meridionale delle vocali medie comporta un aumento rilevante della distanza rispetto ai dialetti centrosettentrionali che, oltre a essere chiaramente identificata da un’analisi quantitativa, permette anche di localizzare 3 La paragogia consiste nell’inserzione di una vocale, identical all’ultima vocale precedente, dopo una consonante finale (es.: canis #56256;#56322; canis[i]). subito la provenienza di un dato parlante come proveniente da una zona a sud (o a nord) dell’isoglossa che caratterizza quella determinata pronuncia. La Cartina 4, che riassume l’analisi dialettologica effettuata in Contini (1987) per mezzo di isoglosse, mostra che gli altri fenomeni che distinguono il grosso dei dialetti centrosettentrionali da quelli meridionali sono distribuiti in modo molto più irregolare e hanno un’incidenza molto minore sul totale della distanza che separa le macrovarietà del sardo. In termini più semplici: è molto più difficile, sulla base della sua pronuncia, stabilire con precisione la provenienza di un parlante. Per far questo occorre conoscere molto bene l’intera dialettologia della Sardegna. Inoltre, come già fatto notare, è evidente che i fasci di isoglosse che separano i dialetti nuoresi da quelli logudoresi comuni e quelli logudoresi settentrionali da quelli logudoresi medidionali sono molto più consistenti e regolari di quelli che separano il cosiddetto “Logudorese” dai dialetti meridionali. Insomma, la Cartina 4 mostra quanto sia articolata la situazione della variazione dialettale in Sardegna: qualitativamente i dialetti meridionali sono molto meno dissimili da quelli centro-settentrionali di quanto questi ultimi non lo siano tra loro. Questo fatto è confermato anche dall’analisi quantitativa su cui si basa la cartina 3: anche tra i dialetti nuoresi-baroniesi e quelli propriamente logudoresi sono assenti le linee più scure, quelle che indicano una grande vicinanza tra dialetti. Malgrado la convergenza prodotta dal mantenimento delle vocali medie finali in entrambi i gruppi di dialetti, è chiaramente possibile distinguere almeno due varietà centro-settentrionali. Le diverse rappresentazioni delle distanze tra dialetti che incontreremo nei paragrafi successivi, renderanno ancora più chiara la situazione. Ribaltando quindi la concezione tradizionale del rapporto tra fenomeni linguistici e identità antropologica definita in termini dei due “capi” della Sardegna, si può tranquillamente dire perciò che le differenti pronunce domo vs. domu e pane vs. pani vengono usate per determinare l’identità di chi parla in termini di cabu ‘e susu o di cabu ‘e jossu e, eventualmente, collocare il parlante nello spazio antropologico/geografico del proprio gruppo di appartenenza o del gruppo “alieno”. Questa collocazione si effettua tramite una generalizzazione grossolana e ignorando tutte le altre eventuali convergenze o divergenze linguistiche tra il proprio dialetto e quello altrui. A rendere rilevante l’isoglossa che separa la pronuncia di domo da quella di domu non è quindi il fenomeno linguistico in sé, ma il fatto che questo viene utilizzato per effettuare una generalizzazione sulla provenienza geografica/culturale dell’altro. Faccio un esempio concreto e, credo, illuminante: una volta mia madre, che è di Villanova Monteleone (Logudoro settentrionale), si è rivolta in sardo a dei giovani di Fluminimaggiore, i quali allora le hanno chiesto se lei fosse di Desulo (Barbagia meridionale)! A Fluminimaggiore esiste una comunità di Desulesi, costituita in origine da pastori transumanti. Il fatto che mia madre sia cabesusesa ha portato quei giovani a indentificarla con i cabesusesus locali, indipendentemente dal fatto che il sardo di Villanova e quello di Desulo siano molto distanti (si vedano le varie cartine). Nei paragrafi seguenti vedremo in che modo l’analisi quantitativa delle distanze tra i vari dialetti sardi può portare a diverse suddivisioni della lingua sarda in varietà diverse. Si vedrà anche che se il numero delle varietà risulta sempre arbitrario, un’analisi quantitativa permette sempre di stabilire i confini di queste varietà in modo obiettivo. 2.3 Quante varietà del sardo? Come già accennato nel paragrafo precedente, il numero di varietà in cui si suddivide la lingua sarda è sempre arbitrario. Volendo, si può suddividere il territorio sardo in due grandi varietà linguistiche: la varietà sarda propriamente detta e le altre. Se si guarda nuovamente la Cartina 4, si vede che dei fasci nettissimi e composti da un grande numero di isoglosse parallele separano le zone in cui si parlano il gallurese e il sassarese dal resto della Sardegna. Questa suddivisione che risulta dall’analisi qualitativa di Michel Contini è stata ampiamente confermata dall’analisi quantitativa effettuata in Bolognesi & Heeringa (2005). La Cartina 5, proveniente da Bolognesi & Heeriga (2005), mostra in modo chiaro come i dialetti di Sassari, Sedini e Tempio si distacchino nettamente dai dialetti propriamente sardi. In questa rappresentazione delle distanze tra dialetti per mezzo di colori diversi, distanze maggiori sono espresse da contrasti cromatici più forti. Dialetti simili, invece, mostrano colori simili. Cartina 5: Carta dialettologica senza suddivisioni arbitrarie, da Bolognesi & Heeringa 2005 In questa cartina generata dal computer ciascun dialetto è rappresentato indipendentemente dagli altri, ma con un colore determinato dalla sua distanza nei confronti degli altri dialetti. Quanto più è simile il colore, tanto minore è la distanza tra i vari dialetti. Come si può vedere, in questo caso gli unici confini nettamente identificabili sono quelli tra le varietà Gallurese e Sassarese e i dialetti propriamente sardi. Nelle Sardegna centrale sono riconoscibili tutta una serie di dialetti con caratteristiche intermedie tra le varietà più nettamente separabili. In altre parole esiste un continuum dialettale che solo artificiosamente può essere interrotto da confini linguistici. Malgrado sia possibile individuare anche in questa cartina i due capi della Sardegna linguistica propriamente detta, identificati dal rosso del “Campidanese” e dal grigio e il verde chiaro (con quest’ultimo che rappresenta, chiaramente, i dialetti nuoresi-baroniesi) del “Logudorese” troviamo anche tutta una serie di colori intermedi che corrispondono a dialetti geograficamente e linguisticamente intermedi. Niente di simile si trova invece tra dialetti sardi propriamente detti e i dialetti di Sassari, Sedini e Tempio. In questo caso il confine tra varietà è costituito da un taglio netto e fortemente contrastante Possiamo perciò concludere che sia l’analisi qualitativa effettuata tramite le isoglosse, sia l’analisi quantitativa computazionale permettono di dividere la Sardegna linguistica in due macrovarietà: il sardo propriamente detto e il gruppo gallurese-sassarese. Questa conclusione coincide con il fatto che l’unità fondamentale dell’area linguistica sarda viene riconosciuta da tutti gli studiosi che si sono occupati della lingua. Se la Sardegna non avesse conosciuto due diverse tradizioni ortografiche, quella del “Logudorese” e quella del “Campidanese”, probabilmente la seguente domanda sarebbe posta nei termini seguenti: in quante varietà si può comunque suddividere il sardo? Invece porrò la domanda nei termini in cui, per motivi storici, se la pone la maggior parte dei sardi: il sardo è davvero diviso in due varietà? La risposta è che, se proprio si vuole forzare arbitrariamente la situazione, semplificando grossolanamente la realtà linguistica, il sardo si può in effetti anche dividere in due. Questa suddivisione viene anche apparentemente giustificata dalla Cartina 3, in cui si vede che in nessun caso delle linee molto scure (che rappresentano la vicinanza tra dialetti: quanto più scura è la linea, tanto più vicini sono i dialetti) uniscono i dialetti al di sotto delle isoglosse colorate della Cartina 4 con quelli posti al di sopra. Va detto comunque che tra i dialetti centro-settentrionali e quelli meridionali esiste un intreccio fittissimo di linee più chiare: né potrebbe essere diversamente, data la nota mutua intelleggibilità tra dialetti sardi. Inoltre, in Bolognesi & Heeringa (2005), abbiamo mostrato che tra i dialetti sassaresigalluresi e quelli sardi non si trovano neppure le linee chiare: le distanze tra le varietà non sarde e quelle propriamente sarde sono troppo grandi. Basta però dare un’occhiata sia alla Cartina 5 che alla Cartina 4 per rendersi conto che la situazione è in effetti molto più articolata. Sia l’analisi qualitativa che prende in considerazione ciascun singolo fenomeno tramite le isoglosse, sia quella quantitativa che esprime le distanze tra dialetti per mezzo di colori differenti, mostrano l’esistenza di diverse varietà, soprattutto nell’area di quello che molto approssimativamente si suole definire come “Logudorese”. Del resto, lo stesso Max Leopold Wagner, che pure era un sostenitore del “bipolarismo linguistico Campidanese vs. Logudorese” ha dovuto ammettere che “di fronte al logudorese, il quale è spezzettato in tante varietà dialettali, il campidanese ha il vantaggio di una maggiore unità e uniformità” (Wagner, 1951:56). Cioè, qui Wagner si contraddice palesemente: da un lato parla di “Logudorese”, come se questo fosse una varietà ben definita, dall’altro poi ammette si tratta in effetti di “tante varietà dialettali”. Questo significa anche che il Logudorese e il Campidanese letterari, usati da molti scrittori, non corrispondono a nessuna varietà effettivamente parlata. Essi costituiscono delle idealizzazioni che non tengono conto di un gran numero di caratteristiche dialettali esistenti nelle aree linguistiche che questi sistemi ortografici vogliono rappresentare (rimando a Bolognesi 1998, 1999 per un’analisi più approfondita). Nei paragrafi che seguono vedremo che è possibile superare il problema dell’arbitrarietà del numero di varietà in cui suddividere il sardo. Basta confrontare tra loro i risultati della richiesta fatta al computer di suddividere l’area linguistica sarda in un numero diverso di varietà dialettali. Cioè, vedremo che è possibile arrivare a suddividere in modo obiettivo l’area del sardo in varietà diverse. Fermo restando che il numero di varietà non può che essere definito in modo arbitrario, il raggruppamento di un dato dialetto in una certa varietà, anziché ad un’altra, viene effettuato dal computer sulla base delle distanze reciproche tra dialetti, e cioè in modo interamente obiettivo. 2.4 Suddivisione in 5 varietà La prima richiesta fatta al computer è stata quella di suddividere i dialetti propriamente sardi—escludendo quindi quelli di Sassari, Sedini e Tempio—in 5 varietà. Il risultato è quello rappresentato dalla Cartina 6: Cartina 6: Cartina dialettologica con suddivisioni in 5 aree Questa cartina contiene una conferma e due sorprese (almeno per i non addetti a lavori). Da un lato vediamo che vengono individuate le tre grandi aree dialettali denominate tradizionalmente come Campidanese, Nuorese e Logudorese, confermando i risultati di tutti gli studi precedenti, tranne quelli che si ostinano a non voler distinguere il gruppo dei dialetti nuoresi-baroniesi da quelli logudoresi. Dall’altro vediamo che, malgrado le grossolane semplificazioni che il computer è costretto a compiere per via del numero troppo basso di varietà in cui suddividere i dialetti, due dialetti locali sono esclusi dai tre grandi raggruppamenti: quelli di Seneghe e Laconi. Il motivo dell’esclusione di questi due dialetti è costituito dal fatto che essi contengono elementi che appartengono a due delle macro-varietà individuate. Nel sardo di Seneghe sono presenti sia il sistema vocalico centro-settentrionale (cioè le vocali medie finali non vengono ridotte a [i] e [u]), sia un gran numero di fenomeni consonantici tipici delle varietà meridionali, compresa la cancellazione della [n] e la conseguente nasalizzazione delle vocali accentate che in altri dialetti precedono la [n]. Così troviamo nel seneghese forme “ibride” come pã#56256;#56322;, che si collocano a metà strada tra il campidanese propriamente detto e i dialetti centro-settentrionali. Con queste caratteristiche miste e equidistanti, il seneghese può solo costituire un gruppo a sé stante. A Laconi, dove si parla un dialetto dal lessico fondamentalmente di tipo meridionale, si trova invece un sistema vocalico ibrido, in cui solo una parte delle vocali medie finali viene ridotto a [i] e [u]. Dato il peso quantitativo delle vocali finali, il computer non può assegnare il laconese a nessuna delle tre macro-varietà e anche questo caso assegna il dialetto in questione a un gruppo separato dagli altri. In altri termini, il computer, che si basa soltanto sulle distanze reciproche tra varietà anche nel caso di una suddivisione sommaria del sardo in 5 varietà, individua subito varietà intermedie che non si lasciano ricondurre a nessuna delle 3 varietà principali. Le tre macro-varietà invece sono caratterizzate dalle diverse combinazioni possibili dei fenomeni fonologici della Riduzione Vocalica e della Lenizione Consonantica:4 entrambi questi fenomeni comportano la modifica di un gran numero di fonemi e hanno quindi delle importanti conseguenze quantitative. Nel campidanese sono presenti entrambi i fenomeni, nel nuorese sono entrambi assenti e nel logudorese è presente solo la Lenizione. Si veda la Tabella 1 che schematizza la situazione: Tabella 1 varietà riduzione lenizione campidanese+ + nuorese - - logudorese - + Per esemplificare la situazione, si possono fare gli esempi seguenti: in campidanese è presente la coppia di forme lat#56256;#56321;i/pa#56256;#56323;u; in nuorese la coppia lat#56256;#56321;#56256;#56322;/paku e in logudorese quella lat#56256;#56321;e/pa#56256;#56323;u. Semplificando parecchio, si può dire che le tre macro-varietà sono riconducibili a tre diversi gradi di innovatività: è altamente innovativo il campidanese (e certamente il campidanese vero e proprio, quello centrale); è moderatamente innovativo il logudorese 4 La Lenizione è un fenomeno che comporta la parziale assimilazione di una consonante alla vocale che precede. In quasi tutti i dialetti del sardo in cui è presente, questo comporta che una plosiva sorda ([p], [t], [k] e, nel sardo meridionale, [t#56256;#56324;]) si trasforma nella fricativa sonora corrispondente ([#56256;#56322;], [#56256;#56321;], [#56256;#56323;], [#56256;#56325;]). (anche se quello settentrionale presenta tutta una serie di innovazioni esclusive di quella varietà); è scarsamente innovatico il nuorese-baroniese, anche se, come mostrato in Bolognesi & Heeringa (2005), non lo si può certo definire “arcaico”. Data questa situazione, le differenze lessicali (il fatto che in varietà diverse si trovino parole diverse) e quelle morfologiche giocano un ruolo limitato. In effetti il lessico e la morfologia di tutti i dialetti sono fondamentalmente omogenei (circa l’80% dei lessemi sono gli stessi) e le differenze che si incontrano sono limitate piuttosto ad aree più ristrette di quelle rappresentate nella Cartina 6. Inoltre è chiaro che le aree di diffusione dei vari lessemi e morfemi non coincidono necessariamente con le aree definite dalle isoglosse relative ai fenomeni fonologici. Per esempio, il morfema dell’imperfetto dei verbi che deriva direttamente dalla desinenza latina -ba- è diffuso, se si segue però il percorso che passa per i monti del Nuorese, ininterrottamente dalla Sardegna meridionale fino ad Orune (es.: kirka#56256;#56322;at[a]).5 A Ghilarza, molto più meridionale e occidentale, si trova già il morfema dell’imperfetto tipico delle varietà settentrionali (es.: krik:aia#56256;#56321;[a]), e questo malgrado l’ insieme del ghilarzese sia molto più vicino ai dialetti meridionali di quanto non lo sia il dialetto eccentrico di Orune. A livello lessicale, troviamo che il verbo giai ‘dare’, compare già nei dialetti “campidanesi” più settentrionali e sostituisce la forma donai presente nel resto della Sardegna meridionale. La forma d#56256;#56322;ai costituisce una variante del centro-settentrionale dar#56256;#56321;/dzar#56256;#56321; presente nel resto dei dialetti sardi. La forma d#56256;#56322;ai convive, nei dialetti campidanesi in cui è presente, con tutte le altre forme tipiche del campidanese centrale, sia a livello lessicale, che fonologico e morfologico. Quest’ultimo fatto implica che, essendo, meno sistematiche, le differenze lessicali e morfologiche hanno statisticamente un peso inferiore rispetto a quelle fonologiche. Dato che la loro distribuzione è più irregolare di quella dei tre fenomeni fonologici che abbiamo appena visto, queste differenze determinano piuttosto l’estensione di sub-aree più ristrette, all’interno delle macro-varietà. Si confrontino per esempio la distanza tra idialetti di Abbasanta e Atzara dovuta all’insieme dei fenomeni (lessico e fonetica) e quella dovuta esclusivamente alla fonetica: Abbasanta-Atzara (fonetica): 7,02% Abbasanta-Atzara (totale): 10,57% Come si può vedere la distanza tra i due dialetti è quasi interamente dovuta a fenomeni fonetici. A sua volta, questo significa che, come sostenuto in diverse occasioni (Bolognesi 1998, 1999, 2001), le differenze più rilevanti tra le macro-varietà del sardo sono da attribuire alla fonetica e quindi alla pronuncia diversa di forme fondamentalmente identiche. 2.4 Suddivisione in 8 varietà Il passo successivo dell’analisi è consistito nel richiedere al computer di suddividere i dialetti sardi in 8 varietà. Questo, come si può vedere dalla Cartina 7, ha comportato un rifinimento sostanziale della suddivisione precedente, giungendo a una ripartizione dei dialetti molto più simile a quella rappresentata dalla Cartina 5, in cui i dialetti sono rappresentati individualmente: 5 Si tenga presente, però, che nei dialetti meridionali la B della desinenza latina –ba è sparita e il morfema appare adesso solo come A accentata negli imperfetti della prima coniugazione (es.: andàt #56256;#56321; andaat #56256;#56321; andabat), come risultato della fusione delle due A adiacenti. Negli imperfetti delle altre due coniugazioni troviamo la stessa A priva di accento (es. dromíat; bolíat). Cartina 7: Cartina dialettologica con suddivisioni in 8 aree Oltre a distinguere, nel sardo meridionale, tra dialetti centrali (quelli propriamente campidanesi), ricchi di innovazioni, e il resto dei dialetti meridionali più conservatori (iglesiente-sulcitano, ogliastrino, cagliaritano, sardo del Sarrabus e dialetti limitrofi), il computer ha separato i dialetti nuoresi-baroniesi da quelli della Barbagia di Ollolai, contraddistinti in termini qualitativi, questi ultimi, dal fenomeno del colpo di glottide, che sostituisce la [k]. Inoltre, cosa decisamente rilevante ai fini di questa ricerca, ha distinto tra dialetti e sub-varietà logudoresi, da un lato, e, dall’ altro, una fascia estesa di dialetti intermedi compresi geograficamente e linguisticamente tra Logudoro linguistico, Barbagia di Ollolai, Campidano centrale e Ogliastra. In termini di regioni storiche, questa fascia linguistica di Mesania comprende il Guilcer, il Barigadu, il Mandrolisai e la Barbagia di Belví. Virdis (1995), per esempio, ha indicato questa varietà come “Arborense”, separandola nettamente dal logudorese. Come si vede, è bastato dare al computer l’ indicazione di distinguere tra 8 varietà del sardo per arrivare, se si escludono i casi speciali di Seneghe e di Laconi, ad individuare 6 varietà naturali e internamente omogenee del sardo. Una di queste varietà, ben distinta sia dal logudorese centrale che da quello settentrionale, come anche dalle altre varietà, si pone come varietà intermedia tra tutte le altre, soprattutto se si tiene conto dello squilibrio quantitativo provocato dalla sovrabbondanza di vocali medie (e di fenomeni ad essa strettamente collegati in fine di parola), rispetto alle corrispondenti vocali alte (e all’assenza delle consonanti) dei dialetti meridionali. In altri termini, se si esclude la distanza provocata questi fenomeni medie nei dialetti di Mesania, questi risultano molto vicini ai dialetti meridionali. Per verificare quest’affermazione, basta tornare alla Cartina 4 e vedere che il numero di isoglosse che definisce qualitativamente i dialetti di Mesania è grosso modo uguale in tutte le direzioni. 2.5 Suddivisione in 12 varietà La successiva suddivisione dell’area sarda in 12 varietà comporta tutta una serie di risultati interessanti. Innanzitutto l’individuazione di un altro dialetto/varietà-a-se-stante: quello di Nureci. Questo porta a 3 il numero di dialetti non automaticamente inquadrabili in una delle 3 macro-varietà riconosciute e riduce quindi a 9 il numero di varietà propriamente dette. Un numero analogo di varietà è già stato proposto, per esempio, in Contini (1993). Si veda la Cartina 8: Cartina 8: Cartina dialettologica con suddivisioni in 12 aree
Le ulteriori separazioni riguardano il |
musthayoni |
Inserito il - 03/05/2010 : 10:02:40 | Donovan ha scritto:
| musthayoni ha scritto:
. Turritano .. Robur .. Donovan .. Giuseppe .. avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .. classificata secondo le diverse varianti linguistico-dialettali esistenti nell'isola .. per conoscerne meglio l'incidenza distributiva ? .. è probabile che ne abbiate già parlato .. ma io al momento non ne ho conoscenza .. grazie e ciau ..
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C'è una ricerca finanziata dalla Regione: "Le lingue dei sardi - Una ricerca sociolinguistica" (http://www.regione.sardegna.it/docu...10134456.pdf)
Il problema insito in questa ricerca sta semplicemente nel classificare le varianti; essendo la lingua sarda un continuum senza soluzione di continuità qualunque raggruppamento dei dialetti è soggettivo e quindi a-scientifico.
Per questo motivo i risultati sono distorti in partenza: il sardo viene grossolanamente diviso in due sulla sola base dell' articolo determinativo plurale (SOS/SAS vs IS) <<per esigenze di semplificazione>>.
Questa assoluta mancanza di correttezza metodologica rende di fatto inservibili le cifre, dato che mettono sullo stesso piano la città di Cagliari con l' Ogliastra o quella di Olbia con la Baronia.
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.. Donovan grazie per la segnalazione .. e cmq mi meraviglia che una studiosa seria come la Oppo .. sia incorsa nelle incongruenze che tu segnali ... vanificandone per certi aspetti l'attendibilità?!!!!!!!!
... e cmq farò stampa del documento .. per visonarlo attentamente .. ciau .. |
musthayoni |
Inserito il - 03/05/2010 : 09:57:55 | Giuseppe ha scritto:
| musthayoni ha scritto:
. Turritano .. Robur .. Donovan .. Giuseppe .. avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .. classificata secondo le diverse varianti linguistico-dialettali esistenti nell'isola .. per conoscerne meglio l'incidenza distributiva ? .. è probabile che ne abbiate già parlato .. ma io al momento non ne ho conoscenza .. grazie e ciau ..
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Potrei sbagliarmi, ma mi pare di ricordare il rapporto (o relazione o studio) di Bolognesi. Mi pare di averlo letto e (forse) di averne una copia. Ti può essere utile? Saluti Giuseppe
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.. ciau .. purtroppo non dispongo di quel rapporto. Bolognesi è stato per ben due volte ospite in paese per relazionare sulle problematiche della lingua in generale .. e della parlata sestese con le sue varianti nello specifico .. da lui studiata molto accuratamente. Ricordo che parlò anche della distribuzione delle diverse varianti ... ma non ho dati al riguardo. .. Giusè se vuoi essere così gentile da riassumere e postare qualcosa al riguardo ... ti ringrazio in anticipo ..
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Giuseppe |
Inserito il - 02/05/2010 : 15:58:34 | Donovan ha scritto:
| musthayoni ha scritto:
. Turritano .. Robur .. Donovan .. Giuseppe .. avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .. classificata secondo le diverse varianti linguistico-dialettali esistenti nell'isola .. per conoscerne meglio l'incidenza distributiva ? .. è probabile che ne abbiate già parlato .. ma io al momento non ne ho conoscenza .. grazie e ciau ..
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C'è una ricerca finanziata dalla Regione: "Le lingue dei sardi - Una ricerca sociolinguistica" (http://www.regione.sardegna.it/docu...10134456.pdf)
Il problema insito in questa ricerca sta semplicemente nel classificare le varianti; essendo la lingua sarda un continuum senza soluzione di continuità qualunque raggruppamento dei dialetti è soggettivo e quindi a-scientifico.
Per questo motivo i risultati sono distorti in partenza: il sardo viene grossolanamente diviso in due sulla sola base dell' articolo determinativo plurale (SOS/SAS vs IS) <<per esigenze di semplificazione>>.
Questa assoluta mancanza di correttezza metodologica rende di fatto inservibili le cifre, dato che mettono sullo stesso piano la città di Cagliari con l' Ogliastra o quella di Olbia con la Baronia.
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Tanto per capirci: il sito della Regione indicato (nel quale non riesco a entrare!) corrisponde allo studio o rapporto di Bolognesi? In questo caso, valgono per Bolognesi le stesse osservazioni critiche? Grazie Giuseppe |
Donovan |
Inserito il - 02/05/2010 : 15:00:34 | musthayoni ha scritto:
. Turritano .. Robur .. Donovan .. Giuseppe .. avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .. classificata secondo le diverse varianti linguistico-dialettali esistenti nell'isola .. per conoscerne meglio l'incidenza distributiva ? .. è probabile che ne abbiate già parlato .. ma io al momento non ne ho conoscenza .. grazie e ciau ..
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C'è una ricerca finanziata dalla Regione: "Le lingue dei sardi - Una ricerca sociolinguistica" (http://www.regione.sardegna.it/docu...10134456.pdf)
Il problema insito in questa ricerca sta semplicemente nel classificare le varianti; essendo la lingua sarda un continuum senza soluzione di continuità qualunque raggruppamento dei dialetti è soggettivo e quindi a-scientifico.
Per questo motivo i risultati sono distorti in partenza: il sardo viene grossolanamente diviso in due sulla sola base dell' articolo determinativo plurale (SOS/SAS vs IS) <<per esigenze di semplificazione>>.
Questa assoluta mancanza di correttezza metodologica rende di fatto inservibili le cifre, dato che mettono sullo stesso piano la città di Cagliari con l' Ogliastra o quella di Olbia con la Baronia.
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Giuseppe |
Inserito il - 02/05/2010 : 11:15:58 | musthayoni ha scritto:
. Turritano .. Robur .. Donovan .. Giuseppe .. avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .. classificata secondo le diverse varianti linguistico-dialettali esistenti nell'isola .. per conoscerne meglio l'incidenza distributiva ? .. è probabile che ne abbiate già parlato .. ma io al momento non ne ho conoscenza .. grazie e ciau ..
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Potrei sbagliarmi, ma mi pare di ricordare il rapporto (o relazione o studio) di Bolognesi. Mi pare di averlo letto e (forse) di averne una copia. Ti può essere utile? Saluti Giuseppe |
musthayoni |
Inserito il - 02/05/2010 : 10:53:04 . Turritano .. Robur .. Donovan .. Giuseppe .. avete per caso una distribuzione geografica della popolazione .. con i relativi valori percentuali .. classificata secondo le diverse varianti linguistico-dialettali esistenti nell'isola .. per conoscerne meglio l'incidenza distributiva ? .. è probabile che ne abbiate già parlato .. ma io al momento non ne ho conoscenza .. grazie e ciau .. |
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