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Nota Bene: Nella Sala Nuragica del Museo Sanna di Sassari si trova la prima attestazione diretta della filatura in Sardegna. Da S'Adde 'e s'Ulumu - Usini provengono vaghi di collana in bronzo, di età nuragica , che conservano i residui di una cordicella di fibre vegetali filata a più capi.



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 Piccola grande Nuoro (di Furfuraju)

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
furfuraju Inserito il - 08/08/2007 : 08:21:32
Invitato da adelasia ad intervenire in questa sezione del forum e solleticato dall’orgoglio, mi son chiesto in che modo partecipare. Ho scritto, in passato, poesie in italiano e anche una in francese (mai in sardo e mi spiace). Ma son cose andate, da tenere per me, segrete. E, poi, non mi rappresentano come sono oggi. Mi sembrerebbe di fare una scopiazzatura, un plagio nei confronti di me giovane, a volerle proporre qui. Né, in questo tempo, mi viene alcun estro poetico. Mi son detto, invece, che ho molte cose da raccontare, fatti di quand’ero bambino, di quando Nuoro era ancora una bidda, nonostante si fregi dell’appellativo di “città” da quasi due secoli.
Come ha scritto Albertina, “i ricordi dell’infanzia sono sacri” e “tornare a questo mondo è (…) come tornare a casa dopo un lungo viaggio”.
Ma come raccontarli?
I ricordi si agitano nella mia memoria confusi, lacunosi, filtrati dalla maturità dell’età avanzata. Timorosi di farsi avanti. Sono fatti che riguardano me, la mia infanzia, ma coinvolgono parenti e personaggi che magari non vogliono essere riconosciuti.

Ricordate l’inizio di “Piccolo grande uomo” in cui un Dustin Hoffman (70 anni oggi ) sapientemente truccato interpreta un vecchio di 121 anni che - dice lui - è l’unico superstite della battaglia di Little Big Horn e racconta la storia della sua vita ad un giornalista che si presenta con un magnetofono per intervistarlo?

Ecco, fate conto che, fra sessant’anni o più, io mi metta davanti ad una webcam e cominci a raccontare, a spizzichi e bocconi, la mia vita su YouTube… Sedetevi comodi, collegatevi e seguite una storia in parte vera e in parte frutto della fantasia e delle divagazioni di un ultracentenario rimbambito.

Pronti? E allora…

- Fa girare quel coso e stai zitto!

CAPITOLO I – Chissà dov’era casa mia.

I cavalli dei Carabinieri erano stupendi. Era la prima volta che li vedevo là, nel cortile della caserma Mameli, e mi sembrava di assistere ad uno spettacolo del circo equestre. Anzi di più, perché la visione dei militari sui loro destrieri mi sembrava qualcosa di proibito, da spioni indiani sul sentiero di guerra e, dunque, da osservare stando bene attenti a non farsi scorgere.

Con cinque o sei compagni di scuola avevamo costituito una squadretta di vagabondi che, in quella primavera dei nostri dieci anni, andava esplorando i dintorni di Nuoro. Allora c’era un solo istituto elementare ed ognuno di noi abitava in una zona diversa. Chi era esperto di un vicinato si incaricava di fare da guida agli altri, ma le nostre incursioni non si limitarono mai ai posti conosciuti i quali servivano, invece, solo come base di partenza per esplorare le campagne circostanti.

Lì, a Sant’Onofrio, nel boschetto di pini soprastante la caserma, ci eravamo già stati ed avevamo vissuto un momento drammatico perché una banda di ragazzini del luogo ci aveva notato nei nostri giri e ci aspettava al varco per tenderci un’imboscata. Cercarono di sconcarci a sassate, ma le nostre gambe furono più veloci delle loro pietre e non ebbero il tempo di aggiustare la mira.

Quando, dopo alcuni giorni, tornammo, avevamo le tasche dei calzoncini colme di ghiaia prelevata dal vicino cantiere del tribunale e non ci facemmo sorprendere. Rispondemmo colpo su colpo spostandoci velocemente tra gli alberi e, non so loro, ma noi ne uscimmo indenni o quasi. Comunque sia andata per le loro teste, dopo la prova di forza ci lasciarono in pace e fummo liberi di circolare nel loro territorio, sebbene rimanessimo a reciproca distanza di sicurezza.

Anche se Sant’Onofrio rimaneva il luogo preferito per le nostre scorribande, la voglia di scoprire nuove frontiere ci portò a Biscollai e a Tanca Manna e ci spinse presto verso il monte Ortobene, la Solitudine, Borbore… e Caparedda.
Un luogo incantato, una pozza d’acqua limpida tra gli alberi in cui si poteva trovare refrigerio dopo la camminata lungo un sentiero aspro e fiancheggiato da rovi che lasciavano il ricordo delle loro spine sulle nostre gambe nude.

Un giorno salimmo fin su, al Redentore, dove già ero stato, ma solo con la corriera - il postalino lo chiamiamo noi - o con la vecchia “Balilla” di mio zio, e fu facile arrivarci. Non so come, in poco tempo ci trovammo in cima senza fatica, senza stanchezza, senza affanno alcuno. Ma si era fatto tardi. Il sole, a ponente, indugiava ancora dietro alcune nubi basse sull’orizzonte, disegnando nel cielo terso una raggiera cangiante, ma, in breve, il buio ci avrebbe impedito di ritrovare i sentieri della scorciatoia. Uno di noi, ardito, disse di conoscere una via ancora più rapida e, senza attendere, si lanciò lungo il pendio in una corsa sfrenata. Gli stemmo dietro, fiduciosi e incoscienti. Quasi volando venimmo giù a precipizio, tra l’erba alta, saltando i cespugli e le pietre più grosse, incuranti delle punture dei cardi, liberi e felici.

Qualche giorno dopo, ci ritrovammo di nuovo a Sant’Onofrio e ancora una volta indugiammo fin verso il tramonto. Così, desiderosi delle nostre case e della cena e del riposo, riprendemmo il volo: come avevamo fatto sul monte… Daiiii! …e giù per la china. C’era una pozza d’acqua davanti a me, nascosta tra l’erba. Io avevo intuito il pericolo perché sapevo che c’era, salendo ci eravamo fermati a lanciare sassi nell’acqua, ma non potevo arrestare la corsa e credevo, nella foga, di superarla con un balzo prodigioso. Vi caddi dentro, naturalmente, e una fitta lancinante al polso sinistro mi fece, per quello che mi parve un attimo, perdere i sensi.

Non so come, arrivai a casa che imbruniva e vi trovai mio padre, ché mia madre, trepidante per l’insolito ritardo, era andata a cercarmi dai parenti. Babbo, brusco ed accigliato, mi fece lavare e cambiare, ma non mi toccò con un dito, anche se le punizioni corporali erano di sua competenza.
Mamma, addetta ai rimproveri verbali, mi trovò già ricomposto e pronto per la cena ed evitai, per una volta, una lavata di testa da parte sua. Per tre giorni e più, il dolore al polso fu tremendo da sopportare. Ogni minimo movimento mi dava la scossa, ma fui abile a dissipare ogni possibile sospetto e non dissi mai niente della storta, finché il dolore si attenuò e scomparve.

Quella fu la stagione della mia emancipazione. Avevo scoperto che il mondo, al quale avevo diritto e che poteva appartenermi, era più grande di casa mia, del cortile e del vicinato. Eppure avevo già visto il mare e Cagliari e Roma, ma vi ero stato in viaggio con i miei, legato ad essi, nella sicurezza della protezione familiare.

Quando, diversi anni dopo, mio padre raccontò qualcosa della sua infanzia, per esempio di quando andava a impojare a Caparedda, capii perché, quella sera, non si era levato la cinghia.


Prossimamente (se gradito):

CAPITOLO II – Quel bambino che giocava in un cortile.



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coltivo una rosa bianca...
15   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Albertina Inserito il - 30/10/2007 : 22:24:11
Mi era sfuggito questo post e va' sicuro che non succederà mai più. Perché veramente i tuoi scritti sono carichi di vita. Li leggerò tanto volentieri.
E poi, davvero, troppo onore per me che mi hai citato nell'introdurre i tuoi ricordi.
Ti ringrazio di cuore.
Adelasia Inserito il - 30/10/2007 : 22:19:37
furfuraju ha scritto:
Ho esitato a lungo, prima di postare questa storia. In questo forum ci si rilassa, ci si diverte. Non sapevo se era il caso di raccontare una storia triste..


Era il caso: perchè in questo forum ci si rilassa, ci si diverte....ma ci fa anche pensare, riflettere, conoscere, apprezzare. E leggere spendide pagine come le tue, che dosi come un abile farmacista, che non si sfogliano mai inutilmente.
Tranquillo Inserito il - 30/10/2007 : 22:08:39

Bentornato.... cominciavano a mancarmi i tuoi dipinti a pastello !!!!






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(Se non fossi Tranquillo, molto probabilmente sarei un altro)
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mekieddu Inserito il - 30/10/2007 : 14:26:49
bellissimi racconti
carol Inserito il - 30/10/2007 : 13:08:47
bravo furfuraju!!!

carol

Monteferru Inserito il - 30/10/2007 : 12:58:13
Bravo furfuraju.

Maurizio
furfuraju Inserito il - 30/10/2007 : 12:49:39
Chiamiamolo Boboreddu…

- Ciao, Ugo!
Il saluto risuonò così, nell’aria silenziosa di quel mattino, senza preavviso di alcun genere.
Sentendomi chiamare per nome risposi: - Ciao!
E solo dopo mi voltai verso la voce che veniva dal basso. Lo riconobbi e, con la mano, gli feci un gesto interrogativo chiedendo: - Ite bi faches inoche?


Si chiamava, diciamo, Boboreddu e “nos binchiat” (ci superava di) quattro o cinque anni. Il fatto che a quasi quattordici anni fosse ancora in quarta elementare, la diceva lunga sul suo curricolo scolastico, ma era tutt’altro che stupido. Aveva un fisico smunto, ma ben formato, e acuti occhi da furetto. Chissà quali vicende familiari aveva passato per ritrovarsi, lui, già adolescente, con dei bambini di nove anni. Capivo che stava a scuola per il caparbio interessamento del mio maestro che, evidentemente, sperava di aiutarlo a trovare una strada per uscire da una vita disgraziata.

In classe, quando c’era, si comportava bene, seguiva le lezioni e non dava fastidio. Però, a volte, non veniva affatto oppure veniva a scuola, ma, prima che la campanella ci chiamasse per entrare in aula, lui spariva e restava fuori a vagabondare. Ricordo che un pomeriggio, mentre in cortile aspettavamo di entrare, ci stupì tutti saltando un muraglione alto tre volte lui (quattro volte me, quasi): scavalcò il parapetto e puntando i piedi su uno stretto cornicione si diede lo slancio per allontanarsi dal muro e atterrare sulle punte dei piedi quattro metri più in basso. Ritornò su, lo rifece e, poi, corse via verso i campi.

Un giorno si presentò al maestro offrendogli un gentile omaggio: una “frunzitta”, un lungo ramoscello di non so quale albero, molto flessibile e liscio, denudato della corteccia. Il maestro ringraziò Boboreddu e accettò la bacchetta, la fece vibrare e sibilare nell’aria, poi la ripose, nascosta, dietro la cattedra e, evidentemente (perché non la vedemmo più), alla fine dell’orario la portò via.

Boboreddu ebbe il suo momento di gloria e di potere quando il maestro, dovendo lasciarci per una buona mezz’ora, lo mise a far da capoclasse col compito di scrivere alla lavagna i “buoni” e i “cattivi”. I primi cinque minuti li passammo studiandoci… Lui in piedi davanti alla lavagna col gessetto in mano, pronto a scrivere, ci guardava con occhi penetranti… Noi seduti nei nostri banchi facevamo finta di leggere il sussidiario e, al più, scambiavamo qualche parola con i compagni vicini, prima in sussurri e via via alzando la voce, guardandolo in tralice per capire le sue intenzioni… Quando ci parve che fosse innocuo e che anche lui non vedesse l’ora di far cagnara, cominciammo ad alzarci, a gridare, a lanciarci palline di carta, a darci spintoni e così via. Boboreddu lasciò che ci scatenassimo, ma, quando nessuno più badava a lui, proruppe: - Ebbeh! A che l’accabbaes!?!
Al suo grido ci fermammo e, ad uno ad uno, ci sedemmo. Segnò a dito i più turbolenti: - Tue… e tue… e tue… Si volse verso la lavagna, ma, subito, si girò ancora verso la classe, stringendo gli occhi ci squadrò con uno sguardo furente e, ruotando il braccio in un gesto teatrale che tutti ci comprendeva, disse: - Tottu a su mastru… Tottu a su mastru li naro…
Poi si mise ad andare avanti e indietro, misurando l’aula a grandi passi, per tutta la larghezza, senza perderci di vista, così che ciascuno si sentiva addosso quegli occhi. Eravamo come ipnotizzati e rimanemmo muti per un buon quarto d’ora. Il maestro ci trovò così, silenziosi e tranquilli, e Boboreddu incassò una lode.

Io ero tra i primi della classe e, in qualche occasione, avevo aiutato Boboreddu nella risoluzione di un problema, guadagnandomi la sua stima e la sua riconoscenza.
L’anno seguente non era più in classe con me e non so se riuscì mai a finire le elementari. In verità non so neanche se passò la quarta perché, nonostante non fosse affatto scarso, dopo le vacanze pasquali le sue assenze si moltiplicarono. Né ebbi il coraggio di chiederglielo quando, dodici anni dopo, un conoscente comune lo chiamò a bere una birra con noi e ci “presentò”. Lui fu più veloce di me a ricordare, eppure io ero molto cambiato - stavo per partire per il servizio militare - mentre lui era rimasto più o meno come allora. Tirava a campare facendo qualche giornata di manovale o scaricando cassette al mercato.

Dopo la naia lo rividi, di sfuggita, un paio di volte.
Un saluto veloce:
– Ciao Boborè!
– Ciao, Ugo!

- Ciao, Ugo!
Quando udii il saluto, avanzavo sul camminatoio esterno che dalla sezione penale conduceva al braccio dei detenuti in attesa di giudizio. Davanti mi faceva strada una guardia carceraria e dietro avevo un impiegato della Direzione che mi accompagnava nel sopralluogo. Io guardavo il tetto in alto - ero lì per quello - e non mi ero accorto che sotto di noi, negli stretti cortili dell’aria per i detenuti in isolamento, ci fosse qualcuno. Quando, d’istinto, risposi al saluto e mi fermai un attimo per chiedergli che ci facesse lì, Boboreddu rispose con un sorriso triste, alzando le spalle e allargando le braccia (solo in seguito seppi che era stato arrestato per un fatto molto grave). Poi, proseguendo, sentii il bisogno di giustificarmi con i miei accompagnatori, dicendo loro che eravamo stati insieme alle elementari. Probabilmente qualcuno verificò la cosa, perché, anche se in quei primi anni ’70 “Badu ‘e Carros” non era ancora diventato il supercarcere da 41 bis, non vi si entrava comunque facilmente e, invece, tornai ancora, per il tetto e per altri lavori.

Non vi dirò di quale reato era accusato Boboreddu, nè come andò a finire il processo. I giornali ne parlarono, ma non volli leggere gli articoli.



Ho esitato a lungo, prima di postare questa storia. In questo forum ci si rilassa, ci si diverte. Non sapevo se era il caso di raccontare una storia triste. Mi son deciso dopo che ho letto, nelle cronache di questi tempi, cose truculente, giudizi trancianti, espressi sull’onda di emozioni forti, per il piacere del sensazionalismo e per aumentare la tiratura.
Ma ho letto anche di Soffiantini e di Farina. http://www.unionesarda.it/Dettaglio...tentId=14908

“…se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo.” Cantava De Andrè.


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coltivo una rosa bianca...
skywalker57 Inserito il - 05/09/2007 : 18:28:14
Belli i racconti complimenti...dei quadri fatti con le parole


La forza sia con te
Ela Inserito il - 05/09/2007 : 18:26:07
Sono rientrata da poco dalla Sardegna ed ancora sto cercando di mettermi al passo con le discussioni nate nel frattempo. Solo oggi ho trovato questo post bellissimo. Ho letto le tre storie tutte d'un fiato....Bellissimi racconti!!!! Si leggono con piacere e con facilità!!!!! Aspetto il prossimo!!!!!!



Mezus terra senza pane, que terra senza justitia
Adelasia Inserito il - 05/09/2007 : 17:17:55
Ma non sono finite le ferie??? Si attende il prossimo (sicuramente accattivante) capitolo....Grazie!
furfuraju Inserito il - 30/08/2007 : 07:02:09
Vabbè! Sarà l'aria, sarà un virus... Ma la verità è che sono stato contagiato da voi, scrittori paradisolani: Albertina, Tranquillo, Francesco, Janaruia ecc. ecc.

Una volta ho scritto un romanzetto giallo, ambientato in America, ma è stato bocciato perchè "in stile anni cinquanta".

Senza l'incoraggiamento, vostro e di Adelasia, non avrei saputo neanche cosa scrivere...

Grazie, una rosa a tutti...

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coltivo una rosa bianca...
carol Inserito il - 29/08/2007 : 17:40:06
beh......hai ragione è tutta colpa dell'aria!!!!!!!!
annika Inserito il - 29/08/2007 : 17:32:02
Grazie Ugo... Grande,Grande.
Ho il sospetto che sia l'aria di Nuoro..... e dintorni...
A cominciare dalla Deledda,continuando con Marcello Fois , Niffoi ecct...

Per me c'e' un virus in zona !!!!

Complimenti....

A SI BIRI !
Tranquillo Inserito il - 29/08/2007 : 17:19:43
Rientro dalle ferie e cosa mi tocca leggere....

furfuraju, ma sei impazzito????

Speriamo non ci siano bambini che leggono quanto hai scritto:

perchè turbare i loro animi puri con racconti devianti,

in cui parli di giochi all'aria aperta, di corse sfrenate fautrici di escoriazioni,

di sincera amicizia e complicità, di conquista della libertà....

Non vorrai mica distoglierli dalla sana visione dei cartoni giapponesi

o dei reality o dal gioco solitario alla PlayStation?????

E i poveri genitori? Non pensi a loro?

Perchè vuoi farli preoccupare che i figli si "ematomino"????

No, no, proprio non ci siamo.....

Propongo ai moderatori di eliminare questa discussione....

non prima però, di avermi dato il tempo di copiare quanto scritto da furfuraju

in modo da leggerlo, leggerlo e rileggerlo...lontano però da indiscreti occhi infantili!!!!

P.S. - A quando il prossimo racconto?
carol Inserito il - 29/08/2007 : 16:41:42
sembra di vederla......tzia menedda!!!!.......bravo

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