V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
musthayoni |
Inserito il - 15/12/2009 : 17:20:01 ... siamo ormai prossimi al Natale .. Paskiscedda .. in sardo campidanese .. e già vedo e leggo fervori in ogni dove .. che mi riportano indietro nel tempo. Qualche anno fa .. quando ero più tranquillo e meno pregno di impegni e problemi vari .. scrissi qualcosa che venne pubblicata in una rivista di tradizioni popolari sarde. Il contenuto è abbastanza lungo .. ma se avete voglia e tempo .. dategli uno sguardo .. e poi ne riparliamo ... (vi risparmio le fonti bibliografiche contenute nel medesimo)
CREDENZE E USANZE NATALIZIE NELLA SARDEGNA TRADIZIONALE
Per il mondo cristiano, ormai da duemila anni, l’antico processo di transizione legato al solstizio d’inverno coincide con le feste natalizie. Infatti, verso il 336 d. C. il giorno della Natività fu fissato il 25 dicembre, come anniversario della nascita di Gesù Cristo, partendo dalla data della “Pasqua Ebraica”, cioè dal presunto periodo di concepimento del Messia . Nella tradizione sarda, il Natale costituiva (ma è così ancora oggi, seppur con usi differenti rispetto al passato) un significativo momento di festa per quanto riguarda gli aspetti socializzanti. In particolare, il Natale era l’occasione ideale per ribadire e ripristinare la coesione del nucleo familiare, temporaneamente disgregato a causa delle numerose inderogabilità imposte dai vincoli derivanti dal mondo lavorativo, che si contrapponeva come momento alternativo alla quotidianità d’ogni giorno e quindi, come momento di rottura al tempo della produzione. Al riguardo, si pensi alla ricomposizione dei nuclei familiari dei pastori, durante la transumanza invernale, o anche, nell’attuale periodo socio-economico, al ritorno degli emigrati che in prossimità delle feste natalizie, affrontano lunghi viaggi, pur di trascorrere questa ricorrenza insieme ai loro cari . Secondo le consuetudini del passato, ma al riguardo possiamo sostenerlo pure per quelle attuali, il momento cardine che sanciva la ricomposizione di ciascun nucleo familiare e quindi, anche la ripresa dei contatti con gli amici lontani, era proprio la notte della Vigilia di Natale, definita dalla tradizione campidanese come: “sa nott’è xena”. Infatti, al calar della sera del 24 dicembre, in ogni paese le diverse famiglie si riunivano al caldo tepore del focolare domestico, in casa del più anziano componente del gruppo di parentela. In quest’occasione il caminetto rappresentava il centro delle attività di soggiorno di ciascuna famiglia e quindi, il punto di emanazione del calore necessario a mitigare le fredde temperature invernali, che rendeva più suggestivi l’ambiente festivo e l’attesa notturna, facendo acquisire alla “Notte di Natale” un non so che di magico e misterioso per rutti i congregati. Per questo motivo era consuetudine imbiancare anticipatamente la stufa per ardervi durante la Vigilia, un grosso ceppo appositamente tagliato e conservato per l’occasione, denominato: “su truncu de xena o cotzi(n)a de xena” , che doveva restare acceso per tutto il periodo festivo. E proprio accanto al piacevole tepore emanato dal fuoco l’intero gruppo familiare consumava in allegria un’abbondante e saporita cena, a base di porchetto , agnello o capretto arrosto, di frattaglie (sa tratalia e sa corda) o anche di formaggio e salsicce secche ottenute dal maiale allevato in casa e macellato anzitempo . Fino a pochi decenni or sono, quando ancora la povertà e la fame erano situazioni concrete del vivere quotidiano di tante famiglie, i giorni di festa come il Natale costituivano le uniche occasioni possibili per fruire di un pasto più ricco del normale. Non mancavano al riguardo le eccezioni, perché laddove le condizioni socio-economiche di talune famiglie erano veramente drammatiche, anche in queste circostanze il pasto era appena appena più abbondante di quello frugale d’ogni giorno e talvolta, privo addirittura del pane . Al riguardo, gli anziani ricordano ancora oggi come in passato la carne fosse una pietanza eccezionale che non tutti si potevano permettere e di cui si usufruiva soltanto in situazioni particolari come le feste di Natale, Pasqua e qualche altra importante festività paesana. Tuttavia, contrariamente a quanto prima evidenziato circa la “Veglia di Natale” caratterizzata dall’abbondanza di cibi e bevande , diversi studiosi sottolineano come nel corso dell’Ottocento, nonostante “sa nott’è xena” fosse caratterizzata da un’aria di festosa letizia, il pasto della Vigilia fosse veramente frugale, giacché il digiuno per quella circostanza era una norma consolidata . L’abbondante consumo di cibi infatti, avveniva solo il giorno della festa vera e propria, ovvero il 25 dicembre e non pure la notte precedente il Natale, perché soltanto alla fine del XIX secolo si sviluppò l’usanza di consumare cibi abbondanti anche durante la Vigilia. Secondo questa consuetudine i preparativi per il “cenone” iniziavano già da alcuni giorni precedenti la “Notte Santa”, con la scelta e l’acquisto, in abbondanza, dei cibi e del vino da consumare. Al riguardo, la tradizione orale racconta come in quella circostanza il consumo di tutte le pietanze preparate diventasse un obbligo per tutti. E proprio per questo motivo, spesso e volentieri, si ammonivano i bambini a mangiare abbondantemente, altrimenti una terribile megera chiamata “Maria Puntaborru” (in alcuni paesi del Campidano) o “Palpaeccia” (in altri paesi dell’interno), avrebbe tastato il loro ventre durante il sonno e se questo fosse risultato vuoto, la strega avrebbe infilzato la loro pancia con uno spiedo appuntito, nel caso di Maria Puntaborru, oppure avrebbe messo sul loro stomaco una grossa pietra per schiacciarlo, in quello di Palpaeccia . D’altronde, prima che la televisione, con le sue immagini suggestive, modificasse irreversibilmente le antiche usanze praticate durante la veglia natalizia, simili storielle erano il fulcro principale dei diversi racconti che costituivano il vasto repertorio della tradizione orale, che vedeva come protagonisti incontrastati gli anziani di famiglia. Infatti, erano proprio loro i narratori che, attorno al fuoco, raccontavano ai componenti più giovani, le numerose storie che oscillavano tra il fantastico ed il reale o che riguardavano avvenimenti importanti del loro passato. In alternativa a questi racconti, il momento d’attesa era trascorso giocando con giochi tradizionali del genere a sorteggio e a scommessa, quali “su barrallicu” , “arrodedas de conca de fusu”, “punta o cù”, “cavalieri in potu”, “tòmbula”, “matzetu” e “set’è mesu in craru”, che accomunavano ancora una volta tutta la comitiva familiare, composta da adulti e bambini, in un unico insieme . Un altro passatempo molto in uso nel Campidano di Cagliari prima della messa natalizia era il tradizionale ballo sardo, che si svolgeva al suono delle launeddas e dell’organetto. Ogni comitiva infatti provvedeva a dotarsi di un suonatore privato, perché il “suonatore obbligato” era già impegnato dai giovani “de Sa Zerachia”, i quali pagavano a testa uno starello di grano, per avere uno zampognaro a loro disposizione e poter ballare in tutti i giorni festivi nelle pubbliche piazze . Con l’avvicinarsi della mezzanotte, tutti questi passatempi erano interrotti improvvisamente dai primi rintocchi delle campane, che avvisavano la gente dell’imminente inizio della “Messa di Natale”, denominata in sardo campidanese: ”Sa Miss’è Pudda”, ovvero la “messa del primo canto del gallo”, il cui termine, secondo gli studiosi, è di probabile derivazione catalana, poiché tra le tradizioni di Catalogna ricorre la cosiddetta “Missa del Gall” . Per la “Messa di mezzanotte” tutte le chiese venivano addobbate di una gran quantità di ceri, così come si desume dai registri contabili delle Cause Pie di vari paesi , che per l’occasione regalavano ai presenti una suntuosa cornice di splendore e luminosità. Per questo ogni chiesa si affollava di fedeli, perché la cerimonia religiosa oltre a sancire la solennità dell’evento della “Natività”, rappresentava per la gente anche un’occasione favorevole per ritrovarsi con gli amici, i conoscenti o altri parenti non presenti al cenone di famiglia e scambiarsi tra la gaiezza collettiva gli auguri di Natale. Ma la messa costituiva anche un importante occasione per le donne gravide che custodivano una creatura nel proprio grembo, di compiere alcune pratiche magico-religiose e quindi, operazioni di tipo esorcistico necessarie a tutelare la nascita del loro bambino. La maggior parte delle donne infatti era convinta che se non avessero ascoltato la messa di mezzanotte, il prossimo nascituro sarebbe nato deforme, oppure avrebbe assunto sembianze animalesche . Del resto, anche a Sestu la memoria collettiva delle anziane del paese ci tramanda racconti che riprendono queste credenze e che io, personalmente, ho avuto modo di raccogliere durante le varie interviste che mi hanno rilasciato. In Passato quindi, si riteneva che, con la partecipazione della gestante alla “Messa di Natale”, al momento dell’elevazione del calice per la consacrazione del vino e dell’ostia, l’eventuale “mostro” che ella portava in seno si sarebbe trasformato in feto normale (“sa bestia si furrìada in cristia(n)u” . Al riguardo, proprio la tradizione orale sestese ricorda come una giovane venuta meno a quell’obbligo partorì un bambino deforme, il quale si trasformò immediatamente in un grande uccello nero che, prima di essere catturato ed eliminato, si mise a svolazzare pericolosamente per tutta la casa, gettando panico fra le varie persone presenti al parto . Questi racconti denotano gli aspetti più “arcani” della ricorrenza natalizia, che ci riportano a credenze antichissime legate ad un substrato religioso di origine pre-cristiana, così come si riscontra ancora dalle storie rilevate in molti paesi del Campidano di Cagliari, dove si credeva che i nati la notte di Natale avessero la particolarità di non perdere denti e capelli durante la vita e di mantenere il corpo incorrotto anche dopo la morte (chini nascidi sa nott’è xena non purdiada asut’è terra) , o nel Logudoro dove invece si riteneva che coloro che nascevano in quella notte, potessero preservare dalle disgrazie sette case del vicinato . D’altra parte, le donne che praticavano la divinazione e la magia bianca, cioè coloro che la tradizione sarda a seconda delle aree di appartenenza definiva: “bruxas” o “deinas”, quando sentivano approssimarsi la loro fine, preparavano alla successione un’altra persona di fiducia per trasmetterle conoscenza e poteri e di norma questo passaggio si effettuava soltanto nel periodo che intercorre tra Natale e l’Epifania . Diversamente a quanto esposto poc’anzi invece, l’atmosfera natalizia, l’alta concentrazione di gente che assisteva alla messa (ad eccezione delle donne in lutto che la notte restavano a casa e partecipavano alla prima orazione del giorno dopo) , e la generale animazione che coinvolgeva tutti diventava spesso fonte di baccano proprio durante lo svolgimento delle sacre funzioni. Molti giovani buontemponi infatti, soventemente “brilli” per aver “alzato il gomito” durante la cena, coglievano l’occasione per infrangere le regole imposte dalla solennità del rito, attraverso la messa in atto di scherzi (come quello di legare fra loro le frange degli scialli delle donne più anziane o di cucire fra loro le gonne delle più belle ragazze del paese) e battute che provocavano le risate improvvise delle persone più vicine. Ma, come più volte stigmatizzato dalle autorità ecclesiastiche, succedeva anche che i giovani si lanciassero tra loro gusci di noci, mandorle o scorze di mandarino, che tenevano appositamente nascosti nelle proprie tasche, oppure li lanciassero verso le ragazze più carine per molestarle, facendo allo stesso tempo apprezzamenti e battute su di loro . Se a tutto questo si aggiunge l’abitudine dei sardi di sparare archibugiate in segno di giubilo nei pressi dei portoni di chiesa dal principio alla fine della messa, o all’interno della stessa chiesa, come accade in occasione del Natale del 1878, quando all’ora dell’elevazione dell’ostia uno dei barracelli presenti al rito, sparò una schioppettata nel presbiterio, cosicché il parroco sbigottito dovette affrettarsi a finire le funzioni religiose prima dell’ora stabilita , ci si renderà conto della grande animazione che vigeva in quest’attesa ricorrenza. A proposito di queste usanze ed in particolare del chiasso provocato dai fedeli durante la “Messa di Natale”, eppure in coincidenza di cerimonie religiose legate ad altre festività, la Chiesa già dal lontano passato aveva sempre lamentato il perpetuarsi di questi inconvenienti. I Sinodi di Cagliari degli anni 1651 e 1695 ad esempio, davano indicazioni ben precise al Clero locale, affinché “... si vietino il chiasso e la gran confusione che si creano in chiesa in occasione delle grandi feste e ... le notti di Natale, Giovedì e Venerdì Santo, .. non si permetta il lancio di noccioline, nocciuole, dolci, ecc., ..... né si sparino archibugiate all’interno della chiesa, anche se per festeggiare il Santo. E se sarà necessario si invochi l’aiuto del braccio secolare per scongiurare questi eccessi” . L’esuberanza della gente però doveva essere molto difficile da sradicare se in tempi più recenti il Sacerdote Fonnesu di Sestu, nella relazione stilata in occasione della visita pastorale del 1902 effettuata dall’Arcivescovo in paese, sottolineava ancora come “ nelle chiese, al tempo delle sacre funzioni, i fedeli conversano, discorrono e fanno chiasso”, lamentando inoltre che “non si può riparare a tale inconvenienza di parlare e di commettere qualche altra irriverenza, ancorché avvertiti e predicate e spiegate le tremende parole del Vangelo”. In altri termini, sebbene un certo numero di persone partecipasse con estrema devozione e serietà alle “ritualità natalizie”, l’alta concentrazione di folla, l’atmosfera festiva e la generalizzata spensieratezza che si sprigionava dagli individui più giovani in occasione del Natale accentuava, come sottolinea M.M. Satta, i rapporti scherzosi fra la gente, originando una carica di sregolatezza che, in un certo qual modo, infrangeva sia la normale compostezza dei giorni feriali, sia l’ufficialità e la solennità di un rito, che la rigidità delle norme imposte dalle autorità ecclesiastiche pretendeva a tutti i costi, pena il ricorso al “braccio secolare” della Chiesa. Finita la messa, la maggior parte della gente se ne tornava a casa, mentre per strada restavano soltanto sparuti gruppi di “giovani avvinazzati” che, nell’oscurità della notte, continuavano i festeggiamenti, cimentandosi nei balli e in canti improvvisati o in taluni casi, lasciandosi andare in schiamazzi e grida d’ogni genere che cessavano soltanto alle prime luci dell’alba.
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15 U L T I M E R I S P O S T E (in alto le più recenti) |
musthayoni |
Inserito il - 12/01/2010 : 16:53:25 ... su questo fronte non c'è più mordente? .... |
musthayoni |
Inserito il - 11/01/2010 : 13:23:47 Un noto provverbio ricorda che “l’Epifania tutte le feste porta via” e così è stato anche quest’anno. Così potrebbe sembrare fuori luogo proseguire in questo momento con le tradizioni più prettamente correlate alla Befana .. visto che ci si avvicina a grandi passi al Carnevale .. ma siccome per vari motivi non l’ho fatto prima, perdonerete la mia perseveranza se lo faccio a posteriori .. sebbene il ciclo delle festività natalizie si sia concluso il 6 gennaio u.s.
Nei precedenti post, .. è stato già evidenziato che Babbo Natale, così come oggi lo conosciamo, è una creatura della Coca-Cola e con l’andare del tempo è diventato un’icona di consumo, che ha spodestato le figure tradizionali locali, in termini di personaggio dispensatore di regali durante le festività natalizie. Come sappiamo però, in passato i doni non arrivavano per Natale ma per l’Epifania. Iinfatti nella tradizione cristiana e cattolica il 6 gennaio è sempre stato legato all’arrivo dei Re Magi e quindi, ai doni portati al Bambinello Gesù. In Italia l’Epifania è celebrata come tante feste e usanze che ne riflettono i vari aspetti e che affondano le proprie radici in tradizioni di origine precristiane. Un tempo ad es. nei paesi rurali si credeva che la notte dell’Epifania fosse magica e che dopo il tramonto gli animali potessero parlare; cosicchè per evitare che spargessero maldicenze sui loro padroni e/o custodi, durante il giorno venivano governati senza risparmio e nutriti per bene. Come noto, in questa notte incantata era comunque uso comune far regali ai bambini proprio in ricordo dei doni che i Tre Re offrirono a Gesù, e a portarli era appunto la Befana, una figura esclusivamente nostrana che simboleggia “Madre Natura, giunta alla fine del suo ciclo vitale. Alle origini della festa dell’Epifania infatti, ci sono antichissimi riti pagani, che segnavano il passaggio delle stagioni, la riorganizzazione del tempo e la riorganizzazione di una nuova vita, in correlazione ad una funzione di tipo propiziatrice dell’evento. Per questo in molte località italiane, ma anche in taluni paesi della Sardegna, si usava e si usa bruciarla in piazza, sotto forma di fantoccio, come simbolo beneaugurale che prepara la terra al rinnovamento primaverile. Nella tradizione popolare la Befana è rappresentata da una vecchia brutta (la stria, la vecia) che vola di notte su una scopa come una strega, tenendo il manico davanti a sé, e scende per la cappa del camino, o passa attraverso il buco delle serrature delle porte, dispensando nelle calze o nelle scarpe dei bambini buoni doni e dolci, mentre in quelle dei monelli solo carbone. La Befana è un misterioso personaggio bivalente, una figura doppia, con dupplice funzione di strega buona, che premia i bambini buoni, e di strega cattiva, che distribuisce cenere e carbone. Nella simbologia, il caminetto rappresenta la continuità tra terra e cielo, tra mondo dei morti e mondo dei vivi. Il carbone invece, rappresenta il passato, e tutte le paure ancestrali legate all’abbandono e alla morte, al mondo degli spiriti e quindi, a ciò che non è direttamente controllabile dall’uomo. La distribuzione dei doni denota infine l’aspetto rassicurante, la speranza nell’ambito della riorganizzazione del tempo e della vita, e del resto lo stesso carbone, anch’esso comunque dato in dono, rappresenta pure l’energia latente della terra, pronta a rivivere col nuovo vigore solare. La Befana in Sardegna, viene segnalata come personificazione di introduzione relativamente recente e più assiduamente dai tempi del fascismo, in quanto il Regime l’incentivò in tutto il territorio nazionale (si ricordi la famosa Befana fascista, desumibile anche attraverso le delibere del Podestà) per fronteggiare proprio la diffusione del Babbo Natale, perché minava le tradizioni locali. In Sardegna infatti, l’usanza di portare i doni era delegata a is Tres Gurreys o ‘Urreys, ovvero ai Tre Re Magi, in ricordo dei tre doni offerti al Bambino per eccellenza, così come avveniva e ancora oggi avviene nella tradizione spagnola, con los Reyes Magos. E proprio una segnalazione orale contenuta nel 2° volume dell’Antologia delle Tradizioni Popolari della Sardegna, ne attesta ulteriormente la diffusione: … “In Sardegna, e in particolare nel Campidanese, la sera della vigilia dell’Epifania, a mezzanotte in punto, i Re Magi vengono, non so da quale luogo, a cavallo carichi di giocattoli, balocchi, gingilli, dolci per i bambini buoni, riserbando per i cattivi robe vecchie e brutte. Gli uni e gli altri perciò la sera, prima di andare a letto, mettono fuori, all’aperto, cestini ed altri recipienti per accogliervi ciò che staranno per lasciare i desideri dei Tre Re”. In seguito la Befana prese il sopravvento sulla credenza de “Is Tres Gurreys” e fino alla metà degli anni sessanta fu ancora Lei a portare i doni ai bambini, sebbene un altro personaggio dispensatore di regali, ad imitazione di un modello arrivato da fuori: Babbo Natale, pian piano ne ha soppiantato il ruolo, anticipando addirittura la data della distribuzione dei doni alla notte della vigilia di Natale (sa nott’è xena), che come si sa da noi in Sardegna aveva ben altra tradizione.
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musthayoni |
Inserito il - 04/01/2010 : 15:04:12 .. si Bizio .. oltre a sa corda e sa tratalia ... portate tipiche del periodo natalizio, ma non solo .. non era infrequente come già evidenziato l'uso di mangiare per l'occasione qualche gatto arrosto. Come si sa i gatti nel periodo di Natale sono grassi e quindi ritenuti appetibili da chi ne apprezza la carne. Il gatto solitamente si catturava il giorno prima della vigilia di Natale e/o Capodanno e dopo averlo ammazzato si eliminava prima la testa e poi dopo averlo scuoiato e sviscerato, veniva lavato con l'aceto o cosparso di sale ed appeso ad una trave per 24 ore. Prima di cuocerlo allo spiedo nel caminetto però veniva aromatizzato con un impasto a base di prezzemolo, aglio pomodori secchi, tutto tritato, con l'aggiunta di anice. Con la punta di un coltello infine si praticavano dei fori nella carne che venivano riempiti col predetto impasto a cui si aggiungeva un pezzetto di lardo oppure dello trutto. A quel punto si arrostiva per bene e la pietanza era pronta. Altre volte invece veniva cucinato alla cacciatora .. a succhittu ... e davvero ai poco esperti talvota veniva servito come coniglio .. all'insaputa dei poveri schizzinosi inconsapevoli che ne assaggiavano le carni .. convinti di mangiare una portata piuttosto che un'altra. Talvolta i più deboli di stomaco si alzavano velocemente dal tavolo .. mentre quelli più forti invece ne apprezzavano la carne ... seppur dopo aver lanciato tante imprecazioni e parolacce .. ai cuochi di turno... .. premetto cmq .. che il sottoscritto non ha mai assoggiato questa pietanza .. seppure qualcuno ha cercato di fargliela mangiare all'insaputa ... ma infine il sospetto ha prevalso alle moine ... e con ragione. Il frutto di queste conoscenze è peraltro frutto delle interviste a persone che hanno cucinato questa pietanza ... sia in tempi passati .. sia in tempi più recenti e vi assicuro che le storie ad esso correlate sono davvero tante .. a volte spassose .. a volte un po meno.
... si Babbo Natale .. così come lo conosciamo oggi .. vestito di rosso ... fu importato dagli americani .. e negli anni trenta del secolo scorso la Coca-Cola diede la veste rossa .. in comunanza ai colori della prodotto .. al Santa Klaus .. che vestiva invece di verde. Negli anni cinquanta poi .. ci fu la diffusione di massa ... ma su questo torneremo ancoa quando parleremo della Befana ......
... per concludere .. mi chiedo se davvero nessuno ha conoscenza di possibili mascheramenti e personificazioni del vecchio-nuovo anno per capodanno? .. su dai facciamo uno sforzo ... |
BizioFolk |
Inserito il - 03/01/2010 : 16:50:42 Sino a una decina d'anni fa ucinare il gatto per la notte di fine anno era in uso anche in paese, solitamente lo facevano i giovani , comunque anche adesso qualche gatto non rienta . L'usanza di babo Nattale l' hanno introdota gli americani per esse precisi la cocacola per pubblicizzare il suo prodotto
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musthayoni |
Inserito il - 03/01/2010 : 11:30:40 .. qualcuno è a conoscenza di eventuali mascheramenti e personificazioni del vecchio-nuovo anno che si facevano o ancora si fanno nei vari paesi dell'isola per Capodanno? |
musthayoni |
Inserito il - 02/01/2010 : 13:30:42 | musthayoni ha scritto:
.. SIGNIFICATO USI E CREDENZE ANTICHE DEL CAPODANNO ...
Allo scoccare della mezzanotte, che sancisce il momento convenzionale di transizione dal vecchio al nuovo anno, tutti i convitati festeggiano l’evento con canti e balli; si stappano bottiglie di spumante, champagne o vino frizzantino e si brinda in compagnia augurandosi vicendevolmente un “felice anno”. Nel contempo nelle strade e in piazza si sparano botti e fuochi d’artificio, per scacciare ogni guaio e tristura dell’anno vecchio.
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Come noto in Sardegna, ma non solo, l’allontanamento del vecchio e del negativo con botti e spari a salve di fucile costituiva un fatto atteso da ogni comunità, e in taluni paesi per assolvere a questo compito venivano incaricati i barracelli, ma anche i singoli, coerentemente con la passione per le armi propria dei sardi del passato, si prodigavano esplodendo dalle case ripetuti colpi di doppietta proprio per allontanare gli spiriti cattivi e il demonio (s’aramigu .. sa tentazioni) ovvero quegli esseri posti al di fuori della normale vita comunitaria che potevano incidere negativamente sulla medesima. D’altro canto, anche i documenti della Causa Pia denotano questa tendenza se per l’occasione veniva destinato un certo tanto di denari per l’acquisto sia di dolci per il rinfresco, sia per fuochi d’artificio per il … disparatorio .. come si attesta ad es. per Sestu nel corso dell’ottocento. Così in ogni centro dell’isola, allo scoccare della mezzanotte si sparavano granate, mortaretti e salve di fucile, mentre le donne in casa aprivano porte e finestre e con una scopa in mano fingevano di spazzare ogni negatività legata al vecchio anno. In questo modo si cercava di liberarsi del passato, che comunque veniva considerato sempre negativo, in quanto ogni aspirazione non coincideva mai con la realizzazione pratica delle stesse. Pertanto, come a Pasqua si menavano forti colpi di bastone per allontanare il diavolo, altrettanto si faceva la notte di capodanno per scacciare con i botti e gli spari ogni tristezza e negatività correlata all’anno vecchio, e più era forte il rumore e più decisamente si scacciava la mala sorte. D’altronde, questa antica usanza si protrae ancora oggi con botti e spari sempre più forti e pericolosi che spesso fanno registrare dei veri e propri bollettini di guerra .. con centinaia di feriti e spesso anche con vittime. Fortunatamente per quest’ultimo Capodanno appena trascorso .. non si sono avute vittime e anche gli incidenti seri sono diminuiti, malgrado il numero complessivo dei feriti sia aumentato rispetto al passato. E’ una magra consolazione ma almeno questa volta il nuovo anno non è iniziato con notizie luttuose a causa della stupidità e dell’irresponsabilità di tante persone che non sanno affatto divertirsi se non in maniera pericolosa, mettendo a repentaglio la propria incolumità e quella degli altri. In ogni caso .. Buon Anno … e felice 2010 a tutti quanti ..
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musthayoni |
Inserito il - 29/12/2009 : 09:42:55 .. SIGNIFICATO USI E CREDENZE ANTICHE DEL CAPODANNO ...
Se il Natale era la festa che sanciva l’unione familiare e dell’intimità domestica che dava origine a un insieme di costumanze e tradizioni particolari, assai più povera si presentava invece la festività del Capodanno, forse perché ricorrenza importata e quindi, di origine recente, ma comunque ugualmente interessanti erano le credenze e le tradizioni ad essa collegate. Attualmente, nel mondo occidentale, il Capodanno cade e viene festeggiato il primo gennaio di ogni anno, secondo le condizioni dettate dal “calendario giuliano”. Il calendario liturgico della Chiesa Cattolica però, non concorda con quello giuliano, laico e civile perché l’anno ecclesiastico liturgico comincia con la prima Domenica di Avvento (la Domenica più vicina al 30 novembre) e pertanto il giorno di Capodanno coincide con la festa ecclesiastica che ricorda la circoncisione di Gesù. Tuttavia la Chiesa, dopo aver combattuto a lungo questa festa perché ritenuta laica e popolare dai forti caratteri pre-cristiani, l’ha inserita nel calendario cristiano, attribuendole specifici significati devozionali. Così la notte del 31 dicembre la Chiesa celebra un “Te Deum” in ringraziamento dei benefici ricevuti durante l’anno che volge a termine, mentre il primo gennaio invoca con il “Veni Creator” lo “Spirito Santo” affinché illumini tutti i fedeli e l’intera comunità nel corso del nuovo anno che si appresta a cominciare. Da qualche decennio poi, sempre in ricorrenza delle celebrazioni del Capodanno, la Chiesa dedica tutta la giornata del primo giorno del nuovo anno alle tematiche della “pace nel mondo” che, per mezzo del Santo Pontefice, viene invocata a tutta l’umanità. Come noto, secondo le consuetudini laiche e civili, il momento festivo più significativo di questa ricorrenza è costituito dalla notte compresa tra la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo che nel calendario coincide con la notte di San Silvestro. Così la notte del 31 dicembre la gente festeggia la vigilia di Capodanno banchettando allegramente con amici e parenti a casa, al ristorante o in appositi locali dove si organizza il “gran cenone di fine anno”. Allo scoccare della mezzanotte, che sancisce il momento convenzionale di transizione dal vecchio al nuovo anno, tutti i convitati festeggiano l’evento con canti e balli; si stappano bottiglie di spumante, champagne o vino frizzantino e si brinda in compagnia augurandosi vicendevolmente un “felice anno”. Nel contempo nelle strade e in piazza si sparano botti e fuochi d’artificio, per scacciare ogni guaio e tristura dell’anno vecchio. Nel lontano passato, secondo le concezioni culturali della gente di allora (ereditate da tradizioni e consuetudini più antiche), la celebrazione del Capodanno segnava un momento particolare nel sistema di organizzazione del tempo e della vita dell’uomo, in quanto “momento temporale critico” di separazione tra un periodo che volgeva al termine e quello che doveva iniziare. In quest’ambito culturale allora, i concetti di “fine e inizio” erano strettamente correlati tra loro e venivano identificati con i concetti mistico-religiosi di “nascita, morte e rinascita”, eventi questi di importanza determinante che si delineavano e alternavano in continuazione nell’orizzonte sacro della vita umana. La festa di Capodanno comunque, già dall’antichità presentava forme diverse di realizzazione derivanti dai sistemi economici allora vigenti e soprattutto dalle differenti realtà culturali e socio-economiche che storicamente si erano andate elaborando e sviluppando nelle varie aree geografiche del mondo. E proprio a causa di queste diversità culturali ad esempio, il Capodanno veniva strutturato e fissato in momenti stagionali e date calendariali dissimili. In Sardegna ad esempio, come in altre regioni di cultura mediterranea ed ebraico-mediorientale, il nuovo anno cominciava a settembre e non a gennaio, tanto è vero che in sardo il mese di settembre è denominato “kabudanni” o “Kabidanni” (da caput anni). Secondo questa particolare suddivisione che veniva attribuita al calendario, la ricorrenza temporale del Capodanno in queste aree culturali coincideva col cosiddetto “Capodanno autunnale”, che sanciva la chiusura e l’inaugurazione simbolica di un nuovo corso d’annata, che ben si conciliava con le elaborazioni concettuali di “morte e rinascita” sopra evidenziate. In altri termini il Capodanno costituiva il momento in cui si riscontrava la rigenerazione delle sementi uccise durante il raccolto in estate, ovvero il periodo di transizione temporale che doveva portare alla resurrezione dopo la morte sacrificale provocata con la mietitura, la raccolta della frutta e la vendemmia. Ricominciava così un nuovo ciclo vitale che si sarebbe concluso ancora una volta con una nuova morte-sacrificale, affinché la vita fosse costantemente rinnovata e riconfermata. Nelle realtà economiche e sociali del passato, basate soprattutto sulla pastorizia e l’agricoltura, la festa di Capodanno veniva ricollegata alle concezioni culturali più arcaiche legate alla religione della terra e dei morti che avevano una correlazione diretta anche con i riti celebrati in ricorrenza del solstizio d’inverno. Secondo queste credenze ravvisiamo che prima della rinascita solare nel mondo ormai vecchio si manifestano le “forze ctonie” e nei mesi di ottobre e novembre il cosmo assiste alla propria degenerazione tanto che questa situazione genera angoscia e attesa nell’uomo. Ciononostante dopo questo periodo incerto e oscuro il mondo pian piano ritorna alla sua pienezza e così come la natura, apparentemente sterile nel freddo inverno, libera le forze elementari che in seguito saranno “ri-organizzate” e volte alla nuova vita che rinasce, così anche le forze e l’energia dell’uomo saranno liberate e indirizzate al rinnovamento, per essere più organicamente ricostituite nell’ordine universale che lega l’uomo alla natura. Più specificatamente E. De Martino affrontando il problema della “morte-rinascita della natura” precisa che “nelle realtà contadine il raccolto chiude un’epoca e inaugura un nuovo corso esistenziale che però, lascia davanti a sé un vuoto o una scomparsa, ovvero un periodo nel quale il ritorno del bene vegetale dipende da potenze umanamente non controllabili. Il periodo della fecondazione delle sementi costituisce perciò un particolare momento di ansia connessa anche con la particolare situazione di transizione che il solstizio d’inverno determina nella natura umana. Per il superamento di queste ansie e per il controllo della fase di transizione solstiziale allora l’uomo elabora culti e riti miranti alla propiziazione della fertilità e della capacità germinatrice della Madre Terra, per cui fertilità e forza germinatrice dovranno necessariamente coincidere con una serie di condizioni favorevoli, tra le quali quelle correlate alle vicende climatiche”. In virtù di questa concezione se ne deduce quindi, che era innanzitutto sottoterra che si svolgeva il comune destino della vegetazione e quindi, dell’uomo mediante l’incontrovertibile processo ciclico di “nascita-morte-rinascita”. Collegato ai concetti propri della mitologia tellurica e dell’ideologia funeraria del culto dei morti è pure il mito greco di Core, in cui è facilmente identificabile il ciclo di vita, morte e rinascita della vegetazione. Ade, dio degli inferi e del mondo sotterraneo infatti rapì Core, figlia di Demetra, dea della terra e delle messi, mentre coglieva un narciso in un prato fiorito. Demetra preoccupata della scomparsa della figlia percorse tutta la terra con due fiaccole in mano, per nove giorni e nove notti, alla ricerca di Core e quando seppe che Ade l’aveva condotta nel regno delle ombre per farla sua sposa, la dea irata si rifiutò di tornare all’Olimpo e rinchiusasi in una grotta fece sì che la terra inaridisse e non desse più frutti, facendo morire in breve tempo tutta la vegetazione. A quella vista Zeus comprese che se non avesse placato l’ira di Demetra, gli uomini ben presto sarebbero morti tutti di fame e sete e dovette scendere a patti con lei. Così fu stabilito che Core (che da allora assunse il nome di Persefone), dovesse trascorrere (come la vegetazione) un terzo dell’anno sottoterra con lo sposo, mentre per i rimanenti due terzi sarebbe tornata sulla terra dalla madre, in primavera. Al riguardo, nel contesto di una più ampia concezione rituale di tipo agraria-propiziatoria, propria delle culture mediterranee, anche in Sardegna sono facilmente riscontrabili queste credenze dove la pratica agricola è in stretta simbiosi con l’ideologia funeraria-fertilistica della Madre-Terra, cosicchè fertilità-fecondità-morte-rinascita”, hanno diretta connessione coi cicli vegetativi e produttivi del raccolto. Del resto, i numerosi reperti litici preistorici ritrovati nelle campagne sarde testimoniano l’importanza rivestita nell’antichità di questi culti praticati regolarmente in tutto il territorio regionale. Attualmente, rispetto a quel lontano passato, la realtà sociale e culturale isolana è notevolmente cambiata. Tanti secoli di storia sono trascorsi e col loro susseguirsi, seppure molto lentamente, numerose contraddizioni e superstizioni sono state dialetticamente superate, anche se nel contempo nuove contraddizioni sono subentrate sia nel rapporto uomo-natura, sia nei rapporti sociali. Infatti attraverso le conquiste tecnologiche l’uomo è riuscito a razionalizzare meglio i momenti critici che da sempre hanno caratterizzato e vincolato la sua esistenza. Ciononostante, è doveroso rimarcare che in Sardegna, fino a qualche decennio fa, le ricorrenze legate alla festa di Capodanno manifestavano ancora palesi necessità di “tutelarsi dai possibili rischi d’instabilità che si sarebbero potuti incontrare nel corso dell’anno”, in ossequio alle antiche concezioni del passato. Infatti, il Capodanno, quale momento temporale di transizione aleatoria, si presentava come momento oggettivo da esorcizzare perché in stretta connessione col ciclo e il rinnovo annuale delle attività lavorative e quindi, come risposta culturale al bisogno pratico di dare certezza a tutti gli eventi futuri direttamente collegati alle attività produttive e dell’uomo. Infatti, nelle realtà agro-pastorali sarde, dove il buon esito del raccolto e della produzione erano un fattore indeterminato a causa delle gravissime condizioni di precarietà e di miseria in cui viveva la maggior parte della gente, il futuro e la pianificazione annuale del tempo (e quindi dell’attività produttiva) non potevano che essere articolati su una previsione e programmazione che basava la sua struttura logica su variabili indipendenti di tipo magico-divinatorie. Ad esempio era diffusa la credenza che l’andamento atmosferico dei primi dodici giorni di gennaio avrebbe corrisposto climaticamente a quello dei singoli mesi del nuovo anno. Cosicché in ogni comunità sarda la notte della vigila del nuovo anno, erano diffuse molteplici pratiche divinatorie e propiziatorie che servivano a presagire e rendere favorevoli ogni avvenimento futuro. Tra la gente infatti, si imponeva il bisogno di stabilire momenti rituali fissi per compiere operazioni magiche capaci di allontanare il vecchio e il negativo, esorcizzando allo stesso tempo il presente per aprirsi favorevolmente alle nuove prospettive future. La sensazione di dover iniziare un nuovo ciclo della propria esistenza, con tutto quel che di incerto poteva comportare, spingeva difatti le persone a interrogare la sorte, favorendo la tendenza a dare un’interpretazione accettabile anche ai fatti più comuni della vita quotidiana. E questo valeva ad esempio per i pronostici nuziali che le ragazze ricavavano dai discorsi uditi per strada o da altre pratiche tipo quella de s’olieddu, del piombo fuso versato nell’acqua o dei bigliettini distinti per sesso, sistemati in due cestini diversi e estratti a sorte. Per la donna sarda, alla quale erano riservati nella famiglia precisi ruoli culturalmente attribuiti, il matrimonio infatti rappresentava un obiettivo il cui conseguimento era atteso con molta trepidazione e perciò l’attuazione delle pratiche divinatorie di cui sopra. Oggi però la situazione festiva del Capodanno in Sardegna non è diversa da quella che solitamente si riscontra nelle grandi città e nei grossi centri di divertimento della penisola. Le antiche usanze legate al Capodanno tradizionale stanno ormai scomparendo inesorabilmente, perché la tendenza generale tra le nuove generazioni è quella di liquidare qualsiasi tradizione correlata al passato per accogliere i modelli di vita che sempre più, a livello di immagini, vengono trasmessi e offerti alla gente dalla televisione e dagli altri mezzi di comunicazione. Al riguardo basta pensare ai veglionissimi e ai grandi spettacoli, riservati il più delle volte ai ceti dell’alta e media borghesia, che propongono a tutti modelli suggestivi di divertimento e di aspirazione sociale che, spesso e volentieri, risultano impossibili da conseguire ai più. In questo nuovo contesto allora (benché sia evidente l’esigenza per tutti di acquisire una “nuova mentalità” più confacente al nostro tempo, capace di superare le barriere psicologiche e le superstizioni del passato), il pericolo che oggi incombe sulla festa di Capodanno è che essa, perdendo definitivamente il suo significato originario, venga vissuta più come fattore di moda e momento di consumo culturale guidato “dall’alto” (ovvero da strutture di potere socio-economico ben identificate), che come “evento determinante” dai forti caratteri popolari che, mediante la riproposizione evocativa di un rito, irrompe nella vita dell’uomo e nel tempo della produzione conferendo ad essi qualità e specificità socio-culturali particolari.
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musthayoni |
Inserito il - 22/12/2009 : 17:05:46 | laier ha scritto:
sa tratalia e sa corda mi ricordano tanto mio nonno, le preparava la sera del 24 per arrostirle per la cena che buoneeeeeeee
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... un'altra pietanza .. molto in voga tra i giovani di un tempo ... data la scarsità di risorse economiche e monetarie .. era quella di mangiare un bel gatto arrosto. So .. che l'argomento può creare disgusto a molti/e ... ma è innegabile che fino a qualche decennio fa non era infrequente l'uso di questa pietanza .. per l'occasione. Al riguardo .. peraltro era anche in uso una ricetta ad hoc ... tanto che se i partecipanti alla cena non erano esperti della pietanza ... potevanano confondere la carne del felino .. con quella di coniglio. |
musthayoni |
Inserito il - 22/12/2009 : 16:58:26 | Ela ha scritto:
a casa mia ... a viglia, in attesa della messa si giocava " a Barralliccu" con la frutta secca, noci e mandorle "turradasa".
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... una precisazione ... a Sestu il gioco del gerlo .. conosciuto come su barralliccu in tanti paesi sardi .. era denominato ... su poni ... proprio in correlazione al fatto che una delle sue quattro facce era contrassegnata da una .. P .. a significare appunto .. poni ... e cioè il giocatore a cui appariva quella faccia della trottola .. doveva aggiungere al mucchio di frutta secca puntato all'inizio del gioco .. un altro quantitativo prestabilito .. |
musthayoni |
Inserito il - 22/12/2009 : 08:04:43 | Ela ha scritto:
a casa mia gesù bambino non è mai passato....solo la befana!!!!Che bei ricordi per il Natale, ma soprattutto la preparazione al Natale. Noi facevamo il presepe....enorme, occupava quasi metà stanza. con mio padre andavamo " a monti" per prendere la legna...cioè grossi rami per costruire tutto l'ambiente... portavamo " Is cadinusu" per riempirli di muschio (lana e pedra). i personaggi, inizialmente gli ritagliavamo da "Famiglia Cristiana" li rafforzavamo con del cartone per farli stare in piedi.Tutte le sere, in chiesa c'era la novena di Natale. Era molto bello anche perchè per noi era un'occasione per uscire dopo cena ( non è che andassi molto lontano, la chiesa era di fronte a casa mia). La viglia, in attesa della messa si giocava " a Barralliccu" con la frutta secca, noci e mandorle "turradasa". la notte della vigilia facevano la prima uscita "Sa priorissa e is priorisseddasa" in carica per un anno ( io ho fatto sa priorissedda") ed il giorno di Natale, dopo pranzo ed anche dopo cena, a casa " de sa priorissa manna" si invitava tutta la gioventù del paese e si ballava fino a tardi. Molte delle tradizioni descritte da musthayoni non le conoscevo ( eppure ho praticato moltissimo Sestu da ragazzina, dato che ho una sorella sposata lì e la suocera raccontava sempre tante storie del tempo passato!!!) Anche mia madre, cucinava "sa codra arrustia"....a me non piaceva poi tanto, ma l'ho rivalutata da grande!!!!! a casa mia il bambinello lo metteva sempre mio padre, perchè essendo il presepe molto grande ed in alto ( su una specie di palco) e la grotta abbastanza in fondo, ci arrivava solo lui dato che era un omone di circa 1.80 di altezza!!!!
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.. ciau Ela ... mi fa piacere che sotto certi aspetti riporti anche per il tuo paese (non so quale di preciso . ma forse della zona di Sant'Andria Frius?) l'usanza di certe tradizioni da me descritte. Dimmi però ... quali altre non conoscevi ... o ti sono nuove .. e cmq anche per me la tradizione delle Priorisse è una novità .. e non l'ho raccolta per Sestu durante le mie ricerche sul campo ... ma cercherò di saperne di più anche se ormai molti anziani da me intervistati .. sono purtroppo deceduti .. la settimana scorsa ad es. ci ha lasciato mia zia .. sorella di mio padre .. avrebbe compiuto cento anni al 13 gennaio. Con lei se ne andato .. oltre l'affetto di un familiare caro alla famiglia .. anche un pezzo importante della memoria storica locale .. |
Ela |
Inserito il - 21/12/2009 : 21:16:10 a casa mia gesù bambino non è mai passato....solo la befana!!!!Che bei ricordi per il Natale, ma soprattutto la preparazione al Natale. Noi facevamo il presepe....enorme, occupava quasi metà stanza. con mio padre andavamo " a monti" per prendere la legna...cioè grossi rami per costruire tutto l'ambiente... portavamo " Is cadinusu" per riempirli di muschio (lana e pedra). i personaggi, inizialmente gli ritagliavamo da "Famiglia Cristiana" li rafforzavamo con del cartone per farli stare in piedi.Tutte le sere, in chiesa c'era la novena di Natale. Era molto bello anche perchè per noi era un'occasione per uscire dopo cena ( non è che andassi molto lontano, la chiesa era di fronte a casa mia). La viglia, in attesa della messa si giocava " a Barralliccu" con la frutta secca, noci e mandorle "turradasa". la notte della vigilia facevano la prima uscita "Sa priorissa e is priorisseddasa" in carica per un anno ( io ho fatto sa priorissedda") ed il giorno di Natale, dopo pranzo ed anche dopo cena, a casa " de sa priorissa manna" si invitava tutta la gioventù del paese e si ballava fino a tardi.Molte delle tradizioni descritte da musthayoni non le conoscevo ( eppure ho praticato moltissimo Sestu da ragazzina, dato che ho una sorella sposata lì e la suocera raccontava sempre tante storie del tempo passato!!!) Anche mia madre, cucinava "sa codra arrustia"....a me non piaceva poi tanto, ma l'ho rivalutata da grande!!!!! a casa mia il bambinello lo metteva sempre mio padre, perchè essendo il presepe molto grande ed in alto ( su una specie di palco) e la grotta abbastanza in fondo, ci arrivava solo lui dato che era un omone di circa 1.80 di altezza!!!!
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musthayoni |
Inserito il - 21/12/2009 : 16:59:29 .. signore ... non mi sono dimenticato di voi e della promessa fatta ... però dopo la visione del filmato postato da Nuragica nell'altro topic ... un attimo di riflessione non gusta .. soprattutto in questo frangente .. in cui la gente si accinge ai preparativi per il Natale ed è distratta da teante cose .. non sarebbe male rivolgere il nostro pensiero anche a chi soffre .. e a quei bambini che lottano per la vita .. a causa di terribili patologie ... penso in particolare ai bambini dell'oncoematologia pediatrica in cura la Microcitemico ... ciao a presto ... |
musthayoni |
Inserito il - 18/12/2009 : 15:27:45 | Nuragica ha scritto:
.. e a proposito .. di Gesù Bambino e presepe .. ricordate a chi era delegato il compito di sistemarlo nella culla .. allo scoccare della mezzanotte? A casa mia sempre il mio fratello maggiore... ma non so se per tradizione o perchè lui era prepotente e leader in tutti i campi..
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... da noi il compito di mettere il Bambinello nella culla era delegato al bambino più piccolo della famiglia ... che in sardo era chiamato .. su caga nius .. cosicché solo lui poteva aveva l'onore di completare il presepe all'ora stabilita ... .. a me purtroppo questo compito non è mai toccato .. e perché c'era sempre un mio cugino .. il più giovane fra tutti ... e su caga nius era lui .. |
musthayoni |
Inserito il - 18/12/2009 : 10:26:55 | Incantos ha scritto:
Ma cos'è che è strano?Che passasse babbo natale?? e poitta??
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... behh .. se non ricordo male .. l'introduzione di Babbo Natale ... in Italia per mezzo degli Alleati .. risale ai tempi del secondo conflitto mondiale. La diffusione ebbe un inizio timido .. poi con l'avvento del boom economico degli anni sessanta ... Babbo Natale cominciò aq prendere sempre più piede all'interno delle tradizioni nostrane ... e così anche in Sardegna .. e pian piano ha posizioni sempre più marginali la Vecchai Befana. Infatti .. i regali secondo la vecchia tradizione avvenivano per l'Epifania e ai miei tempi .. era proprio la Vecchietta .. che attraverso il camino portava i doni ai bambini buoni .. mentre ai monelli portava solo carbone. Prima ancora della Befana .. cmq la tradizione sarda faceva riferimento ai .. Tres Gurreys .. I Magi ... così come avveniva e ancora avviene in Spagna .. dove i doni ai bamabini sono devoluti il 6 gennaio. Dunque .. la nota di meraviglia era solo correlata al fatto .. che cmq .. Babbo Natale è una figura estranea alla tradizone sarda .. e mediterranea .. e quindi di importazione. Il consumismo sfrenato .. ha poi fatto tutto il resto. Ciao!
.. ragazze .. pazientate un po .. e poi vi racconterò come andarono le cose .. per quella famosa Epifania .. degli anni sessanta .. che non ho mai dimenticato .. |
Tizi |
Inserito il - 17/12/2009 : 20:27:27 Questo gioco dei bigliettini lo ricordo anch'io...si faceva alla fine dell'anno
a casa i doni li ricevavamo da Gesù Bambino il giorno di Natale...e per l'Epifania, mettavamo le calze sul caminetto e il mattino trovavamo....mandaniu, nuxi, nuxedda e qualche dolcetto.....
Il Bambinello lo sistemava mia mamma nella culla....
Si Musthyoni racconta noi ti ascoltiamo |
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