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Nota Bene: I PIRICCHITTOS di Ittiri ( Sassari ) si differenziano da tutti gli altri dolci omonimi della Sardegna anche per la loro forma "ad osso di morto".
Sono costituiti da una friabilissima pasta di farine scelte e ben miscelate e sono ricoperti da una rete di glassa candida ( sa cappa).
Anticamente erano il dolce tipico della ricorrenza dei defunti ed, in particolare, venivano offerti, assieme a melagrane e frutta secca, nella questua " a su mortu " che i bambini effettuavano per uso antico bussando alle case di parenti, amici e vicini.



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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
primitivo Inserito il - 10/05/2007 : 12:16:23
Mai cinquanta chilometri di strada mi avevano portato così lontano... nel tempo.
Si, perché quello vissuto la primavera scorsa, in una boscosa valle del Gerrei, è stato un vero e proprio viaggio nella storia, anzi, nella preistoria.
Uno di quei viaggi destinati a lasciare un ricordo indelebile.

Ma andiamo con ordine.
Come mi capita spesso, stavo navigando in internet alla ricerca di documenti sulla preistoria in Sardegna quando sono incappato nel sito www.antichicammini.it che anziché dare informazioni sulla vita dei nostri antenati... proponeva di sperimentarla in prima persona!
Mi è bastato leggere poche righe per prendere la decisione di telefonare, chiedere un paio di informazioni e concordare un appuntamento. Tra l'altro, ho pensato, sarebbe stata anche una magnifica esperienza per mia figlia che, guarda caso, frequentando la terza elementare, ha studiato proprio la preistoria.
Quindi ho fatto partecipi di questa iniziativa altri amici, anch'essi con figli più o meno coetanei, e abbiamo messo su una combriccola di aspiranti neolitici.

L'appuntamento con Matteo Casula è per sabato pomeriggio al parcheggio dell'agriturismo Moris Antigus, dove parte il sentiero per le capanne, e dove terminerà la nostra esperienza con un pranzo di leccornie della cucina tradizionale.

Fatte le presentazioni, Matteo ci esorta a lasciare dentro il bagagliaio tutto ciò che è moderno, superfluo... e non è facile, abituati come siamo a sobbarcarci di ogni possibile “comodità”.
Comunque alla fine, dato che il vitto e l'alloggio sono forniti, l'illuminazione pure, il cellulare non prende, un torrente fa le veci della toilette... non ci resta che metterci in spalle uno zainetto col sacco a pelo e qualche capo di vestiario, comodo e... sporcabile.
Unica concessione alla modernità, qualche macchina fotografica o telecamera per i ricordi.

Così ci incamminiamo lungo un sentiero che attraverso un bosco di lecci e sughere, ci porta, con un percorso di circa mezz'ora, alla “valle primitiva”.
Dopo avere guadato un ruscello, facciamo ancora pochi passi e arriviamo allo “Star Gate”: il cancelletto in legno che da accesso al recinto delle capanne. Passiamo sotto la folta vegetazione arbustiva, ad ogni passo tornando indietro di mille anni, sino ad arrivare ad una radura erbosa sulla quale si affacciano tre capanne: hanno il basamento circolare in pietra e la copertura vegetale (come i pinnetti dei pastori che ancora si incontrano in Sardegna) ma con qualche adattamento fortemente rievocativo, come il teschio di bue sulla porta o il totem in legno sulla cima della capanna più alta...

All'interno, in bella vista su un tavolino, ci sono tutta una serie di utensili che Matteo ha pazientemente ricostruito utilizzando gli stessi materiali impiegati dai nostri antenati: ossi, pietre (ossidiana e selce soprattutto), legno, fibre vegetali, resina, pelli, tendini... tutti materiali che gli uomini del neolitico si procuravano cacciando o raccogliendo ciò che la natura metteva a disposizione. Oltre a punte di freccia e di lancia, ci sono delle asce, seghetti, aghi e spilloni, raschietti, pennelli, macine, coltelli, persino un rudimentale trapano!
Matteo ci fa una breve lezione sui vari arnesi, su come si costruivano e come si usavano, e su come era organizzata una tipica giornata al tempo dei cacciatori raccoglitori che noi, in qualche modo, cercheremo di rivivere.

Il primo “compito” è quello di procurarci la cena.
Donne e bambine sperimentano la macinatura delle sementi per ottenere la farina: usano una lastra inclinata di trachite sulla quale pongono una manciata di semi di grano e orzo. Con una pietra dalla base piatta sbriciolano le sementi la cui farina, molto grezza, si raccoglie in una ciotola di sughero. La fatica si fa presto sentire sulle loro braccia e mani.
Noi uomini dobbiamo costruire le punte per le frecce: con un ciottolo battiamo un nucleo di ossidiana cercando di ottenere delle scaglie affilate da rifinire poi con un ritoccatore.
Non è affatto facile, la maggior parte delle scaglie hanno forme troppo irregolari e sono da buttare.
E anche le scaglie buone vengono spesso sprecate da una imprecisa lavorazione. Col ritoccatore, che non è altro che un bastoncino di 20-30 cm con una punta in corno di cervo, dovremmo pian piano asportare materiale dai bordi delle scaglie, sino ad ottenere la classica forma della punta di freccia. Inutile dire che dopo un'ora di lavoro, in cinque, abbiamo prodotto una sola punta e non delle migliori...
Nel frattempo le nostre donne hanno mescolato la farina all'acqua e con l'impasto hanno prodotto delle pagnottelle piatte (simili a piccole spianate, o al chapati) da cuocere poi al fuoco.

Per fortuna Matteo ha già una scorta di frecce pronte con le quali possiamo passare al compito successivo: la caccia al cervo e al cinghiale!
Naturalmente non ci sfiora nemmeno l'idea di andare davvero a cacciare questi nobili animali.
Invece rivolgiamo le nostre armi contro delle grosse sagome (di cartone e gomma piuma, all'incirca delle stesse dimensioni degli animali reali) poste a una decina di metri da noi.
Abbiamo a disposizione due archi: uno grande per gli adulti, e uno piccolo per i bambini.
Tutti vogliono cimentarsi in questa prova che per i bambini (e bambine) è un vero gioco.
Perché, per noi adulti no?
L'arco è fatto di legno e la corda è di fibra vegetale intrecciata.
Per prima cosa impariamo ad armare l'arco, che va incastrato tra le gambe e inarcato il tanto giusto per potere montare i cappi della corda alle due estremità.
Quindi veniamo istruiti su come incoccare la freccia, come tendere l'arco e come prendere la mira.
O meglio non prendere la mira: pare sia meglio tirare d'istinto.
In ogni caso, mirando o non mirando, i centri sono pochi. E dire che gli “animali” stanno li, fermi e pazienti, altrimenti... chissà come sarebbe andata se avessimo dovuto inseguire dei veri animali che scappano tra la vegetazione!
E viene il momento della caccia al mammuth (questo, più che mai, immaginario).
Trattandosi di un animale grosso davvero, e che nessun cacciatore paleolitico avrebbe voluto avvicinare troppo, è necessario scagliargli una lancia da grande distanza.
La lancia ha la punta in osso, con una forma particolare, concava e con i bordi seghettati.
Quando l'animale veniva colpito, ci spiega Matteo, la punta rimaneva conficcata nelle carni mentre la lancia, quasi sempre, si staccava. Grazie alla forma concava, la punta facilitava la perdita di sangue dell'animale il quale, dopo un po' (e magari con le punte di più cacciatori conficcate) si dissanguava e indebolito, si accasciava. Solo in quel momento era possibile avvicinarsi con relativa sicurezza.
Per aumentare la forza e la gittata della lancia, si utilizzava spesso il propulsore.
Ed ecco che Matteo ci fa provare quello costruito da lui. Si tratta di un bastone, lungo circa un metro, con un uncino in osso ad una estremità; questo uncino si inserisce alla base della lancia che viene poi impugnata sovrapposta al propulsore. Al momento del tiro si lascia la presa sulla lancia ma non sul propulsore che, compiendo un movimento semi circolare, imprime al dardo una notevole spinta, molto superiore a quella che si avrebbe utilizzando la sola forza del braccio.
Comunque sia, propulsore o no, il mammuth ci scappa... certo che come cacciatori siamo piuttosto scarsi! Meno male che “abbiamo preso” un cinghiale (con un po' di fantasia... in realtà abbiamo un blocco da 5 Kg di carne di manzo).
Già... ora arriva il momento di “macellare” l'animale, quindi ci armiamo nuovamente di ciottoli, questa volta per scheggiare dei nuclei di selce, con lo scopo di costruirci dei rudimentali coltelli.
Per fortuna non è necessaria la stessa precisione delle punte di freccia, così riusciamo abbastanza agevolmente a ricavare le nostre lame... e che lame! Hanno il filo di un rasoio e la carne viene affettata come fosse burro!

Bene, la giornata di “caccia” è stata tutto sommato positiva, la carne è pronta per essere cotta... manca solo il fuoco... L'avete già capito, vero? Niente accendini, carta o pastiglie, quindi... pietre focaie!
Matteo porta fuori dalla capanna una sacca in pelle da cui estrae delle pietre, della paglia e uno strano fungo: si tratta di un fungo del legno, di quelli che crescono sulle cortecce degli alberi. Matteo l'ha sbriciolato per ricavarne una sorta di lanuggine che poi posa su un “piattino” ricavato dal guscio di una conchiglia bivalve. Quindi prende le pietre, delle quali una (la vera e proprio pietra focaia) contiene cristalli di pirite. Questi, quando vengono colpiti provocano delle scintille che, cadendo sulla lanuggine ne provocano l'accensione. A questo punto si mette la paglia sopra la lanuggine e, pazientemente, si soffia sopra.
Proviamo un po' tutti, ma raramente riusciamo: sappiamo accendere uno strumento altamente tecnologico come un computer, ma col fuoco dobbiamo proprio reimparare tutto!
Comunque sia, dopo qualche tentativo, abbiamo il nostro fuoco, che alimentiamo subito con rami e tronchi per produrre la brace. Quando la brace è pronta, posizioniamo su di essa delle pietre piatte affinchè si scaldino ben bene; su di esse appoggiamo le fette di carne e le pagnottelle, preparate in precedenza.
Finalmente, mentre il giorno lascia spazio alla notte, ci sediamo attorno al fuoco e mangiamo la succulenta cena: è semplicemente della carne, l'abbiamo mangiata tante volte, ma stasera ha un gusto particolare, sembra più buona, sembra più “guadagnata”, “meritata”.
Il tutto “annaffiato” da un buon vino, contenuto in apposite “borracce” fatte con zucche svuotate ed essicate, e versato in bicchieri ricavati, neanche a dirlo, da corna di bue tagliate e sigillate sul fondo da un tappo in sughero.
Anche i bambini mangiano di gusto, dopo una giornata per loro entusiasmante e, certamente, stancante. Infatti, nonostante lottino con tutte le forze, qualcuno comincia a chiudere gli occhietti.
E' il momento di mettere i pargoli a nanna, nella capanna appositamente allestita, intercomunicante con quella “dei grandi”, separata unicamente da una pelle di mucca posta sull'uscio.
Loro sono ben contenti di questa cosa, di dormire su delle stuoie e con i sacchi a pelo in una vera capanna, alla luce dei lumini ad olio. E non ci impegnano, come di solito succede a casa, nella lettura di fiabe, libri o cose simili per addormentarli... anzi, ci cacciano proprio via.
Così torniamo al fuoco, godendoci questo momento di relax.
E viene facile lasciarsi andare ai commenti sulle differenze tra la vita attuale, in cui tutto (e soprattutto il cibo) è così facilmente a portata di mano, e quella dei nostri antenati, i quali dovevano procacciarsi giorno per giorno il necessario alla sopravvivenza; tra la nostra società dell'abbondanza e degli sprechi, e quella primitiva in cui ogni cosa andava conquistata e centellinata; tra la nostra concezione della natura e delle sue risorse come un qualcosa che ci appartiene di diritto, quindi sfruttabile senza troppi riguardi, e quella di chi aveva ben presente il rapporto diretto, stretto, che lo legava alla madre terra.

Ma ecco che la pace e il torpore vengono interrotti dal ritmo di un tamburo.
Dai cespugli viene fuori una figura mascherata vestita di pelli, dall'aspetto inquietante, che salta, gira, balza nella nostra direzione... è Matteo naturalmente, che ci esorta a partecipare a una sorta di danza tribale, simile a quelle che, ci dice, venivano fatte nella preistoria per ingraziarsi gli spiriti.
E distribuisce anche a noi maschere e vari strumenti, simili a quelli che ancora oggi usano i percussionisti di musica etnica, tutti fatti con materiali raccolti: zucche vuote piene di semi, tamburi fatti con pelli di capretto (da lui conciate), “pettini” di legno, sonagli fatti con le conchiglie, etc.
In breve lo seguiamo in queste evoluzioni e giriamo attorno al fuoco saltando e cantando, liberi dai propri freni inibitori (complice il buon vino...).
Naturalmente i bambini si sono svegliati e, sbucati un po' timorosi dalla capanna, si uniscono anche loro alle danze, a questo rito pagano che vede, per una volta, i genitori diventare bambini e i bambini fare cose da grandi.


Pian piano il fuoco si spegne e con lui tutte le energie residue.
Sotto un cielo stellato, nero come solo in queste zone montane disabitate si può vedere, andiamo finalmente a dormire.

La mattina veniamo svegliati dalle vocine dei bambini che stanno giocando nella loro capanna.
Usciamo dai sacchi a pelo un po' intorpiditi. Qualcuno, non abituato ai campeggi, lamenta qualche dolorino di schiena (abbiamo dormito sulle stuoie vegetali, direttamente sul pavimento).
Mentre ci laviamo nel torrente adiacente alle capanne, arriva Matteo con un secchio (rigorosamente in sughero) pieno di latte di capra appena munto. Inoltre, ha con se due uova di struzzo che fungono da contenitore per il miele. Scaldiamo delle focaccine sul fuoco, ed ecco la nostra colazione primitiva pronta! Ci sentiamo pronti ad affrontare la nuova giornata.

Che comincia con la “lezione di intreccio”.
Matteo ci fa vedere come produrre dei cordini partendo da fibre vegetali (simili alla rafia) o dai tendini di animali. Questi ultimi sono un po' più difficili da lavorare in quanto vanno prima essicati, poi pestati per ridurli in fibre sottili, quindi intrecciati tra loro per produrre un primo filo.
Questi fili poi possono essere a loro volta intrecciati, in numero vario, per ottenere cordini di diametro e robustezza diversa, comunque sorprendentemente alta.
L'operazione di intreccio avviene tenendo una estremità dei fili tra i denti e con le mani, pian piano, incrociando continuamente le estremità libere: un lavoro non difficile, ma che richiede una certa manualità e molta, molta pazienza. In circa un'ora sono riuscito a produrre ben 30 cm di cordino!

Poi, col trapano a volano, buchiamo degli ossicini e li infiliamo nei cordini appena fatti: ecco costruite delle semplici collane che vanno ad ornare i colli delle nostre donne e bambine.

E passiamo all'arte rupestre.
Usiamo dei pennelli ricavati da semplici bastoncini con setole di pelo o di fibre vegetali; ma ci sono anche degli stampi ricavati con gli oggetti più disparati, tipo ossicini, funghi, tuberi, conchiglie.
I colori sono essenziali, ma sufficienti ad esprimere la nostra vena artistica...
Disponiamo dell'ocra, che è ottenuto dall'argilla, il nero, ottenuto dal carbone, e il giallo, fabbricato sbriciolando pietre di limonite. E il bianco del caolino. Il tutto viene opportunamente diluito in acqua dentro gusci di conchiglie (pettini). Le nostre tele sono le rocce circostanti, o delle pietre piatte. C'è chi si diletta nella riproduzione di scene di caccia; chi, usando delle cannucce come un aerografo, soffia il colore sulle mani, lasciando l'impronta, in negativo, sulla roccia; chi, usando direttamente le dita o gli stampini, colora il proprio volto come facevano i guerrieri indiani.
Inutile dire che i più fantasiosi, e anche i più divertiti, sono i bambini che in breve sono ricoperti quasi totalmente di colori!
Per fortuna la splendida giornata primaverile, dalla temperatura quasi estiva, ci consente un'ulteriore “chicca” di questo interessantissimo week end: infatti, percorrendo verso valle il torrente, si raggiungono delle ampie vasche che fungono da piscine naturali, incastonate tra policrome pareti rocciose. Una di queste ha anche una spiaggetta dove ci spogliamo dai vestiti e ci tuffiamo nelle acque verdi, per un tonificante bagno.
15   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
ape maya Inserito il - 05/11/2008 : 10:24:50
complimenti a primitivo
Monteferru Inserito il - 14/05/2007 : 12:20:49
Davvero fantastico come fine settimana, chissà cosa ricorderanno nel tempo i bambini.

Maurizio
Nuragica Inserito il - 14/05/2007 : 12:15:05
Graziosissime le collanine primitive!!


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... vegno del loco ove tornar disio
primitivo Inserito il - 14/05/2007 : 12:00:08

Per le gentil signore non mi potevo certo esimere...

primitivo Inserito il - 14/05/2007 : 11:53:01
Ciao a tutti, si in effetti è stata una esperienza elettrizzante e molto educativa.

Penso di riandarci anche questo fine settimana per portare degli amici, ho ricevuto una mail, ci dovrebbe essere un week end in programma.

Le foto adesso le cerco e provo a inserirle, comunque ce ne sono parecchie anche sul sito, e cè anche il video di un week end.

Grazie del benvenuto e chissà che non ci si veda catapultati nella preistoria.
Baroniesa Inserito il - 13/05/2007 : 22:04:02
Riga dopo riga, mi sono goduta l'ottima descrizione del tuo fine settimana da "nuragico"... meraviglioso!
Benvenuto in Paradisola, dalla Baronia

http://www.hobby.diablogando.it/mai...?blogid=1177
maragda Inserito il - 13/05/2007 : 21:45:54
In effetti dev'essre un'esperienza molto particolare..a parte il tiro con l'arco...ah no,le donne raccolgono le bacche...am io curiosona vorrò provare pure quello,non si sa mai che decida davvero per una vacanza tipo isola dei famosi...eheheh..

MaA
aspettiamo le foto Primitivo...fatti vivo!
ophrys Inserito il - 13/05/2007 : 21:42:49
...un'interessante esperienza quella che ci hai raccontato, Primitivo!
Da prendere in considerazione anche il progetto didattico di educazione
ambientale ed archeologica rivolto ai bambini, di cui si parla nel sito.
Grazie!



ophrys
Nuragica Inserito il - 13/05/2007 : 14:33:33
Che bell'idea primitivo... complimenti per la scelta di questa vacanza alternativa!!!
Inizialmente , nel leggere mi domandavo se facessi parte o no del cast dell'isola dei famosi..
invece no!! Per fortuna.
Se non sei tornato nell'era prenuragica, aspettiamo qualche tua foto..

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... vegno del loco ove tornar disio
paola Inserito il - 12/05/2007 : 21:47:56
salve barnie.....
benvenuto.....

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paola
maragda Inserito il - 12/05/2007 : 21:43:00
Ehm...non è che Primitivo si sia immerso nuovamente nella vita primitiva'aspettiamo fiduciose...e comunque sarebbe il mio sogno ''staccare''dalla vita civile per un po'..chissa s e mi vorranno per una settimana...ihihih...mi vedo già vestita di pelli conciate...acconcia appessi...fascino preistorico,eheh.
:-)MaA
Barbaricina Inserito il - 12/05/2007 : 20:59:07



Maragda....è vero...anche i gioielle creati dalle loro mani ...

allora carissimo Primitivo....
vorresti accontentare queste gentil donzelle!?!?!?!?!
maragda Inserito il - 12/05/2007 : 20:52:03
Giusto cara Barbaricina!!!Anche se l'ha descritta perfettamnente..una foto sarebbe il massimo...magari anche dei gioielli creati...grazie,MaA
Barbaricina Inserito il - 12/05/2007 : 07:55:49


Ciao Primitivo....e Benvenuto!!!!!!!!

che bella esperienza avete vissuto, ....quanti possono raccontare una vacanza così entusiasmante....
il racconto è veramente superbo....grazie ...
leggendo la vostra esperienza...mi sembra di essere lì con voi....

se hai qualche foto da aggiungere allo scritto....ci gustiamo anche la natura da te descritta!!!!


maragda Inserito il - 10/05/2007 : 19:20:18
Questo lunghissimo racconto merita di esser gustato in ogni riga!!!

Grazie Primitivo...vorrei aggiungere una considerazione a tutto ciò che dici...
...forse i primitivi avevano anche uno stimolo in più tutti i giorni...dover 'studiare'il modo migliore per cacciare e sopravvivere,creare gli strumenti di caccia etc,teneva lucida e vigile la mente più di quanto accada all'uomo moderno quando compie il semplice gesto di aprire il frigo e scegliere:prosciutto o formaggio?(Già pronti....)

E' un'esperienza che vorrei fare,ti ringrazio tanto per il bel racconto suggestivo e 'stimolante'!!!
A presto...MaA

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