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Nota Bene: Nata a Ozieri nel 1887, Maria Rosa Punzirudu è stata fra le prime donne sarde a esibirsi sul palco nel canto a chitarra. Il suo esordio risale ai primi anni venti, mentre le incisioni sono del 1930, cantando con Nicolino Cabizza e Gavino Delunas.
Fra le sue esibizioni più importanti, da ricordare quella avvenuta in Vaticano, davanti a Papa Pio XII, dove propose una toccante interpretazione di Deus ti salvet Maria.



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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
maurizio feo Inserito il - 31/10/2011 : 14:46:10
Gli studi stratigrafici, analitici delle strutture delle costruzioni, oltre che comparativi di altri oggetti sardi di vario materiale, non mancano, in Sardegna. Altrettanta importanza sembra non rivestano altri e vari esami, che purtroppo sembrano talvolta trascurati anche dagli esperti e dai ricercatori ufficiali. Vogliate partecipare ad elencare quelli che conoscete, con speciale menzione di quelli che sapete essere applicati dagli archeologi sardi (o che vorreste fossero applicati).
15   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Sitzikid Inserito il - 20/11/2011 : 19:47:34
Saludi e trigu a tottusu!

A conferma di quanto dice Maurizio, mi chiedo come mai vi è sfuggito l'articolo nella pagina della cultura dell'Unione Sarda di Sabato 19 Novembre 2011, riguardante due grandi e importanti scoperte: una a Nurallao e le altre a Gesico! E' una nuova pagina che si apre nell'Archeologia Sarda, con la Soprintendenza (quella di Cagliari) che aiuta ed incoraggia ad andare avanti!

A si biri mellus!
maurizio feo Inserito il - 20/11/2011 : 09:47:43
La materia "Genetica di Popolazioni" (specializzazione della Genetica) è - come si intuisce più che bene vastissima, oltre che affascinante, in quanto essa avvolge tutta l'Umanità nella sua interezza e non solo la Sardegna (che però certamente non trascura).
E' dimostrato che essa può (e quindi secondo me deve) essere usata con grande vantaggio negli studi archeologici.
Quindi non dovrebbero più esistere il commento dubbio o negativo nei suoi confronti, circa l'utilità in archeologia...
Il che significa che - nella programmazione dello scavo archeologico - dovrebbe essere sempre considerata la sua possibile applicazione.
Che non deve necessariamente avvenire direttamente sul campo (anzi, nella maggior parte dei casi, non può), ma può essere benissimo utilizzata più tardi, in vari laboratori...
Tutti i resti biologici potenzialmente contenenti Dna, ad esempio (animali, umani e vegetali), non dovrebbero essere manipolati a mani nude e dovrebbero essere subito conservati al riparo sia da possibili inquinamenti con Dna moderno, sia da fattori che ledono e frazionano il Dna.
I costi non sono più elevati e non costituiscono un ostacolo.
I risultati sono spesso meravigliosamente utili.
Se - da una parte - non è sempre possibile ottenere i risultati da questo mezzo (per mancanza di materiale utilizzabile), si deve ammettere però che - in loro presenza - le costruzioni fantasiose e non scientifiche cadono come castelli di carte, definitivamente.
La Storia di certi periodi passati della Sardegna ne ha molto bisogno.
maurizio feo Inserito il - 20/11/2011 : 09:22:20
Anche i quotidiani hanno dato molta rilevanza al fatto che esiste una grande analogia tra il genoma dello scimpanzé e quello dell'uomo. Quello che risultò - all'inizio del computo - mortificante, fu che l'uomo avesse solo 30.00-40.000 geni (ci si aspettava che fossero almeno 10 volte tanti).
La conclusione quasi definitiva della mappatura (21500 geni) pone il numero dei geni dell'uomo al di sotto di quelli del topino. Il moscerino della frutta ne possiede 13.500 ed un verme piatto (nematode) ne contiene 19.000.
L'avventura della codificazione del genoma umano non è ancora finita: abbiamo appena imparato i segni dell'alfabeto: ora dobbiamo imparare il vocabolario, la grammatica, la sintassi. Ci vorrà ancora molto prima che si possa comporre una frase, figurarsi una poesia!
E' comunque già evidente che non è tanto il numero dei geni che conta, quanto il loro modo e la loro capacità di funzionare.
Un esempio: il gene FOXP2, il "gene del linguaggio".
Si ritrova pressoché identico nei mammiferi e negli uccelli.
Nei topi e negli scimpanzè, che possiedono un antenato in comune 75.000000 di anni fa, solo un amminoacido costituisce la differenza.
Gli esseri umani si sono separati dalla linea dello scimpanzè solo 7.000.000 di anni fa, ma la loro FOXP2 differisce per 2 amminoacidi.
Quindi: i circa un decimo di tempo evolutivo, abbiamo già il doppio delle mutazioni.
Questo è - più propriamente - il lavoro della selezione naturale, che conserva ciò che è utile, mentre trascura ciò che è inutile: in questo caso, sembra proprio che si tratti del linguaggio, un meraviglioso tratto di software dell'hardware umano.
maurizio feo Inserito il - 20/11/2011 : 09:03:45
La Diversità Genetica umana conferma ulteriormente (ove ce ne fosse bisogno) la teoria Fuori dall'Africa": sappiamo che alcune migliaia di individui lasciarono l'Africa in varie ondate. Abbiamo addirittura potuto ricostruire l'entità dal più antico gruppo di colonizzatori (circa 150 persone!) .
Man mano che ci si allontana dall'Africa, la variabilità genetica diminuisce.
Infatti, gli aborigeni australiani ed i nativi americani sono coloro che mostrano - al loro interno - la minore diversità.

Questo si è verificato, perché la popolazione africana discende da una popolazione molto più estesa già in partenza, mentre tutti gli altri discendono da piccoli gruppi, poco numerosi e quindi meno vari.
maurizio feo Inserito il - 20/11/2011 : 08:41:02
Quello che non deve sfuggire assolutamente è l'enorme importanza dell' "orologio molecolare": un meccanismo potente e valido, di importanza assoluta ed irrinunciabile. Grazie ad esso, si sono potute disegnare le mappe della diffusione dei maggiori eventi che hanno riguardato la nostra specie (e non solo la nostra). Grazie ad esso abbiamo ide di come sia avvenuta la neolitizzazione, la diffusione degli agricoltori, come gli Etruschi siano veramente originari dell'anatolia (proprio come diceva Erodoto).
In realtà, spesso la genetica offre solamente una conferma definitiva ad ipotesi che già appartenevano all'Archeologia, oppure alla linguistica. Ma sono conferme definitive, che dirimono ogni dubbio, quando arrivano.

Le favole non hanno più spazio: se i lettori si dedicassero di più a leggere i resoconti che queste ricerche di genetica di popolazioni forniscono, a certi autori "fantasiosi" resterebbero solamente le collane di favole per bambini.

Le capacità della nostra specie sono davvero incredibilmente ammirevoli, talvolta, ma contemporaneamente non sono mai magia, bensì il risultato dello studio e dell'applicazione del pensiero astratto. Proprio come una tavoletta babilonese (di 4 cm per 4), che risale a 1200 anni prima di Pitagora, e riporta un quadrato e la sua diagonale, con le relative misure scritte in cuneiforme: un pro-memoria d'uso quotidiano, con la "dimostrazione" pratica del teorema di Pitagora.


maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 14:30:34
Il caso più eclatante di partecipazione della Genetica allo sviluppo degli studi archeologici è dato da proprio dalla cosddetta teoria "Fuori dall'Africa", che vede l'uomo originario dell'Africa evolversi prima lì e poi spostarsi al di fuori di essa.
L'ipotesi che si contrappone ad essa è la cosiddetta ipotesi multiregionale, che sostiene l'evoluzione separata in umani di differenti famiglie proto umane in posti differenti e indipendenti.
In realtà, i fossili (cioé l'archeologia) hanno sempre indicato come corretta la prima teoria (salvo un clamoroso falso: l'uomo di Piltdown, di cui si è parlato in altre pagine del Forum).

Ma è stata la Genetica a fornire le prove decisive.

I due tipi di Dna non ricombinante (mtDna e Y, per ricordarlo) vengono trasmessi intatti e variano unicamente con le mutazioni spontanee. Data l'uniformità del ritmo di con cui si verificano queste mutazioni, il Dna di popolazioni viventi oggi può essere usato per risalire ai loro antenati, come si è spiegato prima...

Ma vi sono anche altre prove che rimando a dopo.-..

maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 12:52:40
Tanto per curiosità, cito l'elenco , forse un po' entusiastico, ma sicuramente non troppo ottimistico, circa i quesiti che la Genetica di Popolazioni sarà in grado di dirimere nei prossimi anni:

- quante ondate migratorie vi furono verso le Americhe e se una delle più antiche fu lungo la costa Ovest.
- è possibile che gli europei vi siano migrati migliaia di anni fa?)
- esiste un segnale di espasnsione dell'agricoltura indigena americana?
- vi furono megrazioni in sud america, provenienti dal pacifico?
- come giustifichiamo la straordinaria diversità linguistica del sud america? Per quanto tempo sono state separate le popolazioni?
- possiamo riconoscere nelle popolazioni miste di oggi la presenza di segni genetici risalenti a gruppi estinti, come ad esempio gli Arawak dei Caraibi?
- vi fu una commistione genetica tra umani moderni e Neandertaliani nel Paleolitico Superiore (questa è un delle risposte più imminenti, che in parte Svante Paabo ha fornito già, con il suo sì)?
- che percorso seguirono gli uomini moderni nel loro stanziamento in europa?
- l'espansione celtica della metà del primo millennio a.C. lasciò tracce genetiche?
- riusciamo a riconoscere tracce genetiche di migrazioni avvenute negli ultimi 2000 anni, nelle popolazioni europee di oggi (Normnni in Sicilia, Parlanti Ugro Finnico in europa orientale etc)?
- le conquiste imperiali (ad esempio: alessandro Magno) lasciarono tracce genetiche mutando il paesaggio delle regioni conquistate?
- dove hanno avuto origine le lingue Afro-Asiatiche, incluso l'Arabo e l'Ebreo?
- chi furono gli aborigeni africani? E i Berberi sono i loro discendenti?
- quanto grande è stato lo scambio genetico attraverso il Sahara?
- quale popolazione africana ospita oggi la linea filogenetica più antica, suggerendoci la sede d'origine dell'uomo moderno?
- come ha interagito il colonialismo euorpeo con le linee genetiche africane?
- possiamo determinare l'orgine dei Bantu e tracciare la loro espansione in Africa?
- avvenne unaddomesticamento separato di animali in Africa? E questo determinò un'espansione della popolazione?
- dove hanno avuto origine i popoli parlanti il Dravidico? Furono loro i primi indiani?
- qual'è stato il ruolo delle caste indiane nel determinare le linee filogenetiche locali?
- dove ebbero origine gli indoeuropeo parlanti e quale linguaggio si parlava prima?
- dove e quando uomo moderno colonizzò l'artico, inizialmente?
- chi erano i primi abitanti del Caucaso e perché vi esiste una così grande diversità linguistica?
- che ruolo ebbe la Via della Seta nel disperdere le linee genetiche?
- chi erano gli abitanti aborigeni dell'Indonesia?
- vi fu commistione tra H Erectus e uomo moderno nel sud est dell'Asia?
- quali sono gli schemi di variazione e diffusione nella Nuova Guinea e perché ospita una così grande diversità linguistica?
-esiste una concordanza tra le linee filogenetiche aborigene australiane e le loro tradizioni orali cantate?
- possiamo usare la genetica per seguire l'espansione da isola ad isola dei polinesiani nel Pacifico?
- è possibile ottenere Dna intatto da resti di H Erectus e da altri ominidi, per chiarire aspetti ancora oscuri della nostra storia?
- può essere usato Dna antico, per confrontare i cambiamenti nel tempo della composizione genica di una popolazione?

Come si vede, poche di queste ricerche (attualmente in atto in tutto il mondo) possono soddisfacentemente applicarsi anche alla Sardgna (dove sono però in corso ricerche genetiche, seppure di minore pretese): ma non v'è da dubitare che ogni passo avanti, per quanto apparentemente non correlato, farà del bene anche alla conoscenza del passato lontano di quest'isola...
-
maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 12:15:15
Quindi, è oggi possibile rappresentare graficamente, sulle mappe geografiche, gli spostamenti umani relativi alle migrazioni, avvenuti da 200.000 anni fa ad oggi.
Si tratta di mappe continuamente aggiornate in vari piccoli dettagli, in quanto il numero sempre crescente di soggetti studiati aggiunge sempre nuove notizie...
Esistono zone (temporali e geografiche) di "oscurità"?
La risposta è sì e le ragioni sono numerose.
In alcune zone si tratta di carenza di esami utilizzabili.
In altre, i flussi ed i reflussi di popolazioni che andavano e venivano, hanno cancellato più volte le tracce e decisamente troppo complicato il quadro.

Ma i risultati non sono ancora arrivati tutti e i genetisti sono ottimisti circa la possibilità di rispondere a domande alle quali prima era impensabile rispondere, solo con tecniche archeologiche "tradizionali".
maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 11:52:55
Il Tempo.

Se qualcuno desiderasse controllare ed approfondire questo argomento,annoto qui l'indirizzo del più grande studio mondiale sulla Genetica di Popolazione oggi in corso:

www.nationalgeographic.com/genographic/atlas.html

Ma - visto che ho fatto correlazioni fra spazio e tempo, dovrò dire almeno due parole al riguardo.

Il numero delle mutazioni accumulate in regioni cromosomiche non ricombinanti è stato utilizzato come “orologio molecolare”, con metodi induttivi poco graditi agli scettici .

La mutazione - come è noto - è un errore casuale nella replicazione di un nucleotide del DNA, così come un refuso lo è in un processo di stampa. Costituisce l’elemento fondamentale dell’evoluzione: ne avvengono circa 50 ogni generazione (su vari miliardi di nucleotidi).

Conoscendo il numero di mutazioni che si verificano in una generazione è facile risalire in linea teorica a quante generazioni siano occorse per creare le differenze riscontrate nel DNA di due individui diversi.

E quindi determinare anche l’epoca in cui due rami dell’albero filogenetico si sono separati.

L'esercizio non è dei più semplici, come potrebbe invece sembrare, dato che le mutazioni possono essere sia aggiuntive, sia sottrattive. Riconoscere l'azione sovrapposta di questi fattori - quando si presuppone che siano intervenuti più volte nel tempo e con azione contraria, richiede molta esperienza, chiarezza d'idee, l'abilità d'usare supercomputer appositamente programmati a svolgere questo incarico complicato e la perfetta conoscenza dei meccanismi con cui intervengono sul filamento del Dna le mutazioni. Il metodo è criticato proprio per via di queste difficoltà dai detrattori.

Ma ciò non toglie che il percorso umano è stato "mappato" a partire da più di 200.000 anni fa - in Africa - e sono ormai numerose le mappe su cui i singoli percorsi dei singoli aplogruppi hanno seguito nel corso delle loro migrazioni, nel tempo e nello spazio.

Proprio a Roma, in questi giorni, e fino al 12 febbraio, è in corso la mostra: "Homo Sapiens. La grande storia della Civiltà umana", presso il Palazzo delle Esposizioni via Nazionale.
Per chi volesse informazioni:
www.homosapiens.net
e anche
www.palazzoesposizioni.it
. I curatori sono Luca Cavalli Sforza e Telmo Pievani.
Due nomi di cui fidarsi, insomma.
maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 11:29:27
Per continuare il (noioso) discorso descrittivo dell'aplogruppo dei sardi,

La mutazione M170 avrebbe avuto origine in Europa circa 23000 - 28000 anni fa (Semino et al., 2000; Chiarelli, 2003; Rootsi, 2004) in popolazioni di cultura Gravettiana , la mutazione I-M26 avrebbe avuto origine in una popolazione rifugiatasi in Spagna e Francia meridionale, durante l’ultimo picco di glaciazione e si sarebbe diffusa in Sardegna all’incirca tra 13000 e 9000 anni fa (Passarino et al., 2001; Rootsi, 2004) .

L’aplotipo I-M26 è presente in tutta la Sardegna (Passarino et al., 2001; Zei et al., 2003), con frequenze geniche fino oltre il 30% (dall’1 al 7 % nella penisola iberica).

L' aplotipo R-M18 è esclusivo della Sardegna e origina per acquisizione di una mutazione dall'aplogruppo più antico R-M173.

L'interpretazione dei risultati fa risalire in modo lineare la popolazione sarda attuale da una popolazione ancestrale fondatrice che potrebbe aver raggiunto l'Isola in più ondate durante il Paleolitico superiore. I geni dei sardi si inquadrano perfettamente nell'ambito del pool genico europeo con grosse differenze però in termini di frequenze geniche (per lo più dovuti a effetto del fondatore e deriva genetica casuale).

I sardi attuali mostrano maggiore variabilità di quelli “nuragici”, come è ovvio, vista la tendenza globale all’amalgama: semplicemente, non sono più isolati come un tempo!

Alcune popolazioni sarde odierne, però, mostrano moltissime affinità genetiche con i sardi “nuragici”. (Gli Etruschi, invece, già molto meno omogenei in antico rispetto ai nuragici, non possiedono affinità con i toscani di oggi).

Per il momento è sufficiente avere stabilito che la Deriva Genetica ha agito realmente, in tutti i suoi aspetti, e non una volta sola sulla popolazione dei Sardi: già questo fatto basta a giustificare le differenze genetiche tra i sardi ed il resto del Mondo.
maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 11:25:12
La “Deriva Genetica”.
Uno dei fattori che sono stati citati più spesso, come responsabili dell’unicità del genoma sardo, è l’effetto “bottle neck” (significa "collo di bottiglia" e definisce l'effetto sul numero di una popolazione, molto ridotto in seguito all'effetto di una o più difficoltà ambientali, che possono esitare nell'estinzione).

Esso consiste in un episodio o combinazioni di essi, (migrazione, carestia, epidemia, guerra, glaciazione o altro) che può modificare grandemente il patrimonio genetico di una popolazione, generalmente non molto grande.

Conviene descriverlo con un esempio: se s’immagina il patrimonio genetico di una popolazione come costituito da 100 palline colorate contenute in una bottiglia, l’episodio accidentale che incide sul patrimonio stesso è rappresentabile con l’atto di versarne alcune fuori attraverso il collo di bottiglia (tanto per restare in tema), e poi di riporre la bottiglia: ciò che è uscito dalla bottiglia è la popolazione sopravvissuta...

Poniamo che vi siano geni molto comuni e numerosi, le palline blu (70%); altri meno frequenti, le palline rosse (10%) e gialle (19%); altri rari, una pallina bianca (1%). Il risultato del fatto accidentale è dato dal caso: statisticamente è molto probabile che, nella nostra popolazione nuova, si trovi qualche pallina blu (6). Forse, ce ne sarà qualcuna gialla (3). Potrebbe darsi il caso che vi si trovi la pallina bianca e nessuna rossa.

Avremo così una popolazione sopravvissuta all’evento, con una composizione genetica molto diversa da quella d’origine, sia in sostanza (totale assenza di palline rosse), sia in percentuale (molto più elevata per le palline bianche: da 1% a 10% e per le gialle, da19% a 30%, ridotta da 70%a 50% per le blu).

In casi severi, l’effetto collo di bottiglia può condurre all’estinzione
maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 10:16:36
Popolazione.
Una popolazione, invece, è caratterizzata dalla frequenza dei diversi genotipi e dei diversi alleli presenti nel suo contesto, che la distinguono dalle altre. S’intende quindi che una popolazione può cambiare, nel corso del tempo. Una popolazione si dice in equilibrio, quando le sue frequenze geniche sono prevedibili dalle sue frequenze alleliche e queste ultime non cambiano nelle generazioni. Una popolazione in equilibrio non evolve.
Le cause di un disequilibrio sono, cioè, fattori dell’evoluzione.
Le popolazioni possiedono frequenze alleliche e frequenze genotipiche, che le contraddistinguono. Le variazioni nel tempo delle frequenze alleliche sono oggetto di studio della genetica evoluzionistica, che ricostruisce alberi filogenetici con significato storico geografico.
Le condizioni perché una popolazione resti in equilibrio, oppure si evolva sono riassunte nella tabella sottostante, ove compaiono, contrapposti [non riesco ad appiare i dati della tabella, ma è chiaro che i numeri sono riferiti a fattori corrispondenti ed opposti] i fattori che agiscono in senso contrario:

1 Incroci casuali.
2 Una popolazione grande.
3 Un tasso di mutazione trascurabile.
4 Una migrazione trascurabile.
5 Una mortalità indipendente dal genotipo.
6 Una fertilità indipendente dal genotipo.


1 Inbreeding (incroci fra consanguinei).
2 Deriva genetica (popolazione piccola).
3 Mutazione (da pressione ambientale).
4 Migrazione (apporto di altri geni)
5 Selezione naturale.
6 Selezione naturale.


Nella seconda serie (corsivo) figurano fattori che i Sardi – intesi come popolazione – hanno conosciuto molto da vicino, in vari periodi antichi o recenti, nel corso della loro storia. Sono proprio questi fattori, quelli che hanno in più tappe ed in modi differenti cambiato profondamente il patrimonio genetico isolano, fino a farlo diventare ciò che esso è oggi: il genoma semplificato di una popolazione che è un isolato genetico, differente da qualsiasi altro, così distante da qualsiasi altra popolazione – in termini di distanze genetiche – da non potere essere rappresentato sulle carte cromatiche di gradiente, create a suo tempo dal prof. Piazza per l’Italia . Mentre in tutta la Penisola e la Sicilia si avevano gradazioni di colore che sfumavano l’uno nell’altro a seconda delle differenti frequenze geniche, la Sardegna mancava del tutto, oppure appariva bianca, con tante scuse da parte dell’autore per il disappunto dei lettori sardi .
maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 10:16:02
Differenza tra individui e popolazione.
Individui.
Gli individui posseggono, nel proprio patrimonio genetico, alleli e genotipi, che si esprimono nel fenotipo esterno, che noi tutti possiamo vedere e su cui basiamo i nostri giudizi estetici e talvolta – purtroppo – discriminanti e razzisti. (Aristotele credeva – giudicando dall’aspetto fenotipico – che la giraffa fosse frutto di un incrocio tra un ghepardo ed una gazzella! L’aspetto fenotipico è molto ingannevole e questo ne è un umoristico esempio).
Ma ciascun individuo resta – geneticamente – ciò che era alla nascita, per tutta la propria vita, fino alla morte.
È noto che ogni individuo possiede un mtDNA, (o DNA mitocondriale, citoplasmatico, che può essere usato per rintracciare la linea femminile dei suoi anteneati), mentre il DNA del cromosoma Y (che determina il sesso maschile ed è assente nelle donne, le quali se la cavano egregiamente anche senza) permette di rintracciare gli ascendenti maschili.
Gli altri componenti del DNA, contenuti negli altri cromosomi, si combinano variamente (quasi mescolandosi come le carte in un mazzo), ma il mitocondriale e l’Y non lo fanno. Mentre il restante DNA dei genitori si mescola in vario modo, il mt DNA del padre non entra (insieme al materiale nucleare dello spermatozoo maturo, che ne è privo) nella cellula uovo che formerà il nuovo individuo figlio. Invece il mtDNA materno, che è nel citoplasma, sarà invece sempre presente nel figlio (maschio o femmina).
Questi due tipi di DNA sono soprannominati DNA uniparentale o non ricombinante e offrono numerosi vantaggi: innanzitutto, una forte strutturazione geografica (in misura differente: la migrazione femminile è da sempre stata maggiore di quella maschile) [1]; mtDNA è inoltre di piccole dimensioni e già presente in molte copie in ogni singola cellula (ogni cellula possiede molti mitocondri) e pertanto agevola lo studio.

[1] Dupanloup I, Pereira L, Bertorelle G, Calafell F, Prata MJ, Amorim A, Barbujani G (2003) A recent shift from polygyny to monogamy in humans is suggested by the analysis of worldwide Y-chromosome diversity. J Mol Evol 57:85–97 - Seielstad MT, Minch E, Cavalli-Sforza LL (1998) Genetic evidence for a higher female migration rate in humans. Nat Genet 20:278–280.
maurizio feo Inserito il - 19/11/2011 : 09:04:14
Un tipo particolare di "clan" ancestrale.
Nello studiare il genoma per ricostruire una discendenza, i genetisti di popolazione ricercano quei punti precisi del DNA dove si sa che sono avvenute delle variazioni (mutazioni) per non dovere sempre sequenziare tutto il genoma, (operazione troppo costosa, attorno ai 200.000 – 300.000 euro per ogni singolo DNA: almeno, a questi prezzi viene offerto a ricchi privati che lo richiedono, il costo reale è minore ed è molto diminuito nell'ultimo decennio).

I punti con variazioni si chiamano markers. (Il marker, quindi, è quel tratto del cromosoma dove si cercano, in quanto statisticamente più probabili, le mutazioni avvenute nel tempo). Comunque, all'atto pratico, i due termini si possono usare con il medesimo significato.

Dato che si tratta d’eventi rari, che si sono verificati in qualche punto del passato in individui singoli, queste mutazioni dei markers permettono di definire linee uniche di successione, quasi come ricostruendo la linea genealogica in un clan (naturalmente, "clan" non è usato qui con lo stesso medesimo significato che la parola possiede nella descrizione dell'evoluzione antropologica: questi "clan" non si sono mai veramente radunati tutti insieme, ad esempio).

Se immaginiamo come un albero le migrazioni umane e l’evoluzione genetica, gli aplogruppi sono dei rami.
Due individui che posseggano lo stesso marker, devono avere avuto in comune un antenato, prima o poi nel passato: in un ramo più grosso, oppure addirittura nel tronco.
Seguendo a ritroso i rami di questo albero, (con studi su popolazione) si può arrivare al punto (che è temporo-spaziale, in realtà, non solo spaziale, come si vedrà) in cui i rami convergono, cioè al più recente antenato del “clan” che stiamo esaminando. Ogni volta, lo studio non permette di proseguire a ritroso più di un certo limite: anche se - avendo il materiale genetico - in teoria solamente potremmo risalire al primo "uomo"..

In termini genetici, questi clan si chiamano aplogruppi: ciascun aplogruppo è caratterizzato da un particolare accumulo di marcatori genetici . Ogni individuo può quindi essere assegnato al proprio aplogruppo (il “clan”, che fa capo ad un singolo individuo, maschio o femmina a seconda che si usi materiale Y oppure mtDNA) e si possono anche stabilire correlazioni fra aplogruppi differenti. Naturalmente, sono stati individuati diversi aplogruppi, affiliazioni e sottogruppi: siccome per ognuno si usano sigle fatte di numeri e lettere, la denominazione di ciascun “clan” diventa un poco complicata. Gli individui che si possono fare risalire al medesimo aplogruppo non sono affatto necessariamente simili: essi possono presentare differenti aplotipi (varianti alleliche strettamente correlate, perché situate sul cromosoma molto vicine tra loro, che vengono quindi ereditate tutte insieme).

Per il cromosoma Y, la frequenza distributiva in Europa è stata ascritta a 7 gruppi principali (caratterizzati dalla lettera M, per marker), che rappresentano il 95% della popolazione attuale.
L’aplogruppo R1b (marker M343) è molto frequente nel versante atlantico e decresce in frequenza procedendo verso est (quasi tutti i maschi irlandesi, un terzo di quelli ungheresi e polacchi). Quasi speculare ad esso è l’aplogruppo R1a1 (marker SRY10831.2), molto frequente in Europa orientale e parte dell’Asia.
J2 ed E3b si distribuiscono specialmente in Europa meridionale, nel Medio Oriente (in Grecia, circa un quarto della popolazione maschile), svanendo in Europa settentrionale.
I1a ed I1b sono rispettivamente accentrati in Scandinavia e nei Balcani e testimoniano dell’antichità di scambi e migrazioni tra uomini del centro e del nord europeo.
L’aplogruppo N, presente in Scandinavia e nell’Asia settentrionale, sta a dimostrare invece che la separazione fra popolazioni nordiche ed occidentali/meridionali è comunque stata molto forte e netta.

Molto più numerosi sono gli aplogruppi ottenuti con il mtDNA.
Il più famoso, L0 è quello che fu definito dell’”Eva mitocondriale” e dette origine a diversi malintesi. Si formò presumibilmente 100.000 anni fa e rappresenta – piuttosto che la prima donna, come fu erroneamente esclamato – il punto più antico dell’albero mitocondriale a cui si possa risalire con la genetica. Infatti, le prove archeologiche e fossili depongono per un’origine dell’uomo discretamente più antica: circa 200.000 anni fa (anche se comportamenti umani moderni sono datati solamente attorno a 50.000 – 70.000 anni fa: il che significa che non consideriamo propriamente umano ciò che è esistito prima).

I sardi appartengono all’aplogruppo I (che ha frequenze elevate in Bosnia e Scandinavia) in particolare al sottogruppo I1b1b, che è tipico dell’isola (ne esiste una presenza nella zona dei Pirenei).
Anche l’aplogruppo G, branca dell’aplogruppo F, è relativamente frequente in Sardegna (13,8% nella media della popolazione sarda, con punte del 25% nel nord dell’isola) e nei Pirenei: fanno capo ai markers M201 ed M89, rispettivamente, e sarebbero indice di migrazione dall’Anatolia.
L’aplogruppo G si sarebbe formato circa 20.000 anni fa, secondo il YCC (Consorzio per il Cromosoma Y).

Bisogna essere molto prudenti e ragionevoli, nel tentare di trarre conclusioni dai dati: e questo è "il ponte degli asini" che distingue in genere i ricercatori scientifici dai ricercatori di best sellers.

Da quanto riassunto sopra, qualcuno "dedurrebbe" con certezza che i Protosardi navigatori ed indomabili conquistarono in passato i paesi Scandinàvi, ad esempio; probabilmente "saprebbe" anche quale nome essi davano a sé stessi (ho qualche sospetto sul nome più probabile), quali navi usassero ed altre amenità.
Altri - adducendo anche prove rigorosamente "interdisciplinari" (ad esempio linguistiche) - trarrebbero la conclusione "definitiva" che i Protosardi derivano dalla Spagna, magari dalla zona dei Pirenei.

Faccio qui notare che costoro - sia quelli più accreditati, sia quelli non accreditati - non conoscono la Genetica, né sanno interpretare le scoperte della Genetica di Popolazioni.

Nessuna deduzione, ancora è possibile dalle incompletissime nozioni parziali fin qui riportate.

Trambuccone Inserito il - 18/11/2011 : 22:45:44
Spiegazione chiarissima e utilissima, almeno per me.
Grazie Maurizio, carry on!
T.

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