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Nota Bene: Is Fassõis - ossia "I fascioni (di giunchi)", è il nome sardo di origine latina che si assegna alle straordinarie imbarcazioni degli stagni di Santa Giusta.
Il "Fassõis", lungo quattro metri e largo, al massimo, un metro, è composto, come dice il nome, da "fascioni" di giunchi che crescono sulle rive lacustri, detti "su fenu" e "sa spadua", legati in modo da rendere appuntita la prua e tronca la poppa.



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 Sardegna da divorare

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Agresti Inserito il - 27/09/2007 : 09:41:49
Volevo segnalarvi questa nuova uscita editoriale,
che ha destato la mia curiosità

Sardegna da divorare

di Antonangelo Liori



Un viaggio e un percorso. La riscoperta del cibo come punto di riferimento di una cultura alta, completa, conservatrice di quei valori più importanti per l'uomo. Il cibo, le sue ricette, i modi di preparazione che si tramandano da secoli, riscoperti e riproposti con ineguagliabile verve da chi è consapevole che l'alimento non deve servire esclusivamente a soddisfare il palato e lo stomaco. Il cibo è paradigma - o metafora - di un concetto e stile di vita. Alla base dell'esistenza stessa. In un mondo che sembra sempre più rincorrere falsi ideali di bellezza e miti edonistici ogni giorno più perversi, questo libro riconcilia il lettore con la buona tavola, con il desco imbandito dove si sorseggia il vino e ci si ciba non solo pensando al ventre ma anche all'anima. Ed allora ecco il percorso che si snoda tra colline, montagne e pascoli, alla ricerca di erbe, sapori, odori, ortaggi, carni, genuinamente prodotte e amorevolmente raccolte, dove ogni incontro con il "prodotto" naturale è propizio per indagare più a fondo su quello che eravamo e quello che siamo diventati.

Zonza editori
pag 128
13.00 €

Il libro lo potete trovare quì

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***LIBRIDISARDEGNA***
6   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Avendrace Inserito il - 05/12/2007 : 19:05:20
concasciorta ha scritto:

...Contiene molte imprecisioni, e di esse, secondo me, non poche sono volute. Tanto per sfruttare l'esotico.

amellusbiri

Non conosco il libro ma so quante bufale circolano sulla cucina. Gli esperti di gastronomia lo sanno e sono molto cauti nel trattare le informazioni.

Esempio: nella Grotta della Vipera, a Cagliari, c'è un'iscrizione romana in cui è citato lo zafferano. Non è detto che, a quel tempo, il prezioso aroma fosse già conosciuto dai sardi. Chi ha composto le rime era prezzolato dal committente e probabilmente non era sardo. Piuttosto, è certo che in una lista di provviste del periodo medioevale compare lo zafferano. Questo prova che in quella casa era utilizzato, magari per tingere i tessuti. Neanche in questo caso possiamo avere la certezza assoluta che se ne facesse un uso alimentare. E' un caso estremo, ma rende l'idea di come sia facile prendere abbagli. Figuriamoci quando ci si affida ai ricordi non scritti...


Fioresardo
concasciorta Inserito il - 05/12/2007 : 18:46:42
Io l'ho letto e l'ho trovato interessante solo per chi della Sardegna e delle sue tradizioni alimentari non sappia nulla. Contiene molte imprecisioni, e di esse, secondo me, non poche sono volute. Tanto per sfruttare l'esotico.

amellusbiri
Agresti Inserito il - 20/11/2007 : 12:33:06
purtroppo non sono riuscita a leggerlo e devo dire che non l'ho visto neanche in libreria
per poter avere una qualche idea

comunque dalle varie recensioni sembrerebbe più che interessante..


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***LIBRIDISARDEGNA***
babi81 Inserito il - 19/11/2007 : 23:05:52
Mi incuriosisce questo libro... pensavo di regalarlo per Natale ai miei zii che hanno un ristorante sardo in lombardia... chi l'ha letto me lo consiglia?
Tranquillo Inserito il - 14/11/2007 : 13:43:04

"Sardegna da divorare".... potrebbe essere il mio sottotitolo!!!



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(Vorrei tanto esser un fungo.... avrei qualche probabilità d'esser colto)
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Agresti Inserito il - 14/11/2007 : 12:54:27
Per chi come me esplora i riti gastronomici delle grandi culture è stata una felice scoperta il libro “Sardegna da divorare” di Antonangelo Liori (Zonza Editori, pag 125, 13 euro, giugno 2007). Che s'intitola proprio così ma contiene (come recita il sottotitolo) “le ricette mitologiche di una terra perduta fra inganno e magia”. E mantiene felicemente fede alla consegna dalla prima all'ultima pagina. Trascorrono così trenta ricette che sono autentici quadri di vita, con una analisi attenta dei prodotti e dei gesti che giustifica ritmi stagionali e ruoli. Usi e costumi che stanno sparendo.
Antonangelo Liori nasce a Desulo nel 1964. Giornalista di quotidiani, televisioni e periodici da quattordici anni, è stato anche autore e programmista Rai. La madre viene da una famiglia di pastori e il padre ha trascorso una vita commerciando proprio con i pastori, fornendo loro “campanacci per le pecore, gambali, portafogli di cuoio, coltelli, forbici per tosare, fiscelle per fare il formaggio, e caldaie di alluminio per la caseificazione”. Da attento osservatore della realtà che lo circonda, l'autore esplora un mondo fatto di storie e di storia. Si sente forte nella sua scrittura il groppo che gli prende la gola nel ricordare quando, bambino piccolo, si fermava sulle scale in modo da non essere visto, per osservare la madre che come una vestale preparava la pasta fresca.
Assolutamente da leggere e rileggere il capitolo intitolato “sa menestra de ervethu”. Minestra di erbacce selvatiche in uso nella sua natìa Barbagia, piatto della carestia “di una quaresima strutturale che investiva la gente per 365 giorni all'anno”, cinque diverse erbe (nella mia Liguria di Levante diremmo “erbi”) in cinque diversi mazzi: vrenucru agreste, lampathu, apara, ungra e' zironia, apriheddu. Finocchietto selvatico, bietola selvatica, porro, una sorta di sedano nano piccantissimo, e infine una specie di piccola erba lattiginosa che si trovava in ogni cunetta e che oggi è quasi scomparsa: s'apriheddu. Credo che questo esempio di conduzione possa bastare per far capire con quale metodologia Liori abbia scritto il libro. Che ci introduce in vari mondi gastronomici: su cas'aghedu, su zurrette, discutendo del formaggio in felce, della cassola di zucchine e uova, del pane di San Giovanni, delle patate biscottate con guanciale e ricotta secca, felice viaggio dentro fagioli freschi e patate sulle felci, pane gutiau, capra in crosta, pera mamoi.
Nei tempi di supermercato che ha raggiunto ormai ogni paese della Barbagia, resta un sogno questa cucina? Liori sa bene che molto è perduto. Ma il suo è un accorato bisogno di fermare nel tempo immagini e riti gastronomici che hanno segnato tempi di fame ma anche tempi di genuino stupore delle papille. Perchè si mangiava con la testa prima ancora che con la pancia.

Gabriella Molli

www.epulae.it


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