V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Fish |
Inserito il - 15/10/2006 : 17:14:38 Sono nuovo di questo forum, però mi piacerebbe condividere con voi questo racconto che ho scritto qualche tempo fa. Spero vi piaccia. Lo posto a puntante, anche perché è lunghissimo. Ovviamente, teatro della vicenda narrata è il mio paese, Villacidro. Il tempo? Beh... un tempo imprecisato di inizio ventesimo secolo... Spero di non tediarvi. Nel caso, sarà sufficiente dirlo e non andrò oltre.
Prologo L’autunno timidamente cominciava a vestire dei suoi colori il paesaggio circostante Villacidro. Il piccolo centro, abbarbicato fra le due vette che sovrastavano il Campidano, Monte Omo e Monte Cuccureddu, ammiccava con le sue casupole di fango e paglia, dai tetti di tegole di terracotta rossa. Il campanile medievale di Santa Barbara, che dominava imperioso sulle povere abitazioni, rintoccava l’ora con le sue campane di bronzo, qualche anno prima donate alla piccola parrocchia dal Vescovo in persona. Villacidro era davvero un bel paesello. Composto da poco più di mille abitanti, costituiva un forte richiamo per i paesi circostanti. I suoi ricchi orti di ciliegi e aranci e i suoi uliveti producevano quanto di meglio quello scorcio di Sardegna sud occidentale potesse offrire allora. E tuttavia, il piccolo centro non viveva solo d'agricoltura: sulle sue montagne, oltre il Leni, e su quelle a nord verso Monte Margiani, i pastori villacidresi portavano le loro capre al pascolo, fra arbusti di lentischio e lecci secolari; e a est, oltre le ondulate colline che cominciavano a divenire pianura, le vacche, i buoi e le greggi di pecore, dominavano il paesaggio, alternandosi a campi di grano e distese di uliveti e mandorli, salvo qualche sporadica intromissione di sughereti che, incrinati e contorti dal vento di maestrale, erano stati un tempo gli unici dominatori della flora circostante. I villacidresi amavano il loro paese a imbuto. In una posizione sovrastante, era un intrico di viottoli sterrati e stradine di pietra che si arrampicavano nei pendii circostanti, per perdersi nei sentieri, tra fitti boschi di lecci rigogliosi che regnavano sulle loro addolcite pareti; oppure, laddove il collo dell’imbuto si stringeva, sfumanti verso l’interno, nella ricca boscaglia di Castangias, ove sgorgava una piccola sorgente che, divenendo un piccolo fiumiciattolo (il rio Fluminera), tagliava in due il piccolo centro pedemontano. La piazza di Santa Barbara era il centro del paese. A ridosso dell’imponente chiesa medievale e delle due chiesette commemorative dedicate alle Anime e alla Madonna del Rosario, v’era una piccola piazzola assai trafficata dal via vai quotidiano di donne che, piegate dalla fatica del bucato, tornavano dal Lavatoio con le ceste della biancheria sul capo, e di uomini che, altrettanto stanchi e logori per la dura giornata di lavoro, provenivano dalle campagne circostanti, sognando un ceppo e una cena calda. Oltre la piccola piazza, costruita con fitti mattoncini rettangolari e di fianco alla chiesa delle Anime e al Montegranatico, si apriva un altro ampio rondò: piazza Zampillo, la quale, tra le verdi fronde di imponenti alberi di tiglio, dominava lo scarno paesaggio con la sua fontana circolare e le sue panchine di legno ingrossato dagli acquazzoni invernali. Punto di incontro, in quella stagione tardo estiva, di vecchi e giovani, era circondata da consumati edifici di pietra e fango e dal piccolo rio Fluminera che separava la piazza dalla via Roma, la quale saliva, prima di proseguire più giù verso piazza Funtanedda, sulla piazza Frontera, dalle cui fitte scalinate si accedeva al vecchio convento dei mercedari, divenuto poi il Municipio. Ma è proprio andando oltre piazza Frontera, scendendo verso piazza Funtanedda, verso la periferia estrema di Villacidro, dove le case si diradavano, alternandosi sempre più frequentemente all’aperta campagna, agli orti di aranci e di ciliegi e ai non più infrequenti uliveti, che inizia la curiosa storia che vede protagonista una delle famiglie più in vista e benestanti del paese: i Dettori.
I La dimora dei Dettori, costruita cinquant’anni prima da Don Raimondo Dettori, ricco notabile cagliaritano che si era innamorato del piccolo paese alle pendici della catena del Linas, era una casa padronale di insolita bellezza. Sita oltre piazza Funtanedda, verso la zona chiamata 'De S’Asteria', per via della presenza di un edificio adibito a rifugio e fermata dei viandanti, era circondata da ampi giardini e folti aranceti, tutti di proprietà della benestante famiglia. Il tutto accadde in un giorno di fine settembre. L’autunno cominciava ad affacciarsi timidamente, intarsiando il cielo con le sue leggere plumbeità, mentre il sole s’intiepidiva e la vegetazione cominciava a perdere il caratteristico colore giallo bruciato dell’estate, per rinverdirsi prima del freddo invernale. Era il periodo in cui intere famiglie di contadini si recavano negli uliveti e iniziavano la lunga stagione dell’olio. Quel giorno, in casa Dettori, Caterina guardò di sottecchi la sorella, mentre nervosa si mordeva il labbro e con le mani si stropicciava il grembiule bianco ricamato con fitti disegni colorati di fiori e angeli, regalatogli il giorno della cresima dalla zia di Cagliari, Donna Rachele. “Davvero? E quando è successo?“ chiese la sorella, fissando la ragazza. “Due mesi fa!... Oh, Teresina!” Caterina, con le lacrime agli occhi, si buttò sulla ragazza, ed entrambe caddero sul letto ricoperto con una grossa e morbida coperta di cotone dai grossi quadri e rombi colorati finemente lavorata a mano. “Che cosa debbo fare?” “Dai… alzati! E cosa ne so io? Per me è tutto così ridicolo!” Caterina allora si alzò, si sistemò i folti capelli neri racchiusi accuratamente in una cipolla, e cercò di ricomporsi la lunga gonna di cotone nero, ornata con semplici disegni geometrici che richiamavano curiosamente quelli della coperta. “Oh, povera me!...” continuò a mugolare. “Sono una donna finita! Ti prego, sorella, aiutami!” Teresina, ancora seduta sul grande letto morbido, riempito di piume d’oca, sbuffò, scuotendo la testa ricca di folti capelli rossicci che contornavano un viso più allungato rispetto a quello di Caterina, ma non per questo meno bello. “Ti ripeto che la tua è una fissazione!” insistette. A quella considerazione, Caterina inorridì: il suo bel viso rotondo si trasformò come per magia in una maschera smorfiosa e stizzita. “Una fissazione? Fosse capitata a te!” sbraitò, indignata, mentre camminava nervosa avanti e indietro. In quell’istante, Donna Maria Spanu, con la sua mole imponente, passava per il corridoio attiguo alla camera delle due figlie. Gioiosa e pimpante come ogni mattina, bazzicava infatti per la casa linda e pulita, assaporandone la magnificenza e l’eleganza, grazie soprattutto agli arredamenti superbi importati direttamente dal continente. E tuttavia, quando il suo viso leggermente paffuto, sinonimo di un allegria e vitalità che solo Caterina aveva ereditato, passò dinanzi alla porta della camera delle due figlie, udendone l’animata conversazione, si contrasse incuriosito e dubbioso. Donna Maria si fermò senza indugio, e dopo aver scrutato il corridoio, fino alle strette scale di legno che portavano al pian terreno, per vedere se Lucia Musinu fosse nei paraggi, si accostò alla soglia dell’uscio, tendendo l’orecchio e giustificandosi che era suo dovere sapere che cosa combinassero le sue due bambine in quel giorno non andate a scuola. “Sono spacciata. Lo so!” diceva Caterina, piagnucolante, sempre più disperata per il suo pesante problema. “Ormai sono passati dei mesi da quando lui mi ha toccata… Ora non mi vuole più vedere! Dice che se insisto, lo dirà a mammài! Mi sento così male, sorella mia… Guarda il mio ventre… è così gonfio che…” All'udir quelle parole, il viso pienotto di Donna Maria attraversò i colori dell’arcobaleno, per sbiancare tutto d’un tratto e divenire cereo come quello dei morti. Con gesto teatrale, la matrona si portò la mano al generoso petto, e si allontanò barcollando e piroettando, cercando di farlo in silenzio, per non farsi scoprire. Tuttavia, non ci riuscì: cadde infatti sul vaso da notte ancora fuori dalla sua camera, rovesciandone il giallo contenuto. Il clangore del pregevole recipiente in ferrosmalto bianco destò le due sorelle che si affacciarono sul corridoio per capire cosa fosse successo. “Mammài! Cosa fai lì per terra?” chiese Teresina, stupita, correndo verso la donna a pancia all’aria e tutta inzuppata. “Come hai fatto a cadere?“ La donna slavata, tirata su a forza dalla figlia, si alzò, e cercò di sorridere nervosamente, evitando lo sguardo di entrambe. “Oh, piccole mie…” tentò di abbozzare, scuotendo la mano. “Nulla, nulla. Non ho visto… il vaso. Anzi…” E assumendo un aria incattivita, gridò: “Lucia! Lucia! Dove ti sei cacciata? Vieni immediatamente!” La serva, una donna curva, già avanti con l’età, arrivò quasi immediatamente, salendo le strette scale in legno in fondo al corridoio, che scricchiolarono sinistramente al suo passaggio pesante. Quando vide la chiazza sul pomposo tappeto che ricopriva le assi costituenti il pavimento del secondo piano della casa, e le grosse macchie sul vestito della padrona, intuendo cosa fosse successo, alzò gli occhi al cielo: “Oh, Signore misericordioso! Com’è successo?” Donna Maria, infastidita da quell’esclamazione melodrammatica della serva, assunse un'aria sdegnosa. “Dimmelo tu! Perché quel vaso è ancora qui?” Lucia stava per rispondere, quando s'accorse che la donna, volgendo le spalle alle figlie, le faceva dei gesti facciali del tutto incomprensibili. Allora indugiò un attimo prima di parlare, finché, non capendo nulla del modo strambo di comportarsi di lei, s'irritò e le disse in modo sarcastico: “Oh sa meri, avete qualche moscerino nell’occhio che vi disturba? Perché se è così, ve lo levo io!” E fece per allungare la mano verso il viso della padrona, quando Donna Maria l’allontanò con un gesto stizzito. “Ma che dici!” sbraitò la matrona. “Mettiti a pulire immediatamente questo scempio,” e rivolgendosi alle figlie ancora lì, con aria sommessa e gentile, disse loro: “E voi, piccoli fiori di mamma, tornate pure ai vostri studi che qui ci pensiamo io e Lucia. Su, andate…” Le due ragazze si guardarono dubbiose per quell’insistenza, alzarono le spalle e, come se niente fosse, tornarono in camera loro, rinchiudendosi nuovamente nei problemi di Caterina che non accennavano ad acquietarsi, nemmeno dopo quell’episodio. Quando la porta si serrò, il volto di Donna Maria assunse un'aria grave, quasi disperata. Prese la serva per il bavero del colletto e la trascinò nella propria camera da letto. “Oh, serva mia,” cominciò a lamentarsi sommessa. “Oh, serva mia che disgrazia che è capitata nella buona casa di Don Raffaele Dettori!” La serva non capì: dal suo sguardo smarrito, poteva intuirsi che pensasse che la propria padrona fosse uscita di senno per la brutta caduta. E quando Donna Maria l’ebbe lasciata, se ne allontanò: il puzzo, evidentemente, era troppo forte anche per lei. “Ma che dite?” si limitò a chiedere. “Siete sicura che la caduta non v’abbia danneggiato?” Donna Maria si sedette nello scranno, e si mise le mani sul volto. “Oh, Lucia, Lucia, la mia Caterina… La mia Caterina, che sventura che le è capitata! Povera figlia mia… disonorata da un uomo!” Lucia continuava a non capire. Quelle parole, dette da Donna Maria, erano davvero strane. Cercò una sedia per sedersi, ma nella bella camera da letto della padrona, le cui pareti erano ornate con una vivace carta da parati che riproduceva allegri disegni vittoriani, l’unica sedia era occupata proprio dalla matrona. Allora si rassegnò a rimanere in piedi, poggiandosi delicatamente sul comò sopra il quale troneggiava un grande crocifisso, riflesso nello specchio sovrastante. “Volete spiegarvi meglio, oh sa meri?” chiese. Donna Maria annuì. Smise di singhiozzare, e asciugandosi le lacrime che le avevano inondato il viso, raccontò quello che aveva udito. Quando ebbe finito, pure Lucia Musino cominciò a disperarsi. “Oh, povera Caterina,” gemeva la vecchia serva, adagiata sulla spalla di Donna Maria. “Chi sarà l’ignobile che ha potuto fare questo alla figlia di Don Raffaele?” “Dobbiamo scoprirlo, fedele Lucia,” disse Donna Maria, alzandosi e cercando di assumere un aria dignitosa. “Dobbiamo capire chi è che ha compiuto il misfatto, affinché ripari!” Lucia, rossa in viso, annuì, incurante del puzzo sempre più intenso che emanava dalle vesti di Donna Maria. “Si, si. Dobbiamo scoprire il colpevole. E’ necessario che paghi caro questo abuso! Al mio paese, Desulo, certe cose si riscattano con il sangue!” “Ma che dici, sciagurata!” la rimproverò Donna Rachele, spingendola via per tornare a sedersi sulla sedia. “E poi, dimmi, chi la sposa la mia Caterina in quello stato! Me lo spieghi?”
Continua...
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15 U L T I M E R I S P O S T E (in alto le più recenti) |
Paradisola |
Inserito il - 30/10/2006 : 23:30:49 Mi unisco ai COMPLIMENTI Davide!! |
Ela |
Inserito il - 29/10/2006 : 00:21:11 Bravo Fish!!!!Mi è piaciuto molto....Aspettiamo un altro racconto..
C'esti un'isola in su Mediterraniu aundi s'aria fragada de mari,de terra e de mirtu.....esti sa Sardigna...... |
Albertina |
Inserito il - 28/10/2006 : 23:23:23 Complimenti Fish, a attrus contus. Nel prossimo, di cosa ci parlerai? Aspetteremo con pazienza, ciao, buona domenica
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Fish |
Inserito il - 28/10/2006 : 21:53:30 Cara Cedro del Libano, grazie tante delle tue belle parole. In realtà, non sono proprio un novizio della scrittura, visto che scrivo ormai da tempo. Peraltro, ho avuto la soddisfazione di veder selezionato un mio racconto (con relativa pubblicazione) al premio letterario Sinnus, Segnali di Confine, che si svolge a Siurgus Donigala ogni anno.
Detto questo, eccovi la conclusione.
X Teresina aprì gli occhi, alzandosi di scatto dal letto. Si guardò attorno e vide Caterina ancora addormentata che parlava nel sonno. Si alzò e andò a destarla. La ragazza aprì gli occhi. “Che c’è?” “Come stai?” Caterina si stropicciò il viso. “Bene. Perché?” “Hai sognato qualcosa stanotte?” La sorella ci pensò su. “Nulla di particolare… Ero troppo stanca per la giornata di ieri… Quella gita bagnata e con l'eclissi che abbiamo fatto a Monti Mannu, assieme a Mammai e Babbai, mi ha spossata… Ma perché questa domanda? “E il tuo disturbo?” Caterina strabuzzò gli occhi, si toccò il ventre con circospezione. “Sorella mia, è scomparso! Aveva ragione il dottore! Il mio era solo un gonfiore causato dal corpetto. E quella tisana che mi ha dato mi ha fatto davvero bene.” “Certo,” gli rispose Teresina. “Cerca di mangiare di meno però, e vedrai che il corpetto non ti darà più fastidi!” Caterina fece il viso offeso. “Perché, secondo te, io mangio troppo?” Teresina, alzandosi dal letto della sorella, sorrise. “Beh, tu assomigli troppo a mammài. Non è un mistero che mangi!” Caterina si alzò. “Sei una screanzata!” le fece. “Essere la sorella maggiore non ti da diritto di trattarmi così…” Poi trasalì. “Che ore sono?” L’orologio a pendolo faceva un quarto alle undici. “Così tardi? Ma… come mai nessuno ci ha svegliate?” Proprio in quel momento esplosero delle voci concitate che provenivano dalla camera affianco. Le due sorelle aprirono la porta e videro i genitori, poco fuori dalla stanza, che discutevano. “Ma com’è che è così tardi?” sbraitava Don Raffaele, mezzo vestito. “Ma non è possibile!... Lucia!” urlò. Donna Maria, intanto, aiutava il marito a sistemarsi la camicia. “Abbiamo dormito troppo, marito mio… La giornata di ieri… E comunque, non c’è da preoccuparsi. Oggi è domenica.” Don Raffaele scosse la testa. “E con ciò? I miei animali non lo sanno che oggi è domenica!... Lucia!” insistette. “Ma ci sarà pure qualche servo pastore a badarle! No?” obiettò Donna Maria, spazientita, mentre gli spazzolava la giacca di velluto verde. “Forse Basiliu…” “Quell’ubriacone?!” sbottò Don Raffaele, bloccandosi di colpo. “Giustappunto lui! Prima di andare a Monti Mannu, l’ho spedito a Santu Miali. L’altra notte ha fatto una cagnara, giù nel piazzale! Era chiaro che fosse ubriaco fradicio!” E riprendendo a vestirsi, urlò nuovamente: “Ma dov’è quella benedetta donna?!” Si sentì uno scricchiolio nelle strette scale, e la figura della serva apparve. “Don Raffaele, che c’è? Perché gridate così?” “E’ tardi!" gli rispose lui, stizzito. "Perché non mi hai svegliato alla solita ora?” La serva parve offesa. “E quando mai io ho svegliato voi, oh su meri?” Don Raffaele imprecò. “E’ vero... Però, visto che l’ora si faceva tarda, potevi pure preoccuparti di venire a vedere perché nessuno si svegliava.” “Oh su meri,” rispose Lucia, visibilmente irritata, “anche se sono solo una povera serva, sono una cristiana. E come tutte le brave cristiane, la domenica vado a messa. Per cui, io sono uscita questa mattina, ho detto il rosario e ho ascoltato la parola del Signore!” Caterina e Teresina risero. Don Raffele, sentendo quelle risa, si voltò. “E voi? Come mai siete ancora in vestaglia?” Le due ragazze arrossirono, e il loro viso si fece serio. “Babbài,” fu Teresina a parlare, “anche noi abbiamo dormito come sassi. Forse la colpa è della bella giornata. Non come quella di ieri...” “Dai, lasciale stare,” intervenne Donna Maria. “Oggi è domenica.” L’uomo brontolò qualcosa e si diresse verso le scale. “Va bene, va bene. Io vado. Sarò a casa per pranzo.” Dopo che se ne fu andato, Lucia Musinu si avvicinò a Donna Maria. “Ma si è alzato male, Don Raffaele?” La donna alzò le spalle e sorrise. “Deve aver fatto qualche brutto sogno. A un certo punto ha gridato nel sonno. Quando si è svegliato mi ha guardata e ha esclamato: ‘un corvo’!’” Teresina e Caterina si guardarono. “Brutto sogno davvero,” e risero nuovamente. Donna Maria allora guardò le figlie con aria seria. “Che ridete voi? Perché non andate a vestirvi? Visto che non si è andati a messa, bisogna approfittare per pulire.” E guardando la serva con complicità, aggiunse: “Vero Lucia?” La serva annuì seria. “Ci sono un bel po’ di cosette che vorrei farvi fare. Quando vi sposerete, dovrete essere capaci a far tutto…” Le due ragazze s’incupirono. Senza proferire ulteriori parole, entrarono in camera loro. La giornata si preannunciava inaspettatamente faticosa.
L'orologio del campanile rintoccò mezzogiorno. Il dottore chiuse gli occhi in una smorfia di dolore. Poi li riaprì e rimase immobile a fissare la strada. Il mal di testa non gli era ancora passato del tutto. “Passerà,” fece Rosina Matta, la sua governante, mentre, con modi spicci e veloci, gli rifaceva il letto. Gioacchino Murgia si voltò e sbuffò. “Questo è poco ma sicuro, Rosina. Dottor Serpi ha fatto un ottimo lavoro sul taglio... Solo che non riesco ancora a capacitarmi di cosa possa essere successo.” La governante scosse la testa. “Non chiedetelo a me, oh su dottori! Siete uscito ieri mattina, dicendo che vi recavate dai Dettori, poi invece vi abbiamo trovato verso sera nella zona della Spendula, ferito e svenuto.” “Appunto!” fece il dottore, perplesso. “Io non ricordo di come ci sono arrivato alla cascata! Non ricordo che volessi andare per funghi... Cos'hanno detto i Dettori?” “Non c'erano ieri. Così ha riferito la serva quando siamo andati da loro... Ha detto pure che voi certamente non v'eravate visto... E comunque, oh su dottori, quando vi abbiamo trovato, il cestino e il coltello l'avevate... Il colpo vi ha fatto perdere la memoria.” Il dottore, toccandosi la fasciatura sul capo, annuì. “Hai ragione, Rosina. E che non m'era mai capitata una cosa simile...” “C'è sempre una prima volta,” ribatté la donna, che gli si avvicinò con maggiore dolcezza. “Su, ora venite di là che vi ho preparato un buon brodo di pollo.”
Graziedda Salis aveva ancora un po' di nausea. Il giorno prima era stata malissimo e non era uscita per nulla; e la notte, peraltro, non aveva neanche lavorato (per quanto lei lavorasse con i villacidresi, visto che la sua clientela era composta soprattutto da ricchi notabili dei paesi limitrofi). Spostò il piatto della minestra e si alzò. Era indecisa se uscire un poco o restare ancora rintanata in casa. La giornata era stupenda e non sarebbe stata una cattiva idea salire fra le montagne e restare lì a pensare alla propria misera vita. Ci pensò un attimo, e alla fine, dopo un bel sospiro, decise che l'idea non era proprio cattiva. Forse una bella passeggiata verso Monte Margiani l'avrebbe rilassata. Magari avrebbe pure incontrato qualche simpatico pastore che, in cambio di qualche carezza, le avrebbe regalato una bella forma di formaggio e un po' di latte fresco. Con quel pensiero, leggermente divertita, sorrise. Così, senza indugiare oltre, prese una piccola brocca, si mise uno scialle sulle spalle e uscì, dirigendosi verso Seddanus. Era proprio una bella giornata, convenne tra se, mentre assaporava il tiepido sole autunnale sul viso. Epilogo Il giorno si avviava lentamente al tramonto. Le prime stelle, come capocchie di spillo, cominciarono ad ammiccare nel cielo terso: le minacce di piogga del giorno prima, infatti, erano completamente svanite nel vento autunnale che iniziava a imperversare sempre più frequentemente nella pianura campidanese, mentre i contadini preparavano la raccolta delle olive, stendendo ampi teli bianchi sotto le piante, e scuotendone con le canne i folti e grassi rami. Ma il vento correva pure fra i monti, dove i pastori trascinavano ancora le proprie greggi, in cerca degli ultimi germogli, prima del freddo invernale e delle calde stalle in cui gli animali sarebbero stati rinchiusi fino alla successiva primavera. E il vento, già vestito di freddo autunnale, imperversava anche fra le case del piccolo centro pedemontano. E fra queste case, ve n’era una in particolare: una catapecchia fatiscente, dove una vecchietta, il cui capo imbiancato era racchiuso in un fazzoletto nero, masticava lentamente il suo pane secco, inzuppato nel latte appena munto. Accanto, stava Lucia Musinu che la osservava con soddisfazione. “Buono?” chiese. La vecchietta, con fare arcigno, bofonchiò un’affermazione e continuò a masticare. “Ce la siamo vista brutta, Giuannica. Non credi?” insistette allora Lucia Musinu. Giuannica Marajani annuì. ”C’è mancato poco si!” esclamò, fermandosi dal masticare. “Munda Marixi ti stava per accoppare!” e rise. “Sai che non poteva,” le ribatté Lucia Musinu, sorridendo. “Tra streghe non ci si può ammazzare. E’ stato merito tuo, se lei ora è tornata al diavolo.” “Già. La legge parla chiaro…” “Comunque sia,” disse Lucia Musinu, “ci siamo liberate di un bel pericolo. Le due figlie dei Dettori l’hanno scampata bella.” Giuannica Marajani scosse la testa. “Ma perché ci tieni tanto a quelle due cristiane?” Lucia Musinu alzò le spalle. “Non ne ho idea. E’ che mi ci sono affezionata. E non volevo che quella fattucchiera da strapazzo potesse far loro del male.” “Già, ma Donna Maria stava per mandare a monte tutti i nostri piani. Proprio il giorno dell’eclissi ha creato quello scompiglio!” “E’ stato un caso,” sospirò Lucia Musinu. “Donna Maria, udendo alcune mezze frasi di Caterina, s'era convinta che fosse in stato interessante, e ha insistito per sapere chi fosse il colpevole. Voleva chiederlo a lei, ma io ho detto no. Piangeva. Allora l’ho convinta a venire qui.” La vecchietta ridacchiò. “Si, si… Il corvetto... Bella scena, hai visto?” Lucia Musinu annuì. “Purtroppo però non avevo previsto che quell’idiota di Ziu Basiliu Marongiu andasse a svegliare Don Raffaele per dirgli che ci aveva visto in giro per il paese, e che Donna Maria, in un eccesso di zelo, lasciasse un biglietto per le figliole. Così è successo tutto quello che sai…” La vecchietta rise ancora. “E si! Quell’ubriacone (giustamente punito!) aveva intuito bene. Così è andato a mettere la pulce nell’orecchio di Don Raffaele Dettori che vi ha seguite sin qui. Credendo che il mio corvetto fosse Donna Maria, è tornato indietro, non accorgendosi che le figlie l’avevano seguito per riferirgli del biglietto…” “Già. Ed è lì che è scoppiato il putiferio. Le due ragazze hanno visto due uomini che si recavano da quella meretrice. Credendo che fossero Ziu Basiliu e Don Raffaele, sono tornate a casa sconvolte…” Giuannica Marajani tossì. “E chi avrebbe immaginato che quella strega di Munda Marixi era già lì, in attesa? Il mio corvo me l’ha riferito subito dopo che voi ve ne andaste. Purtroppo, ho impiegato del tempo per compiere il rito del pugnale...” Lucia Musinu annuì nuovamente. “Nemmeno io me ne accorsi. Così l’incantesimo che aveva esteso sui Dettori colpì pure me. Quando tornai, e Donna Maria mi riferì che le sue due figlie avevano visto il padre e Basiliu recarsi dalla meretrice, rimasi scandalizzata e adirata. Intanto, Munda Marixi approfittò della situazione, esasperando i toni. Il suo piano era chiaro, Giuannica: quell’occasione le offriva la possibilità di eliminare i genitori delle due ragazze. L’odio fomentato avrebbe infatti indotto Donna Maria a commettere l’assassinio del marito, del dottore e anche della meretrice. E io ero lì ad aiutarla… Se non fossi intervenuta tu a rompere l’incantesimo…” Giuannica guardò la strega con un ghigno. Poi si alzò e andò ad aggiustare il fuoco. Infine si girò verso Lucia Musinu. “Questo è il mio compito, Lucia Musinu. Ed è il mio compito da quando mi portasti via dai miei genitori, tanti anni fa…” Lucia Musinu chiuse gli occhi. Forse era per questo che non voleva che la stessa cosa accadesse alle due ragazze. Forse perché vedeva negli occhi svegli e scintillanti di Giuannica Marajani la tristezza e la consapevolezza di essere la serva di una strega che non poteva essere più liberata dalle sue catene.
FINE
Copyright by Fish
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cedro del Libano |
Inserito il - 27/10/2006 : 21:05:01 Molto bene. Dovresti cercare un editore e farlo pubblicare niente male come inizio di scrittore.Hai una fantasia esuberante. Spero comunque abbia almeno pensato di preservare i diritti d'autore. Con qualche piccola correzione potrebbe anche essere adattata a comedia Perche' non la proponi a qualche compagnia teatrale'? Aspetto il finale.
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Fish |
Inserito il - 27/10/2006 : 10:01:58 Il resto del capitolo, il quale - come avrete modo di leggere - si scosta notevolmente dalla tradizione dei racconti popolari sardi, per inoltrarsi - anche se fuggevolmente - nelle trame dei moderni fantasy. Spero vi piaccia. Anche perché la fine del racconto ormai è vicina... Ancora due capitoli.
... continua...
IX
(SECONDA PARTE) ... Le figlie di Dettori non capirono quel discorso. Erano vicine al portone, vicine alla salvezza. Bastava varcarlo e correre giù, verso l’Osteria. Lì, quasi probabilmente, avrebbero trovato qualcuno… Eppure non potevano muoversi. “Non preoccupatevi,” disse Lucia Musinu, quasi leggendo il loro terrore. “Siete sotto l’effetto di un incantesimo.” Quelle parole disorientarono le due ragazze. Il loro viso tradì quell’emozione. Allora Lucia Musinu continuò: “Quella che avete di fronte a voi è Munda Marixi. Voi, piccole, non la conoscete, ma lei è una strega potente… Soprattutto malvagia... Voleva trarvi in inganno e portarvi alle cripte di Monte Cuccurdoni. Lì sareste diventate sue serve…” La giovane strega si voltò verso le ragazze. I suoi occhi dardeggiavano odio, eppure cercò di rassicurarle. “Non credetele! Mente! E’ lei la strega malvagia dalla quale voglio salvarvi!” In quel momento Lucia Musinu aprì le braccia e una folata di vento gelido investì Munda Marixi, che cadde a terra. Dopo di che, si sollevò in aria, e allungando il braccio verso la giovane strega, saettò una luce rosso sangue che colpì la donna nel petto. Quello spettacolo fece urlare Caterina, mentre Teresina rimase pietrificata. La giovane strega, tuttavia, non fu abbattuta. Si alzò quasi immediatamente e, agitando la mano, lanciò una saetta verde che colpì Lucia Musinu nella spalla. La serva cadde a terra, ma si rialzò subito. Allora, pronunciando strane parole, fece apparire delle immagini terrificanti che attaccarono Munda Marixi, la quale, per nulla spaventata, bruciava quelle figure spettrali con lingue di fuoco che le fuoriuscivano dalla bocca. Lucia Musinu non si arrese. Cominciò nuovamente a vorticare in aria, e Munda Marixi la seguì. Ciò che accadde dopo fu veramente spettacolare e terrificante allo stesso tempo. Le due donne si lanciavano saette e gridavano strane e aliene parole, alle quali seguivano eventi che sfuggivano alla comprensione umana. Tutto ciò durò fin quando Munda Marixi, approfittando di un momento di distrazione di Lucia Musinu, si avventò con odio contro le due ragazze. “Se non le potrò avere io,” gridò, “periranno!” Le due ragazze quando videro la strega volare verso di loro, urlarono di terrore. Lucia Musinu, ripresasi, fu tuttavia lesta. Pronunciò un incantesimo che creò una barriera di aghi tra la strega e le due ragazze. Munda Marixi andò a sbatterci contro e urlò di dolore quando le punte gli trafissero il viso. Ma, con meraviglia delle due figlie dei Dettori, ciò durò pochi secondi. Infatti, gli aghi scomparirono, e con essi le ferite nel volto della strega. Ma questo fu sufficiente affinché Lucia Musinu riprendesse il controllo della situazione. Infatti, quasi immediatamente, scagliò un'altra folata di vento che portò la strega, ancora stordita dal dolore degli aghi, verso l’alto; dopo di che la raggiunse, librandosi in aria come una piuma. Le due streghe, nuovamente faccia a faccia, ricominciarono a lanciarsi le saette di fuoco, fin quando, Munda Marixi, dopo una finta, fece una cosa inaspettata: lanciò la propria saetta contro le figure immobili e inermi dei genitori delle due ragazze. Lucia Musinu, inorridita, gridò la propria rabbia e con un gesto del braccio creò una barriera di difesa che riparò le figure indifese. Ciò, però, la distrasse, e questo fu sufficiente per Munda Marixi, che lanciò una potente saetta che investì in pieno la serva, la quale cadde a terra svenuta. La giovane strega esultò. Immediatamente, sotto lo sguardo allibito e terrorizzato delle due ragazze, atterrò leggera dinanzi a loro, controllando di sottecchi che la sua avversaria non si risvegliasse. “Bene,” disse, ansimante. “Non posso eliminarla, ma per un po’ starà buona, mentre io mi occuperò di voi.” La risata, non più calda, era agghiacciante e crudele. “Il tempo incede. Vi porterò alla cripta antica e lì vi trasformerò nelle mie fedeli schiave. Mi servirete per tutto il tempo a venire, e nutrirete la mia magia e la mia vita fino a consumarvi!” Le due ragazze, orripilate, cercarono di opporre resistenza, ma la strega pareva avesse un potere tremendo che impediva loro di fuggire. Non bastasse ciò, due cani neri come la notte si materializzarono lì, davanti a loro. Feroci e rabbiosi, le fissavano, minacciosi. “Non osate muovervi,” fece loro, Munda Marixi. “I miei due fedeli guardiani vi dilanierebbero in un baleno.” Mentre diceva questo, guardò il cielo. Il buio stava svanendo, l’eclissi stava terminando, e grosse nuvole cominciavano ad addensarsi, fino a trasformarsi in piccole gocce di piogga. Allora la strega imprecò. Fissò nuovamente le due ragazze e disse loro: “Ora, dobbiamo andare. Lucia Musinu mi ha fatto perdere del tempo prezioso… L’eclissi non durerà ancora molto, e io devo compiere il rito prima che il cerchio nero della luna abbandoni completamente il disco solare.” Con quelle parole, Munda Marixi si portò al centro del piazzale, e con un gesso disegnò uno strano simbolo. Dopo di che, cominciò a recitare strane preghiere in una lingua sconosciuta. Quando finì, fece un cenno alle due ragazze di venire verso di lei. Teresina e Caterina potevano muoversi. Avrebbero potuto fuggire se non fosse per i due cani e la paura che dominava i loro cuori. Timidamente e rassegnate, si diressero verso la donna, con i due animali che da dietro, con ringhi febbrili, le spingevano verso la loro padrona. Disperate guardavano Lucia Musinu a terra, svenuta. Quando furono dinanzi alla strega, questa fece cenno loro di mettersi al centro del simbolo. “Non posso portarvi con il mio potere nella cripta. Ho bisogno di un aiuto…” e rise. “Dovrete stare immobili. E’ già tutto predisposto. Non basterà che un attimo.” Le due ragazze si misero al centro del sinistro disegno. Allora Munda Marixi cominciò una strana litania. Quello che accadde fu davvero terrorizzante. Le due ragazze si videro avvolte in un vortice di anime che urlavano agghiaccianti e oscene parole. Caterina cominciò a gridare, mentre Teresina la teneva stretta. Ma cosa stava accadendo? Si chiese, piangente. Perché loro? Perché Lucia Musinu non veniva ad aiutarle? Quando un buco nero cominciò a formarsi sotto di loro, un precipizio oscuro che pareva le stesse risucchiando al suo interno, accadde l’imprevedibile. E accadde in un attimo: una figurina nera si appostò dietro la strega e con un bastone la colpì violentemente sul capo. La strega imprecò di dolore e si voltò; la figurina, veloce come un fulmine, tirò fuori un pugnale intarsiato con strani disegni e glielo conficcò nel petto. Bastò un secondo, l’urlo disumano fu davvero orripilante. Munda Marixi si allontanò barcollando mentre cercava di estrarsi il pugnale, senza riuscirvi: lentamente cominciò a disgregarsi; la sua pelle cominciò a creparsi, e una luce rossa cominciò a filtrare dal di dentro, finché il suo corpo non esplose, scomparendo nel nulla. Il pugnale cadde a terra. La figurina andò a ripescarlo e se lo mise in tasca. Il vortice delle anime dannate che avvolgeva le due Dettori scomparve all’istante e con esso il buco nero. Le due ragazze si ritrovarono in mezzo al sinistro disegno, esauste e smarrite. I cani neri non c’erano più, scomparsi anch’essi con la malvagia strega, o forse prima, eliminati da quell' inaspettato arrivo. Quello che rimaneva era l’incantesimo che aveva tramutato Don Dettori e Donna Maria, il medico e la meretrice, in statue di sale. Le due ragazze si alzarono e uscirono dal simbolo disegnato, ancora stordite, mentre la pioggia cominciava a scrosciare violentemente e l’eclissi scompariva con i suoi residui di oscurità. La figurina, intanto, era ferma sulla giovane Lucia Musinu, la quale, dopo poco, si alzò riassumendo, improvvisamente, le sue abituali sembianze di vecchia. Nella fitta pioggia, lei e l’altra si diressero al centro della piazza, dove Teresina e Caterina erano ancora ferme, immobili, mentre osservavano i due profili avvicinarsi. Fu la serva a parlare. “Siamo state fortunate,” disse, ridacchiando. Teresina, fradicia, aveva il viso ancora sconvolto per quello che era accaduto. “State lontano!” urlò, proteggendo dietro di se Caterina, ancora piangente. “Voi… Voi siete streghe!” La vecchietta rise. “Già!” “Non avere paura,” intervenne Lucia Musinu con voce calma. “Non ti basta quello che hai visto per capire che siamo animate da buone intenzioni?” Teresina si morse il labbro. “Non so più cosa pensare, Lucia Musinu,” rispose, stravolta. E guardando le figure immobili dei suoi genitori, aggiunse esasperata: “Fateli tornare com’erano prima!” Lucia Musinu sorrise con calma. “Certo, ma voi dovrete dormire…” Caterina e Teresina cominciarono ad avere una forte spossatezza. Le due figure davanti a loro cominciarono a sfuocare nella bruma e nella pioggia fitta, per poi scomparire nel confortevole buio del sonno.
... continua...
Un uomo intelligente spesso si troverebbe in imbarazzo senza la compagnia di qualche sciocco! |
dadynette |
Inserito il - 26/10/2006 : 21:01:00 waouhhhhhhhhhhhhhhh!!!! bello bello!!! ancora ancora!!! ajoooooooooooooo tutti vogliamo sapere come andrà a finire!! deziriri!!
anche se sto qui, il mio cuore e sempre li http://dadycreations.over-blog.com/ http://dadynette.boosterblog.com/ |
Barbaricina |
Inserito il - 26/10/2006 : 20:28:03 Davide.....posso solo dire...... FANTASTICOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!! |
Ela |
Inserito il - 26/10/2006 : 19:27:34 Adesso che sembrava arrivare la fine...la cosa si complica ancora di più!!!!!! Non di pozzu prusu...ollu sciri sa finiiiiiiiiiiii!!!!!Ajò Fish...lavora un pò di più e scrivi almeno 2 cap. per volta:
C'esti un'isola in su Mediterraniu aundi s'aria fragada de mari,de terra e de mirtu.....esti sa Sardigna...... |
Albertina |
Inserito il - 26/10/2006 : 18:09:19 Beh, insomma Davide, adesso ti metti a dosarci anche i capitoli!!!Ma si può sapere chi è la coga in questa storia? O ce lo fai sapere entro stasera, oppure faccio una puntata nel paese d'ombre e faccio io le indagini! Attento, avresti qualcosa da perdere!!!! Nel senso che i tuoi lettori potrebbero rivolgersi a me per avere notizie della famiglia Dettori! |
Fish |
Inserito il - 26/10/2006 : 10:38:12 Oggi posto solo una parte del IX capitolo. Domani posterò l'altra...
... continua...
IX (PRIMA PARTE)
Le due ragazze guardavano dalla finestra, visibilmente scosse per tutto quello che stava succedendo nel piazzale. Era quasi certo che di lì a poco qualcuno sarebbe giunto per vedere cosa stesse succedendo in casa Dettori. Qualche agricoltore, forse. L'imponente edificio, infatti, era al limite estremo della via Roma, in aperta campagna, circondato da orti e uliveti, in gran parte della ricca famiglia, ma non tutti. E in quella giornata di sole, qualcuno avrebbe udito certamente quelle urla. “Non verrà nessuno, invece.” Le due ragazze, piangenti, si destarono e si voltarono. Videro una giovane donna, bella, in veste bianca. “Chi siete?” chiesero, turbate per l’intrusione. “Come avete fatto a entrare?” “Non importa chi sono io,” rispose lei, che si avvicinò. “Ferma lì, o gridiamo aiuto!” esclamarono le due ragazze, minacciose. “Ma non è di me che dovete avere paura,” ribatté la donna, sorridente, fermandosi. “Io sono qui per aiutarvi.” Teresina e Caterina non capirono. “Ma che dite?” Fece la prima. “Aiutarci? Perché? Noi non abbiamo bisogno di nulla,” e indicando le urla che provenivano dal piazzale in basso, aggiunse: “Se c’è qualcuno che ha bisogno d’aiuto, sono quelli laggiù!” La giovane donna scosse la testa. “No. Siete voi due che avete bisogno d’aiuto.” “Ancora non capiamo,” ribatté con insistenza Teresina. La giovane donna sbuffò. “Prima di tutto, oggi non verrà nessuno, perché qualcuno ha fatto in modo che non venisse nessuno… Che nessuno sentisse quello che sta accadendo qui dentro… E poi c’è l’eclissi…” “L’eclissi?” “Si. Sapete che cos’è?” Fu Caterina ad annuire timidamente. “Certo, i libri parlano chiaro, e noi andiamo a scuola...” “Bene. Allora saprete che durante l’eclissi i poteri di una strega si centuplicano. Diventano immensi…” Sentendo nominare la parola ‘strega’, Teresina e Caterina sussultarono. “Strega? Cosa stai farfugliando, donna? Qui non ci sono streghe!” fu Teresina e parlare. “Sbagliate. Io lo sono,” ribatté la donna. Quelle parole fecero sbiancare le due ragazze che, agghiacciate, si appiattirono nel muro affianco alla finestra. “Va via!” le dissero, all'unisono e tremanti. “Noi non abbiamo nulla da offrirti!” La giovane donna sorrise nuovamente. “Certo che no. Non per me. Ma per qualcun altro si,“ e indicò la finestra. “La fuori c’è una delle più malvagie streghe che siano mai vissute... Vuole impadronirsi di voi. E questo è il giorno ottimale. C’è l’eclissi…” Le due ragazze scossero la testa. “Stai dicendo assurdità!” le urlò Teresina. Ancora una volta, la giovane strega scosse la testa. “No... Guardate, è laggiù. Ha preso vostra madre in un incantesimo. Ella fra poco commetterà un crimine, avvolta dall’odio cieco che le ha istigato. Ucciderà Don Dettori, e voi resterete completamente orfane e indifese… Quando ci sarà l’eclissi, vi trasformerà in sue schiave, e allora sarete perdute per sempre… Dovete venire con me. Subito!” Le due ragazze furono avvolte dal dubbio. Fuggevolmente guardarono fuori dove, stranamente, non si udivano più urla. Teresina, allora, sempre con gli occhi fissi sulla giovane donna, si avvicinò cauta alla finestra per vedere meglio cosa fosse successo. Quello che vide la lasciò allibita. Erano tutti fermi, bianchi come il marmo; immobili come tronchi di alberi avvizziti che spesso aveva visto nelle campagne circostanti. “Ma che prodigio è questo?” sussurrò, spaventata. “Sono stata io,” disse la strega. “Per impedire l’inevitabile, ho trasformato tutti in statue di sale… Ma non posso trattenere oltre la furia che c’è in quella malvagia donna. Dovete decidente in fretta. Guardate,” e con un cenno del viso indicò l’esterno. “Guardate, il cielo comincia a incupirsi. L’eclissi ha inizio… Dobbiamo andare, prima che l’oscurità scenda! Se ciò accade e voi siete ancora qui, la strega malvagia non potrà essere fermata. Dobbiamo immediatamente fuggire via!” Caterina e Teresina, disorientate, guardarono fuori. Effettivamente il cielo stava oscurandosi, come se stesse calando la notte. Si impaurirono. Sentivano che quello che stava dicendo quella strana donna corrispondeva alla realtà: giù nel piazzale, i litiganti erano effettivamente statue di marmo. “Allora?” chiese, impaziente, la strega. “Dobbiamo andare, prima che lei arrivi. Se farete come vi dico, sarete salve e saranno salvi pure i vostri genitori.” Le due ragazze, a quelle parole, si voltarono verso di lei e fecero un cenno d’assenso, rassegnate nell'affidarsi a quella misteriosa quanto sinistra figura di donna. La strega sorrise placida e annuì. “Bene. Possiamo andare.” In fila, scesero le strette scale di legno. La giovane donna stava dietro di loro. Quando arrivarono al pian terreno, videro la porta spalancata nel piazzale. Le due ragazze riconobbero subito la sagoma del padre, immobile sulla porta, con l’espressione visibilmente spaventata; riconobbero pure la figura della madre che, con il viso contorto dalla rabbia, teneva con le sue piccole mani la meretrice per i capelli e il dottore per la caviglia, in un'aberrante forma che saldava le tre figure come fossero state scolpite da un blocco unico. Indugiarono ancora sulla tetra scena, incupita dall’incedere dell’oscurità, per cercare la figura di Lucia Musinu; tuttavia, non la videro. Allora, presero un bel respiro, e facendosi coraggio, uscirono fuori per cercare meglio, ma senza risultato. Intanto, la giovane strega stava dietro di loro e si guardava attorno con circospezione. “Su, su. Andiamo. Sento che è qui! Correte…” le incalzò. Le due ragazze si misero paura. L’aria era fosca. L’oscurità ormai era calata quasi del tutto. Uno strano vento cominciò a levarsi. Un vento gelido, come non s'era mai sentito in autunno. Fu in quel momento che una voce parlò; una voce che riconobbero immediatamente. “Ferme!” ordinò. Caterina e Teresina si bloccarono di colpo, proprio vicino al portone del piazzale. Si voltarono, e videro una giovane ragazza vicino allo stipite della porta d’ingresso. Incredibile, ma nei lineamenti candidi e persino belli, riconobbero il viso della vecchia serva. Il suo corpo sinuoso era avvolto in un vestito etereo e nero come la notte. La strega dal vestito bianco si voltò verso di loro. “Andate! Ci penserò io a fermarla…” “Perché non dici loro la verità?” gridò allora Lucia Musinu. La donna, il cui abito bianco svolazzava nei mulinelli del vento, la minacciò. “Va’ via! Ti conviene!” Lucia Musinu rise. “Povera stolta! Credevi sul serio che questo gioco mi avrebbe tratto in inganno?”
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FINE PRIMA PARTE IX CAPITOLO
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Albertina |
Inserito il - 25/10/2006 : 22:33:44 Davide???? Donde stai? Davideeeeeeeeeeeeeeee??? Non vorrai mica andare via prima di farci sapere come va a finire la storia!!!!!!!
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Barbaricina |
Inserito il - 24/10/2006 : 19:35:12
sempre più bello.....
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Fish |
Inserito il - 24/10/2006 : 14:11:22 Cara Ela, cercasi editore... Voi ne conoscete qualcuno? Comunque, i capitoli sono ancora tre o quattro... Dunque, questa settimana saprete il finale...
Un uomo intelligente spesso si troverebbe in imbarazzo senza la compagnia di qualche sciocco! |
Ela |
Inserito il - 24/10/2006 : 13:32:44 Dai Fish!!!!Pensavo di leggere la fine....Quanti capitoli ci sono ancora? MOlto bello e molto accattivante...Perchè non te le fai pubblicare?
C'esti un'isola in su Mediterraniu aundi s'aria fragada de mari,de terra e de mirtu.....esti sa Sardigna...... |
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