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Nota Bene: Siddi - è posto al confine della provincia di Cagliari, nella Marmilla. La Giara di Siddi è un interessante altopiano che offre numerose testimonianze preistoriche, prenuragiche e nuragiche: lungo il margine i ruderi di 17 nuraghi e la tomba dei giganti "Sa dom’e S’orcu". Siddi ha un territorio di 11 kmq, ed è a 184 metri sul mare. Nella parte alta ci sono i rilievi "Sa conca ‘e sa cresia", "Tresnuraxis" e "Sa fogaia", dove nascono le fonti "Sa mitza ‘e s’acqua salza", "Sa mitza de Franciscu" e "Sa mitza de Bareci", da cui scendono le acque verso la prosciugata palude di Sitzamus, villaggio abbandonato nel 1728 a causa di un saccheggio che costrinse i suoi abitanti a trasferirsi a Siddi e nei centri circostanti.



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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Paradisola Inserito il - 11/07/2011 : 09:28:17
Letteratura, archeologia e astronomia.

Alle 20 sarà presentato il libro di Pia DeiddaE cantavamo alla luna”, con le letture di Silvano Vargiu e il coordinamento di Francesco Manca, cui seguirà la visita delle tombe dei giganti alla luce delle fiaccole e l’osservazione della luna piena curata dai soci dell’osservatorio astronomico “Caliumi”.

5   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Pia Inserito il - 10/08/2012 : 22:10:12
DedaloNur ha scritto:

stupendo....complimenti a Pia...


Grazie!
DedaloNur Inserito il - 09/08/2012 : 17:25:18
stupendo....complimenti a Pia...
Pia Inserito il - 09/08/2012 : 15:07:12
E a distanza di un anno vi dico cosa disse e scrisse Francesco Manca a proposito del mio romanzo.



SE ESISTESSERO ANCORA I CANTASTORIE

di Francesco Manca


Se esistessero ancora i cantastorie, quelli che fino a qualche secolo fa, chitarra in braccio, raccontavano le gesta di questo o quel personaggio, più o meno leggendario, non si farebbero certo scappare la storia di Airam, la sacerdotessa che cantava alla Luna.

E canterebbero di come, tanti secoli fa, un popolo venuto dal mare, forte e potente, abbia cominciato la conquista della sua terra, ponendo dolosamente fine a un’epoca ma non riuscendo mai a estirpare la radice profonda di quella genìa. Racconterebbe come dal male subito sia nata comunque una speranza e di come quella storia sarebbe stata tramandata nei secoli, nei millenni, dal racconto della progenie di Airam, custode del tempo come l’Antonio Setzu di “Passavamo sulla terra leggeri”.

Il mito raccontato da Pia Deidda è questo: una lunga ballata, quasi un racconto in versi, un poema fatto di ritmo e musica anche nelle parti più descrittive e drammatiche. Ed è anche una canzone d’amore per la sua terra, per la sua cultura, le sue tradizioni, la sua storia non scritta ma spesso detta, anche se quasi sempre a voce bassa.

Terra difficile, la Sardegna. Irraggiungibile nella sua quintessenza anche per i suoi stessi abitanti. Terra unita, pur nelle sue ataviche divisioni. Unica e affascinante: “quasi un continente” la definì qualcuno che la conosceva bene. E questa terra c’è tutta nella storia-fiaba-leggenda-mito di Pia Deidda. Vista forse con l’occhio indulgente della figlia lontana, che quindi immagina un popolo unito e in pace al cospetto dell’arrogante invasore romano, quando c’è chi pensa che invece i sardi già allora così uniti non fossero. Ma chi può dire chi ha ragione?

“E cantavamo alla Luna” è una storia al femminile. Non poteva essere altrimenti. La Luna era una divinità femminile, come l’acqua. E Airam è una sacerdotessa e anela una figlia cui tramandare i propri poteri. Airam è l’incarnazione della Grande Madre, la terra, nel cui grembo il seme dà nuova vita. Airam, donna, simbolo di un culto di vita e di pace, si oppone a Quinto Cornelio, uomo, condottiero delle truppe romane che stanno conquistando la Sardegna centrale, costringendo le genti che la abitano a spingersi sempre più in alto, sulla grande montagna d’argento. Quinto Cornelio è il rappresentante della civiltà imperialista, che vuole conquistare il mondo e imporre i propri dei. Ma il condottiero è anche un giovane uomo colto e raffinato, sensibile al fascino della terra che deve conquistare e dalla sacerdotessa che lo irretisce con il fascino dei suoi simboli. È lui la personalità più problematica del libro: vorrebbe fermarsi e tornare dalla sua giovane moglie a Roma, ma è un soldato e deve portare a termine il suo compito. E sarà un compito crudele.

Ma la violenza delle truppe romane non piegherà il popolo di Airam, così come non riuscì mai a piegare del tutto le “civitates barbariae” della storiografia dei vincitori. Un nucleo originario, così si racconta, rimase libero. Di quella conquista, cominciata nel 238 e terminata (ufficialmente) nel 111 a.C. ci rimangono preziose vestigia e soprattutto il nucleo principale della lingua che poi conobbe un altro determinante influsso dalla dominazione spagnola. Anche i Quattro Mori, il simbolo della Sardegna, sono di origine spagnola, tanto che c’è chi non li riconosce e preferisce adottare come emblema dell’Isola l’albero sradicato degli Arborea. Ma, sembra dirci Pia con la sua parabola, i sardi di oggi sono la somma dei sardi di ieri; e così come per Airam ciò che è nato dal male può diventare prezioso bene, così i sardi di oggi possono trarre frutto dal proprio passato, anche da quello più doloroso, e costruire un futuro migliore. Ciò che non possono e non devono mai fare è dimenticare chi erano e chi sono: “Questo sarà il nostro compito…tramandare”.

Infine, “E cantavamo alla Luna” è anche un atto d’amore di Pia per Lanusei, suo paese natale, che si affaccia sullo splendido golfo dell’Ogliastra e sui cui monti si possono ancora oggi visitare i resti del villaggio di Genna ‘e Cili, dove sorgeva il nuraghe: il Tempio di Airam.

Anto Inserito il - 11/07/2011 : 13:34:06
.............mih che me la tento........ci provo Pia.....Salutami Silvano...digli che sono amica di Amtonio Marras...quella che canta....(capirà...e tu fai finta di nulla!!!!!!!) Baci. anto
Pia Inserito il - 11/07/2011 : 10:05:40
Grazie Paradisola!!!
Spero d'incontrare anche amici di questo meraviglioso spazio che è Gente di Sardegna!

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